L’Italia, lo sappiamo, rientra tra quei Paesi in cui la lettura è una virtù poco praticata dalla maggior parte della popolazione.
Questo aspetto culturale e di abitudine intellettuale ha sempre fatto camminare su un filo precario il mondo dell’editoria nostrana. L’emergenza Covid-19 ha dato la stoccata finale a questo settore, che già se la passava malaccio.
Il 70% degli editori sta programmando la cassa integrazione, per cercare di limitare i danni economici che si fanno già sentire.
Molti editori, infatti, stanno bloccando le novità 12.500 in uscita, che sono pari a 44,5 milioni di copie che non saranno stampate.
Il futuro, post quarantena da Covid-19 come già preannunciato da molti, non si prospetta dei più rosei per l’intera economia italiana e, soprattutto, per quei settori che già arrancavano prima di questa devastante emergenza pandemica.
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Fabrizio De André Volume I. Spirito libero e spiritualità
Il primo LP di Fabrizio De André, il nuovo poeta e cantore della scuola genovese, fu realizzato inizialmente nel 1966, quando era ancora legato al contratto con l’etichetta discografica Karim, che qualche anno prima lo aveva scoperto e lo aveva introdotto nel panorama musicale già dal 1961, con la produzione di diversi 45 giri, tra cui La guerra di Piero o La canzone di Marinella, quest’ultimo brano reso in realtà famoso da Mina, che lo aiutò a raggiungere il successo.
Tale obiettivo non interessava granché Faber, appellativo a cui pensò l’amico d’infanzia Paolo Villaggio (dalle matite Faber-Castell), con cui nel 1963 firmò la canzone Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers. Il cantautore continuava con tranquillità a curare l’amministrazione di tre scuole private a Genova, eredità trasmessagli dal padre Giuseppe, imprenditore e personaggio politico di spicco.
Fabrizio De André considerava la musica “una cosa serissima”, talmente seria da rifiutare le esibizioni dal vivo e un’assidua pubblicità ai lavori discografici, tra cui le interviste, che erano così rare che di lui emergeva davvero poco, se non le sue creazioni sublimi.
Il primo vero LP, dicevamo, uscì con la Karim, sotto il nome di Tutto De André, e includeva dieci brani, nulla di nuovo, dato che avevano già visto la luce in formato da 45 giri fino al 1966, quindi in quell’anno stesso.Faber, nel frattempo, non si era fermato, anzi, considerando la sua diatriba con la suddetta etichetta, che era stata accusata dal musicista di mancata corrispondenza dei diritti d’autore ricavati dalle vendite, aveva già cominciato a lavorare a nuove canzoni, ammaliato dalla Bluebell Records, che gli aveva proposto un nuovo contratto.
Peccato però che quello vecchio non fosse ancora terminato, e tale circostanza aumentò le tensioni tra le due parti, e indusse una nuova causa, questa volta da parte della Karim, che accusò il cantautore di non aver rispettato i termini fino alla fine dell’accordo.
Molto probabilmente già abituato a tali circostanze scomode,senza dubbio aiutato dalla sua notevole posizione economica, in quanto c’era una terza denuncia in corso, e riguardava proprio il brano scritto a quattro mani con Paolo Villaggio, che il Tribunale Penale di Milano aveva dichiarato offensivo per la morale, e che addirittura si raccontava che contenesse fini pornografici.
Volume I (1967), il primo vero album di inediti di Fabrizio De André, vide la luce nel 1967 e fu anticipato dall’uscita dei singoli Preghiera in gennaio e Si chiamava Gesù, ambedue incluse in un formato da 45 giri.
L’unica canzone inedita, l’ultima della tracklist, fu proprio Carlo Martello, che aveva scatenato le accuse da parte delle autorità giuridiche, e fu inclusa nella scaletta di proposito, in accordo con la nuova etichetta discografica, la Bluebell Records.
