La messa in scena di corpi in movimento, caratterizzati da una gestualità frenetica e da movimenti isterici, restituisce l’immagine angosciosa e straziante di un dramma che attraversa la nostra quotidianità e che non può, e non deve, lasciarci indifferenti; e cioè quello dei migranti morti in mare nel tentativo di raggiungere l’Europa.
Il numero dei decessi dei migranti, specie quelli che attraversano il mare o conflitti violenti, è più che raddoppiato nel corso dell’ultimo anno. Lo ha reso noto l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), la quale ha invitato gli Stati interessati a prendere provvedimenti urgenti.
L’arte, e il modo dello spettacolo, non può assistere in silenzio ed è dunque questo nuovo video-artistico e di denuncia si ha l’intento di veicolare un messaggio ben chiaro: “siamo tutti in movimento…siamo tutti migranti”.
Un messaggio che è rivolto agli Stati Europei, ed a tutti coloro che sono in qualsiasi modo coinvolti, ai quali si chiede di adoperarsi nella gestione dei flussi migratori facendo uso di sensibilità e umanità. Lo spostamento è difatti un gesto insito nella natura dell’uomo ed è dunque nostro dovere tutelarlo, come è nostro compito preservare il diritto alla vita di colore che sono costretti, o per volontà, a migrare. È necessario garantire loro il diritto ad avere dei sogni e un futuro migliore.
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Formidabili quegli anni di Roberto Vecchioni è un messaggio di rivolta pacifista
Formidabili quegli anni è il nuovo singolo di Roberto Vecchioni, è la conferma di un artista che ama parlare ad un pubblico giovane, sia come docente che come scrittore e musicista.
Il brano diffuso in radio lo scorso 3 maggio insieme al lancio del video diretto da Raffaello Fusaro e prodotto da Danilo Mancuso per Dme è già presente nell’album L’Infinito, uscito lo scorso novembre, diventato Disco d’Oro ma che ha avuto la particolare propensione al rifiuto di piattaforme digitali (rarissimo al giorno d’oggi).
Già sapere che questa particolare forma di protesta mediatica (o non mediatica) abbia ottenuto dei riscontri positivi sugli ascolti, che intanto sono arrivati ed hanno premiato, significa che in giro esiste ancora una fetta soddisfacente di cultori – musicali e non- che continua ad apprezzare forme di diffusione oggi definite desuete ed antiquate.
Roberto Vecchioni spiega a Repubblica, giustificandosi quasi e rivolgendosi nell’umiltà che ha fatto grandi i miti del passato, che il brano è uno “scippo” a Mario Capanna, uno dei principali protagonisti della rivolta studentesca del ’68, ma che non è qualcosa di nostalgico.
Il videoclip, su cui ci soffermeremo insieme al testo emozionante, intanto si apre con le immagini di contestazione proletaria e studentesca dell’epoca, situazioni che oggi sembrerebbero distopiche e quasi sfiancanti al solo pensiero, abituati come siamo a colpi di click o di like e unlike su social traboccanti di tutto, e forse di nulla.
Ma qui non si tratta di leggere o ascoltare o vedere qualcosa che viene spazzata via in un millisecondo dal prossimo post, perché ciò che abbiamo davanti possa insegnare ( e su questa qualità ci ritorneremo) a chi si sofferma che è importante, attraverso la forma d’arte che si definisce canzone (in francese chanson è quanto di più bello ed antico, quindi prezioso, il motivo in cui si possano abbinare musica e poesia) che la cultura spesso viene meglio recepita nelle forme di rarissima semplicità, dove più debole sarà il contesto didattico e più forte avverrà l’infatuazione alla materia.
Le immagini (e si sa che video killed the radio star) del video si alternano tra quelle che inquadrano una scena ricostruita di quei giorni e quelle di un Roberto Vecchioni docente universitario (l’Ateneo e la biblioteca sono quelli di Pavia) mentre parla, ed in realtà canta agli studenti le gesta di un mondo ideologico che oggi non ci può appartenere, perché per quanto volessimo distanziarci, la politica è tutto ciò che ci circonda, in ogniddove, in quanto dal greco pòlis, ossia la città intesa come Stato e come indicazione di tutte le attività sociali.
