Brussels Jewellery Week mira a celebrare e mostrare il gioiello contemporaneo, una pratica creativa e innovativa che si traduce in un desiderio quasi sistematico di sperimentazione e in una rottura con i codici tradizionali della gioielleria.
MAD, Home of Creators, un luogo contemporaneo dedicato all’arte, alla moda e al design nel cuore di Bruxelles, ospiterà la prima edizione 2022.
Si prevede che saranno presenti oltre 100 designer provenienti da tutto il mondo, mentre in giro per la città gallerie, scuole di gioielleria, collettivi di artisti e studi indipendenti faranno parte di un emozionante tour alla scoperta della gioielleria contemporanea. Conferenze, workshop, performance e molto altro animeranno l’evento di 10 giorni.
inneke?! Qual è l’origine di questa parola piuttosto divertente?
All’inizio del 16esimo secolo, Bruxelles era attraversata dal fiume Zinne, che fungeva da fogna aperta, attirando quindi molti ratti. Per combattere contro questa invasione, la gente di Bruxelles – colloquialmente chiamata Brusseleirs – iniziò ad adottare cani. Questi cani, lasciati a vagare liberamente, iniziarono a mescolarsi e riprodursi e abbastanza rapidamente un numero enorme di bastardi prese possesso della città. Per sbarazzarsi di loro, gli abitanti decisero di annegarli nello Zinneke, un braccio del fiume Zinne. Gli zinnekes erano quindi, in origine, questi piccoli bastardi, senza razza e destinati ad annegare nel fiume.
Per estensione, la parola zinneke è arrivata a denotare in modo peggiorativo gli abitanti di Bruxelles: un mix linguistico e culturale di identità, metà fiammingo, metà vallone, con i loro costumi e la lingua bastarda.
Ma più recentemente, la parola zinneke un tempo ingloriosa ha guadagnato consensi. Ciò che una volta era percepito come bastardizzazione, ora è una specificità riappropriata e lodata, un valore, un appello alla diversità. Più di sei residenti su dieci a Bruxelles sono di origine straniera, rendendo Bruxelles una delle città culturalmente più diverse, cosmopolite e multilingue del mondo!
Bruxelles è come un cane bastardo: mista, resiliente, vivace e non si prende troppo sul serio.
La Brussels Jewellery Week mira a incarnare questa tipica identità di Bruxelles essendo un evento artistico dinamico, gioioso e multiculturale. Un vero e proprio evento zinneke che mira ad attrarre a Bruxelles gioielli contemporanei internazionali.
Ogni creazione è una trasformazione, un divenire, non solo della materia, ma anche dell’artista. Ci viene iniettata l’ispirazione attraverso il soggetto. La materia ci rende migliori. Stiamo diventando costantemente, in corso verso l’esistenza come verso un concetto adulto, una forma finalizzata, anche se non spesso raggiunta.
Quindi cosa stiamo diventando quando creiamo? Il gioiello contemporaneo è un mezzo che ci aiuta a realizzare le nostre trasformazioni? I materiali che usiamo ci cambiano? O cambiamo i materiali?
In Fieri è lo stato esatto in cui l’essere fatto e il diventare si sovrappongono in modo significativo.
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Il mio paese è una libreria: intervista alla poetessa Alba Donati
Ecco le parole di Alba Donati, e sono tratte dall’incantevole poesia Il mio paese è una casa, compresa in Tu, paesaggio dell’infanzia (La Nave di Teseo, 2018), libro che raccoglie tutti i suoi versi, a partire dal 1997 ad oggi.
Il mio paese è una casa
e ogni casa è una stanza.
Il mio paese è un corpo,
ogni casa è una stanza,
ogni strada è un’arteria
di sangue familiare.
Nel mio paese ogni piazzetta
è il salotto rumoroso
di una grande famiglia.
Nel mio paese salire al castello
è come salire le scale
e da altre camere, da altre soffitte
le voci sono rivolte a te,
niente è da te separato, niente.