La copertina, all’inizio, era di color marrone, ed aveva il volto del cantautore assorto, di lato, quasi come se non si vedesse. La registrazione, inoltre era in mono. La seconda e definitiva copertina, infine, con l’inciso in stereo, era bianca, con gli angoli smussati e un bel primo piano di Fabrizio De André, un po’ spettinato ma fiero. Anche la tracklist, con gli anni, cambia. La canzone Caro amore viene sostituita nel 1970 da La stagione del tuo amore, questo perché la prima citata, pur avendo chiare referenze al Concerto di Rodrigo per Aranjurez, non fu accettata dagli intestatari dei diritti.
La struttura del disco è di per sé molto semplice all’ascolto: in primo piano c’è una voce calda e baritonale, accompagnata da una chitarra classica, e ci sono alcune rare incursioni di altri strumenti. La sezione ritmica spesso è assente e non si presenta che con la destrezza sulla sei corde di Fabrizio De André, che paradossalmente si definiva come uno “alquanto scarso”, e con il supporto Gian Piero Reverberi, arrangiatore già nella Karim, e fedele collaboratore, arricchì le parti che figuravano strutturalmente più complicate.
Volume I e la filosofia degli emarginati
Luigi Tenco, volto iconico della scuola genovese, si suicidò a Sanremo nel gennaio del 1967, in seguito a un suo personale disaccordo con la giuria del festival, che non aveva apprezzato il suo brano in gara.
Fabrizio De André, caro amico ed estimatore di Luigi Tenco (si diceva che per avere successo con le ragazze si spacciasse proprio per il cantante di “Ciao amore, ciao”), apre il suo primo disco con una canzone che ricorda i drammatici momenti di Sanremo, Preghiera in gennaio, e tale intenso momento sarà subito coniato, e ricordato ai posteri, come il ricordo e l’omaggio più struggenti e giusti che si sarebbero potuti dedicare.
Il brano, oltre ad esprimere una reale ottica del suicidio, questo atto molto spesso accusato di pregiudizi e di critiche nonostante l’azione drammatica stessa, racconta, con la poesia intensa di Faber, la più giusta visione, che funge anche da filosofia decadente di carattere rimbaudiano.
Il significato dell’estremo atto assume un’espressione talmente notevole, da risultare come la tappa finale di una vita che ha espresso troppo spesso elevati disgusti sociali, che vittima di un’incomprensione a tutto spiano, figlia d’ignoranze e cattiverie, si oppone alle barriere di attuazioni ingiuste secondo la propria ottica, e soccombe al dono della vita, quest’ultima vista però più come un ostacolo che come un percorso:
Signori benpensanti
spero non vi dispiaccia
se in cielo, in mezzo ai Santi
Dio, fra le sue braccia
soffocherà il singhiozzo
di quelle labbra smorte
che all’odio e all’ignoranza
preferirono la morteLa seconda traccia, Marcia Nuziale, neanche si discosta dalle passioni del giovane cantautore. Questa, difatti, non è altro che il rifacimento di “La marche nuptiale” di Georges Brassens, chanteur francese da cui Faber prende e prenderà sempre spunto. Qui viene descritta, quasi in maniera distopica, la cerimonia nuziale di chi canta, che racconta di essere stato testimone di quei momenti memorabili, seppur essendo il figlio della coppia descritta in questione, che addirittura suona l’armonica, per accompagnarne i lieti momenti, che però purtroppo vengono disturbarti da un vento che porta con sè una tempesta imminente, che quasi non vuol far più celebrare nulla. La scena, a dispetto delle intemperie, che rischiano di far saltare tutto, descrive un amore fatto di gesti semplici come non se ne vedevano, “durato tanti anni da chiamarlo ormai d’argento”. Un amore che coniato innanzitutto da un affetto, si descrive come un’identità sincera a tutto spiano, a differenza di un qualsiasi matrimonio della borghesia, che viene celebrato per inerzia, guidato solo da interessi familiari. Qui è di casa la sincerità di una natura casta:
Matrimoni per amore, matrimoni per forza
Ne ho visti di ogni tipo, di gente d’ogni sorta
Di poveri straccioni e di grandi signori
Di pretesi notai, di falsi professori
Ma pure se vivrò fino alla fine del tempo
Io sempre serberò il ricordo contento
Delle povere nozze di mio padre e mia madre
Decisi a regolare il loro amore sull’altareSpiritual, la terza canzone, che presenta sprazzi di una combriccola canora di voci briose che si alternano al cantato principale, con una base inaspettata di un organo da chiesa che sostituisce la chitarra, rappresenta, dopo il primo brano in scaletta, la prima testimonianza di una spiritualità, oltre alla volontà di credere o meno alla religione cristiana, che si enuncia nelle parole che inducono a pensare ad una vera e propria preghiera, rivolta al “Dio del Cielo”; che quest’ultimo possa regalare una parentesi, seppur spicciola, di felicità, a chi ne sta cantando le lodi, in funzione di un contraccambio di un interesse del tutto casto ma essenziale:
le chiavi del cielo non ti voglio rubare
ma un attimo di gioia me lo puoi regalareSi entra poi nel vivo della devozione, seppur dedicata più ad un’entità fatta uomo che ad una santità ineccepibile. Qui chi canta tesse le lodi di un uomo che ha coniato la storia con le sue gesta.