E non importa se nella realtà dei fatti oggi chi parla o interviene a proposito del ’68 sia un nostalgico o un antiquato, perché, come dice il cantautore nel suo testo (mentre nel video addita i suoi ascoltatori) e la libertà che avete / mica c’erano a quei tempi / noi ci siamo fatti il culo / tocca a voi mostrare i denti, e ciò non significa “vedi quanto sono stato bravo”, ma al contrario esalta la capacità di una mente giovane in un mondo ancora coadiuvato da una classe tramontata e forse sbagliata –anche ideatrice del ’68- , e allo stesso tempo sono proprio i protagonisti di quel periodo a scuoterli, a smuoverli a dare un cenno di assenso.
E poi ancora: formidabili quegli anni / incredibile sognare che non dormi / in un fiume straripante di parole / ammassati nelle aule delle scuole.
La condivisione, dunque, e non quella mediatica / social a cui siamo abituati oggi e poi ce ne sbarazziamo appena ne arriva un’altra, ma dove il raggruppamento, dove le assemblee, dove i naturali scontri verbali e le incomprensioni sono la linfa di un’interazione del tutto normale, un qualcosa che ha dato vita alle comunità , alle città, agli stati, con tutti i loro problemi, ma con tutte le loro fazioni ricche di opportunità sociali, dove la ricerca di una soluzione professionale forma l’uomo e indirizza al rispetto del prossimo.
Quanto siamo cresciuti cinquant’anni fa e rispetto ad essi?
La reazione ad una forma di autoritarismo troppo incombente, che strideva con la rosa colorata della gioventù dell’epoca, quest’ultima progredita moltissimo demograficamente, in quanto figlia del boom economico post bellico degli anni ’50, che avrebbe creato però, ahinoi, ancora più distanza tra chi deteneva il potere e la sudditanza, la realtà operaia, quest’ultima a stretto contatto con la povertà.
A differenza di oggi, dove una crisi che dura da più di un decennio ha ridotto le nascite, ha allargato nuovamente e di gran lunga il divario tra le classi sociali, e dove la speranza è rivolta anche all’integrazione e all’accettazione di chi si è spostato dal proprio Paese e ha scelto l’Italia, perché il futuro sta nelle nuove generazioni, e non importa quale siano la provenienza ed il colore.
E se passi un solo giorno / senza farti una domanda / senza un grido di stupore / l’hai mandata al Creatore; una frase, una proposta al pensiero filosofico che ha spinto intere giovani generazioni al confronto con sé stessi e poi con i propri padri, così il grande giurista e poi romanziere postumo Salvatore Satta, proprio nel marzo del ’68 rispose così ad un’intervista di Panorama: “Hegel diceva che sono i figli che fanno i padri. Finché non si riconosce questo è inutile parlare di dialogo, di scambio di idee”.
Sì, perché noi non siamo della razza / di chi frigna e si dispera / come zombie di un passato / che sembrava primavera ma ci accorgiamo, affranti, che la sorpresa di una meraviglia oggi non ci scomoda più mentre allora, rispetto ad oggi ci sembrano quasi formidabili, quegli anni, formidabili quei sogni nei miei sogni / la malinconia bevuta agli occhi insonni / formidabili quei giorni nei miei giorni, e chi ci sta tenendo una simbolica lezione su quanto sia stato determinante quel periodo è perché ancora oggi esistono risultati che hanno scatenato una sensibilizzazione alla cultura, dove si combattevano l’ozio ed il sonno per correre al cinema ed arricchirsi con film come 2001: Odissea nello Spazio e Il laureato, o magari per tuffarsi tra le pagine de Il lamento di Portnoy, o per aggregarsi, semplicemente, parlando delle proprie esperienze, dell’arte intesa come pensiero politico.
Aggregazioni che hanno dato vita alla combattiva ossessione di scrittori come Paul Auster , Ian Mc Ewan e Stephen King, ma anche alla formazione di registi come Nanni Moretti e Carlo Verdone, oltre che a personalità influenti nel mondo del giornalismo come Paolo Flores D’Arcais e Paolo Mieli; alle architetture di Renzo Piano che distrussero gli stereotipi, come il Beaubourg.