Alba Donati è una poetessa, un’autrice, una donna che ha saputo coltivare nella sua vita il frutto più bello, quello delle sue passioni, e lo ha irrorato con una nebbiolina densa d’inestimabile ricchezza spirituale, di sapienza, studio, dedizione e professione.
La comprensione della sua opera arriva appena la si conosce, e non importa se davvero poi non sempre ci si possa stringere la mano per congratularsi e la distanza aumenta la poca credibilità; ma ho studiato bene i suoi occhi nelle foto, e vi ho scorto un’incredibile vivacità ancora fanciullesca; una briosità che scaturisce dall’entusiasmo di saper vivere un’esistenza dedita alle meraviglie della letteratura, che è infinita, e con essa dedicare tutto il tempo possibile per divulgarne l’essenza e crearne un mestiere, sia per sé e, soprattutto per gli altri.
Poco può il poeta per l’intelligenza dell’opera sua: là soltanto è la sua chiarezza.
È una frase di Alfonso Gatto, e ci aiuta a comprendere meglio perché oggi ci si possa ancora fidare anzitutto dei versi di un poeta, ancor prima di poterlo conoscere, se proprio la si vuole spezzare
questa magia dell’ignoto e soccombere alla mera curiosità, perché il mistero sta proprio nella distanza. Alba Donati però ha davvero poco da nascondere e non la si può certo dimenticare.
Oggi è presidente dell’illustre Gabinetto Viesseux, celeberrimo circolo letterario, tra i cui direttori del passato spiccano i nomi di Eugenio Montale e Bonaventura Tecchi; dal 1820 luogo d’incontro per autori, scrittori, poeti ed esponenti della cultura in generale; un centro ancora oggi fondamentale che ha tessuto le lodi di una città d’arte importantissima come Firenze, dove vi si trova, a Palazzo Strozzi.
Sempre a Firenze Alba Donati ha saputo inoltre creare uno spazio tutto dedito alla diffusione dei linguaggi della cultura, la scuola Fenysia, nel Palazzo Pucci.
Fenysia non è soltanto un luogo di ritrovo durante i frequenti open day che vi si organizzano, ma è soprattutto la definizione più bella che ci può essere di una scuola; la rinascita di un amore intramontabile verso tutto ciò che è cultura, a partire innanzitutto dalla lettura, poi alla scrittura, al linguaggio cinematografico, al linguaggio dell’arte e della musica, alla conoscenza del giornalismo culturale e web.
Vi si può entrare con un test, e soltanto con un punteggio alto, per permettere ai migliori di poter a loro volta migliorare un mondo in costante sfacelo, e costruirne su quelle macerie fatiscenti uno molto più riflessivo, che abolisce gli abusi del potere più indisciplinato, ignorante.
Ecco uno stralcio tratto da Tu paesaggio:
Che magia detieni tu, paesaggio dell’infanzia?
che pozioni maneggi,
che fluvi fai volteggiare in aria?
Quali note vibrano nel silenzio,
se io ti vedo da sempre
e sempre ogni volta che vedo il cielo
col suo tappeto di stelle,
è per la prima volta che lo vedo
La semplicità, che è rimasta ferma nelle origini della poetessa Alba Donati, resta a sua volta ancorata al piccolo paese di provenienza, dove i ricordi, i colori, gli odori e i fischi del vento tra quei monti dell’infanzia hanno con ogni probabilità influenzato tutta la sua vita da lettrice, autrice e sognatrice concreta di desideri possibili.
Lucignana è un piccolo borgo con poco più di centocinquanta abitanti, arroccato tra gli Appennini e le Apuane; si trova in Toscana, nella provincia di Lucca, e da qualche giorno ha respirato un’aria da fiaba sempre grazie alla poetessa che ho scoperto da poco, e che grazie ad essa sta vivendo un periodo di particolare interesse culturale e mediatico.