Si chiamava Gesù è la narrazione che va al di fuori di ogni Vangelo, che sfida le agiografie, che smorza le preghiere, come quella della canzone antecedente, e mette a nudo un essere umano debole, che è stato assediato dal male del genere umano, nonostante egli abbia portato in Terra la gioia di saper trasmettere una bontà che molto raramente sarà emulata in seguito. Ci spiega Mauro Pesce, biblista, nella lunga intervista di Corrado Augias per il libro Inchiesta su Gesù(2016 – Mondadori), che “Gesù è un uomo ebreo che non si sente identico a Dio. Non si prega Dio se si pensa di essere Dio”. Difatti ci canta Fabrizio De André:Non intendo cantar la gloria
Né invocar la grazia e il perdono
Di chi penso non fu altri che un uomo
Come Dio passato alla storia
Ma inumano è pur sempre l’amore
Di chi rantola senza rancore
Perdonando con l’ultima voce
Chi lo uccide fra le braccia di una croceÈ la volta di La canzone di Barbara.
Dal sacro, dunque, al profano. Il cantautore e poeta genovese qui ci porta nel tempio delle avventure amorose proibite, dell’incesto e addirittura dell’adulterio, e non sarà la prima volta nel lungo repertorio quasi trentennale che ne seguirà.
Barbara è una donna libera, che non cede all’amor comodo, e preferisce abbandonarsi ad avventure di un attimo, e forse già che celano un addio, dopo un atto consumato per sfuggire alla noia quotidiana, sia di uomini che inseguono un’avventura, oltre l’obbligata scia matrimoniale, sia di favorevoli concubini, che invece non trovano che un ostacolo, nonostante un lieto benvenuto:Lei sa che ogni letto di sposa
È fatto di ortiche e mimosa
Per questo ad un’altra età, Barbara
L’amore vero rimanderà, BarbaraVia del Campo, nelle note di Cesare G. Romana, nell’ultima e definitiva versione del primo album, viene descritta così:
Così la graziosa Via del Campo, la bambina ai cui piedi nascono i fiori, ma che vende a tutti la stessa rosa: la puttana che non potrà mai offrir altro che un paradiso provvisorio e, tutto sommato, inutile incantesimo di un quarto d’ora.
Di sicuro anche qui ne nasce una preghiera, in quanto la divinità prende le sembianze una “graziosa”, una fanciulla che vende le proprie bontà a chi la sceglierà per godere di quell’attimo in cui dimentica la bramosia del denaro, dei diamanti da cui “non nasce niente”, mentre dal “letame nascono i fior”
E ti sembra di andar lontano
Lei ti guarda con un sorriso
Non credevi che il paradiso
Fosse solo lì al primo pianoCuriosità: Via del Campo prende palesemente spunto da La mia amorosa la va alla fonte di Enzo Jannacci.
La stagione del tuo amore è una delle parentesi più dolci di questo disco incantato.