E si pensino anche agli scontri con Pier Paolo Pasolini, che con un film come Porcile sottolineava la distanza tra padri e figli, e che con la poesia Il PCI ai giovani s’inimicò gli studenti di Sinistra; si provi solo ad immaginare Alberto Moravia, un pilastro della letteratura mentre, ne L’espresso, veniva dato in pasto a ragazzi universitari protagonisti della contestazione, dove una nuova idea di movimento marxista-leninista prendeva forma e poneva differenza con una Sinistra “destrorsa”.
Per non parlare di una re-definizione di gruppi pop rock come Street fighting man dei Rolling Stones e Revolution dei Beatles, oppure della nascita del concept Storia di un impiegato di De Andrè o La Locomotiva di Guccini.
La Locomotiva di Francesco Guccini: il video
Non mi passi per la testa / che si celebri il terrore / noi siam quelli della festa / con il vino ed altre sole fa venire in mente lo studio di Enrico Deaglio, anch’egli ex studente contestatore, direttore di Lotta Continua tra il 1977 ed il 1982, che nel suo libro Patria 67 – 77 ha analizzato il decennio che ha cambiato la storia moderna italiana, dove si pongono le differenze tra movimenti studenteschi ed operai in confronto agli anni di piombo che ne seguirono ma che si legarono a tutt’altra concezione ed azione politica, volta al terrore, agli omicidi, agli attentati. Tutt’altra cosa.
Insomma, “noi siamo quelli della festa dell’Unità”, sembra voglia dirci, e diciamolo pure, senza nascondere le varie ideologie intese nello stesso partito, che un movimento socialista come quello di quegli anni forse non si vedeva dai tempi dell’Unità d’Italia.
All’amore di ragazze travolgenti / cavalieri sopra nuvole incoscienti, quindi le azioni femministe, la libertà sessuale intesa dal lato delle donne, la liberazione di una società patriarcale, le unioni delle ragazze con i ragazzi sotto un’unica bandiera, mano nella mano a sorreggersi sia nella lotta che negli affetti.
Da qualche parte si è letto che ai tempi della Comune, a Parigi, si sparava agli orologi, come azione simbolica a fermare il tempo e a lasciare che quella gioia di comunione condivisa durasse incosciamente per sempre, così come in questo brano Vecchioni pare voglia fermare la folle corsa di questi tempi affinché ci potessimo obbligare a delle soste, segnarle come pietre miliari, e consegnarle alla Storia come esempio benefico di aggregazione, rivolta ai posteri come un valido esempio di noi stessi: la malinconia passata agli occhi svegli / gli orologi segnan l’ora che son fermi.
Carmine Maffei
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Fabiana Martone: un viaggio jazz per la voce dei Nu Genea
Tratto dall’album “The Hissing of Summer Lawns”, pubblicato da Joni Mitchell nel 1975, “In France they kiss on main street” di Fabiana Martone ci introduce nel magnifico mondo jazz-cantautorale della voce dei Nu Genea.
Grazie alla passione per la cantante canadese, che Fabiana ha sviluppato nel corso della sua formazione musicale che passa dal jazz al blues, passando per il folk americano, nasce l’idea di renderle omaggio con una pubblicazione interamente dedicata alla cantautrice più importante e influente della storia del folk e rock.
Il sound del brano della Martone si distacca dall’avant pop elaborato in quegli anni dalla Mitchell, tra l’altro con l’ausilio di musicisti eccezionali come Robben Ford, James Taylor e Larry Carlton. Il suo suono invece riprende sonorità soffuse e dal dinamismo pop che rendono la cover personale che si completa della straordinaria voce della nostra musa.
Ad accompagnare Fabiana in questo viaggio fatto di suoni e ricerca ci sono: Luigi Esposito al piano, Francesco Fabiani alle chitarre, Umberto Lepore al contrabasso e Marco Castaldo alla batteria.
“In France they kiss on main street” anticipa di alcuni giorni la pubblicazione del disco di sette brani intitolato “Living in shadows and light” che viene pubblicato world wide dall’etichetta discografica newyorkese Inner Circle Music.