Alba Donati ha deciso di costruirvi proprio lì la libreria dei suoi sogni, proprio lì dove quel frutto che ha visto crescere e maturare fin da bambina ora è diventato l’albero della sua sapienza.
Nell’orto della madre, dove vi si coltivavano gli ortaggi, immagino ci fosse sempre stata una piccola zona coperta, una stanza tutta per sé, un cottage dove ripararsi dalle intemperie e nascondersi tra la zappa e il badile, e forse leggere alla luce di un lumicino di sera o dallo spiraglio di una finestrella.
È da lì che è stata concepita l’idea della Libreria sopra la Penna; un progetto quasi nato per caso, come una poesia, un modo naturale di vedere un desiderio. Attraverso un crowdfunding Alba Donati è riuscita ad ottenere in due mesi più di diecimila euro in donazioni,e ha iniziato per davvero a costruire un’idea concreta di rifugio culturale, una libreria piccina in un cottage lassù, in un paesello che insieme a tanti altri ha minacciato di poter scomparire da un momento all’altro.
Solo che Alba Donati ha saputo coglierne l’essenza degli ultimi anni, soprattutto quando ha capito che i giovani di Lucignana iniziavano a rifiutare l’abbandono del luogo natio e a ricominciare a farlo rivivere secondo una nuova idea di partecipazione, come si usava un tempo tra compaesani, e ci si voleva un mondo di bene, pur avendo pochi mezzi. Esiste già, infatti, un comitato per la riqualificazione culturale e urbanistica di Lucignana, dove si è pensato ad una residenza per traduttori e artisti, e dove il comitato scientifico raccoglie alcuni nomi illustri come Corrado Augias, Vittorio Sgarbi, Fabio Genovesi e Dario Franceschini.
Insieme all’architetto Valeria Ioele, e ai suoi più stretti collaboratori e compaesani, Alba Donati ha creato uno spazio in cui ha raccolto una collana di libri che tutti dovrebbero leggere almeno una volta nella vita; quei classici intramontabili, tutti belli, che riuscirebbero a zuccherare quest’odio costante che ci riguarda, che ci fa vivere competizioni sanguinose. Esistono inoltre degli spazi che il futuro lettore potrà definire come degli appuntamenti al buio, e dove i libri misteriosi sono incartati e contengono degli indizi scritti con pennarelli colorati, e dove non si enuncia alcun titolo: se ci fidiamo di Alba Donati, quest’amante misterioso ci inebrierà col profumo delle sue pagine interessanti. Qui si possono trovare le collane con citazioni di Sylvia Plath, il tè di Charlotte Brȍnte, i braccialetti ispirati a Emily Dickinson e Rilke, le rose segnalibro dedicati a Jane Austen.
Si può allietare il palato portando a casa le marmellate letterarie, come quella preferita da Virginia Woolf, con mele renette e scorza di limoni, quella gradita da D’Annunzio, con il bergamotto di Calabria e con olii essenziali di rosa, quella dedicata a Paolo Rumiz con cotogne e vaniglia.
Ho scritto una mail alla meravigliosa Alba Donati, proponendole un’intervista e non poteva non esserne felice.
Alba Donati: intervista
Sig.ra Donati, esistono oggi vari tentativi, di cui alcuni discutibili seppur a loro modo apprezzabili, nel far ripopolare un paese in via di abbandono. La sua iniziativa, però, spiazza qualsiasi paragone. Quali potenzialità, secondo lei, potrebbe avere una libreria nell’aiuto a far riavvicinare chi ha deciso di andar via?
Intanto il caso di Lucignana è un po’ diverso, ci sono molti ragazzi, molte coppie giovani e bambini che nascono. Chi è nato a Lucignana al 90% vuole rimanerci, c’è amicizia e solidarietà, in questo è un paese un po’ speciale. In ogni caso l’apertura di uno spazio così è un accensione di vita, è combustibile, e deve essere percepito come spazio comune, di tutti.