Si narra la sovente vicenda di un amore che tarda ad arrivare, e la rassicurazione del suo autore è designata “nella luce di un’ora”, che può nascondere in essa sia una gioia che un dolore, e quando però quest’ultimo viene sopraffatto da un momento di goduria e libertà sensoriale, allora l’attesa ne sarà a pieno ricompensata:Passa il tempo sopra il tempo
Ma non devi aver paura
Sembra correre come il vento
Però il tempo non ha premura
Piangi e ridi come allora
Ridi e piangi e ridi ancora
Ogni gioia ogni dolore
Poi ritrovarli nella luce di un’oraBocca di rosa, è senza alcun dubbio l’apoteosi tematico dell’album.
L’amore innanzitutto, e soprattutto lì dove l’amore è visto meglio nell’attimo di un momento, anziché nella penosa lungimiranza di una prospettiva a lungo termine, dove i fuochi iniziali vanno a perdersi nella quotidianità dei difetti e delle complicanze reciproche. La protagonista della storia/canzone è una donna che, come Barbara, si lega “per passione”, e fa all’amore con chi semplicemente lo cerca, e non importa se già impegnato, perché ella ha come un compito: regalar sogni, seppur di un attimo e lasciar un ricordo inossidabile. Solo che l’ira delle donne del paese (Sant’Ilario) riesce a scacciar via la donna che ha sottratto, finanche con l’immaginazione, la libertà dei propri consorti:Alla stazione c’erano tutti
Con gli occhi rossi e il cappello in mano
A salutare chi per un poco
Senza pretese, senza pretese
A salutare chi per un poco
Portò l’amore nel paese
C’era un cartello giallo
Con una scritta nera
Diceva addio bocca di rosa
Con te se ne parte la primaveraLa morte, penultima canzone, che conserva un tema che sarà – ed era già stato ricorrente- nella poesia di Fabrizio De André, è una sorta di consolazione per l’animo fragile, e allo stesso tempo una nemica brutale per l’uomo che attinge le proprie gesta al successo tanto agognato. Eppure questo estremo saluto al mondo terreno comporta un’equità che dapprima non si era definita. Una A Livella di Totò che viene riproposta in una forma canora che racchiude la stessa giustizia emblematica, che mette sullo stesso piano l’essere umano forte e quello debole, che nonostante l’estremo trapasso, accusano il nuovo misterioso viaggio in maniera differente, così come hanno vissuto le loro vite.
L’unica differenza sta nel chi li vede morire:
Straccioni che senza vergogna
Portaste il cilicio o la gogna
Partirvene non fu fatica
Perché la morte vi fu amica
Guerriero che in punta di lancia
(…)
Di fronte all’estrema nemica
Non vale coraggio o fatica
Non serve colpirla nel cuore
Perché la morte mai non muoreCarlo Martello, infine (vero titolo era Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers), è l’unico brano già edito, e con una musica che sa di Medioevo, battaglie e vittorie, narra la vicenda di Re Carlo che ritorna vincitore dopo aver sconfitto gli arabi, fermandone l’avanzata proprio in Francia e salvando il mondo occidentale. Il re, molto fiero del suo ritorno vittorioso, non ha di certo dimenticato le voglie smaniose di un uomo che è fatto innanzitutto di carne, e che quindi non dimentica le sue debolezze, come tutti. Adopera dunque, o comunque crede di farlo, le proprie gesta eroiche, per abbandonarsi con più facilità tra le braccia di una graziosa fanciulla, che nel frattempo fa il bagno in una fontana. Quest’ultima però non cede all’eroica vittoria del suo sire, e alla fine, quando l’atto viene consumato, ne presenta la parcella.
Re Carlo, dunque, non è altro che uno di noi, che paga con moneta la sua lussuria, che ha ottenebrato tutta la grazia della sua vittoria.
Con Volume I, prezioso documento musicale d’inestimabile morale poetica di spiriti liberi e spiritualismi, Fabrizio De André spianò per il futuro la sua elegante e anarchica dialettica incisa su note, che sottolineò per sempre le costanti e sempre più crescenti tematiche di un uomo più privato di beni preziosi, nonostante il rango sociale, a cui viene meno la bramosia, nell’esposizione delle proprie debolezze come fattore di perdita, o di morte.