Il mini album – che verrà pubblicato il 10 dicembre – è interamente dedicato a Joni Mitchell e alla sua produzione di fine anni Settanta, periodo in cui la cantante canadese si avvicina alla fusion e al jazz suonando con musicisti come Jaco Pastorius, Wayne Shorter, Peter Erskine e Herbie Hancock.
(Fabiana Martone – foto credit Gennaro Cimmino)Fabiana Martone: biografia
Fabiana Martone, cantante e compositrice napoletana, ha all’attivo quattro lavori discografici. Insieme al violinista e compositore Lino Cannavacciuolo è co-produttrice di un nuovo progetto discografico, nato a seguito di una brillante collaborazione per la realizzazione di brani per colonne sonore di produzioni Rai. Contestualmente lavora alle produzioni da solista, è la cantante della Uanema Swing Orchestra ed è -con Brunella Selo, Annalisa Madonna e Elisabetta Serio – membro fondatore ed autrice di testi e musiche delle SeSèMaMà. Nel 2018 è tra i finalisti del Festival Musicultura ma nello stesso anno entra a far parte del collettivo Nu Genea (ex Nu Guinea), Fabiana è stata fortemente influenzata dalla musica jazz avendo studiato musica con alcuni dei più noti nomi della scena jazz napoletana.
Ha condiviso il palco con importanti artisti dell’ambiente jazz nazionale e internazionale (Famoudou Don Moye degli art ensemble of chicago, Renato Sellani, Aldo Vigorito, Dario Deidda, Baba Sissoko, Maurizio Capone, Piero de Asmundis, Amedeo Tommasi, Marco Pezzenati… ); e ha avuto esperienze in molti altri ambiti musicali: dal gospel al folk, dalla classica napoletana alla musica sperimentale. Degni di nota sono anche i suoi lavori teatrali come attrice e cantante al fianco di Nino D’Angelo, Carlo Croccolo, G. Miale di Mauro, N. di Pinto, T. Femiano, e molti altri.
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Antonio Sorrentino “canta ancora” al Trianon Viviani
“Lo Scugnizzo elegante” è il titolo della serata d’onore dedicata ad Antonio Sorrentino, che si terrà domani, venerdì 28 ottobre, alle 21, al Trianon Viviani.
A distanza di ventiquattro anni dalla prematura scomparsa, è ancora vivo il ricordo di questo artista di Forcella. Questa serata – nata in collaborazione con il comitato Rinascita di Forcella – non vuole commemorare Antonio, ma ricordarlo, da protagonista, in un vero spettacolo, proprio nel teatro del suo quartiere.
Tanti colleghi e amici lo racconteranno e interpreteranno le canzoni del suo repertorio, con il contrappunto della proiezione di video che ripercorreranno le fasi salienti della sua intensa seppur breve carriera, che aveva debuttato, a soli sette anni, nella compagnia di Nino Taranto, Rosalia e Beniamino Maggio, per poi affermarsi sulla scena musicale e teatrale.
L’omaggio si aprirà con l’ascolto di un brano inedito, recentemente ritrovato, interpretato dallo Scugnizzo elegante: Canto ancòra dello stilista e autore Sally Monetti.
Con la conduzione di Tiziana De Giacomo, parteciperanno Romeo Barbaro, Angelo Di Gennaro, Tony Faiello, Mario Maglione, Francesca Marini, Massimo Masiello, Ciccio Merolla, Antonella Morea, i Paese mio bello (l’ensemble costituito da Lello Giulivo, Gianni Lamagna, Anna Spagnuolo e Patrizia Spinosi, con Michele Bonè e Paolo Propoli), Ida Rendano, Gino Rivieccio, Brunella Selo, Maddalena Sorrentino e Marco Zurzolo, con Sal Esposito, Giovanni Pelella e gli Allerija. Interverranno Renato Marengo e Gino Aveta. L’orchestra Sud in sound sarà diretta da Aniello Misto e Gennaro Franco.
Completano la locandina della serata, organizzata da Jesce sole, la direzione artistica di Peppe Ponti, la regia di Pino Sondelli e la supervisione generale di Claudio Niola. La realizzazione televisiva è curata da Sud promotion di Maurizio Palumbo. L’illustrazione è di Petra Scognamiglio.
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