Carmine Maffei
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Boccia (Confindustria):
«Ogni impresa che chiude è un lutto
in famiglia»«Una politica industriale per il Mezzogiorno. E’ l’appello di Vincenzo Boccia». Il presidente nazionale di Confindustria, in occasione del convegno dell’Altra Avellino, bacchetta il governo giallo-verde e presenta la propria medicina per la ripresa.
Un passaggio fondamentale è certamente quello infrastrutturale. Lo sviluppo riparte dalle grandi opere come la Lioni-Grottaminarda e l’Alta Capacità.
Il numero uno degli industriali non si sottrae alle domande dei giornalisti e interviene pure sul caso Novolegno.
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La storia del Negroni e dell’Old Fashioned spiegata da Michelangelo Bruno
Dopo i cenni storici sul proibizionismo spiegati da Michelangelo Bruno, bartender del Castello D’Aquino caffè letterario di Grottaminarda, è arrivato il momento di addentrarci all’interno della miscelazione.
Dietro ogni cocktail che ordiniamo e beviamo si nasconde una storia che ha dato vita a quel determinato drink e soprattutto al suo nome.
Molte bevute, infatti, appartengono ad un determinato periodo storico e sono frutto di viaggi e di un’apertura mentale che unita alla passione ha dato vita a ciò che noi oggi ordiniamo al bancone per intrattenerci con piacere.
Oggi scopriamo come nascono il Negroni e l’Old Fashioned, due grandi classici della storia della miscelazione.
Il Negroni è un drink tutto italiano che da un anno ha compiuto 100 anni, portandoli benissimo.
Questo cocktail nasce nel caffè Casoni di Firenze e il nome viene dato in onore del Conte Camillo Negroni, che tornato da un viaggio a Londra, torna in Italia con una bottiglia di Gin.
Uno dei grandi drink più bevuti del tempo in Italia, soprattutto dal Conte, era l’Americano composto da: Vermut rosso di Torino, Bitter Campari, soda e garnish. Il Conte Negroni, un giorno, chiese al suo barman di fiducia di aggiungere un goccio di Gin al suo drink preferito.
Questa aggiunta rese ancora più beverino l’Americano che però non poteva essere chiamato con lo stesso nome, per via dell’ingrediente in più e per questa ragione nacque L’Americano alla maniera del Conte Negroni, per omaggiare il Conte Camillo.
Da questo esperimento il Negroni diventa un must della miscelazione negli ambienti fiorentini e poi si espande in tutta Italia e nel resto del mondo.
Questo drink ha una composizione che offre lo spunto per creare una miriade di Twist che possono variare, partendo da questa struttura.
Un altro grande classico della miscelazione è l’Old Fashioned, un drink molto amato dagli appassionati di whisky, nato a New York verso la fine dell’800, dunque nel periodo del proibizionismo. Il suo nome nasce per l’introduzione dello zucchero liquido.
Prima dell’avvento dello zucchero liquido l’Old Fashioned veniva realizzato con un procedimento manuale molto affascinante da osservare, durante la preparazione del cocktail. La zolletta di zucchero, infatti, viene posizionata sul bicchiere imbevuta di angostura e fatta sciogliere con un po’ di acqua insieme agli altri ingredienti che compongono il cocktail.
Con l’introduzione dello zucchero liquido questo passaggio non avviene più perché il cocktail viene shakerato. I bevitori che non amavano lo zucchero liquido e la preparazione rumorosa nello shaker chiedevano la preparazione alla vecchia maniera fascinosa (old fashion way) ed è per questo motivo che viene dato il nome Old Fashioned a questo drink.
Il mondo della miscelazione è pieno di aneddoti, storie e piccoli particolari che a molti sono sconosciuti. Per scoprire altre curiosità sul mondo della miscelazione non vi resta che tenervi aggiornati sulla nostra rubrica dedicata: Cocktail e Cultura al Castello D’Aquino caffè letterario!
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