L’amore per i libri, così come quello per i dischi (e non alludo a piattaforme digitali), potrebbero davvero far crescere una società secondo una visione univoca di ciò che risulterebbe essere più giusto nella piacevole convivenza col prossimo, abbattendo stupidi errori di convivenza, che spesso sono la prima avvisaglia di un conflitto sociale?
Leggere apre nuove porte, alimenta confronti, leggere è un dialogo. Quale antidoto più forte potrebbe esserci contro quella tendenza al monologo di tanta gente? Il libro è la fine del ‘ Io sono, io penso, io dico’. È come se mettesse il punto interrogativo in fondo a ogni affermazione. Per questo è importante leggere, per non vivere al chiuso di se stessi, per non udire solo l’eco della propria voce.
Viviamo una realtà in cui si legge sempre meno, ma ciononostante, forse per questioni di marketing e di tornaconto, di libri se ne pubblicano a bizzeffe, col rischio che quelli che davvero contano possano perdersi in un mare di mediocrità pompate dalle grosse case editrici. È forse per questo motivo, dunque, se nella sua libreria ha scelto di valorizzare soprattutto quei capolavori che almeno una volta nella vita avremmo dovuto pensare di leggere?
Sì è così. L’editoria fa questo è quello, col risultato che spesso il lettore si confonde. Se legge può fidarsi dei supplementi culturali, oppure del passaparola, ma non tutti sono in questa posizione. Nella mia libreria ci sono soprattutto libri di qualità. E sono contenta perché il pubblico questa cosa l’ha capita bene. Si fidano. A volte mostro un’alternativa: scrivo ‘se hai 20 anni’ puoi leggere Red oppure puoi leggere Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf. Per adesso Virginia è in vantaggio.
A proposito di capolavori, ho pensato a lei, e mi è venuto in mente un libro che ognuno di noi dovrebbe avere assolutamente, La luna e i falò di Cesare Pavese. Lei è impegnata da anni nella rivalutazione del suo borgo natio, ma quando, di preciso, ha sentito seriamente di ritornare in paese con tutto il cuore per dare un senso al territorio che le ha condizionato inevitabilmente tutta la sua esperienza intellettuale?
Negli ultimi anni il tracciato si è fatto sempre più visibile. Tre anni fa ho ristrutturato la casa è questo è stato fondamentale. C’è poi il fattore umano, che conta molto. Un pensare più diretto, un affetto non esibito ma forte. C’è il luogo dell’infanzia, Zanzotto diceva che non avrebbe potuto scrivere se non circondato dalle sue montagne a Pieve di Soligo. Per me Lucignana è più un ritorno, züruck, back, à rebous, una situazione colma di effetti poetici.
La Libreria sopra la Penna nasce da una riqualificazione in un borgo dove si respirano ancora i valori di un tempo. Eppure la realizzazione di questo sogno è avvenuta tramite un mezzo ultramoderno, il crowdfunding, che ha addirittura superato le sue aspettative. Tale iniziativa mediatica però può nascere solo attraverso i social, oggi motori di ricerca di fatiscenti e aberranti specchi di una realtà corrotta dal potere d’immagine e di gigantismi sedicenti. Lei crede, a questo punto, che forse potrebbe coesistere ancora una percentuale di persone valevoli che se messi insieme riuscirebbero ad abbattere muri di un’ignoranza collettiva ingiustificata?
Io non so cosa penso, ma faccio. Cioè non riesco a stare ferma, immobile davanti al degrado che abbiamo vissuto negli ultimi 20 anni. Tanto che ho aperto una scuola dei linguaggi della cultura che si chiama Fenysia (come la mia zia che faceva la governante in casa d’altri) e adesso questo cottage letterario in un paesino dove regna pace e tranquillità. Non intervengo quasi mai su questioni importanti sui social perché non reggo l’ondata di odio, di stupidità che ne consegue ma cerco di operare in positivo, di guardare avanti. Adoro la forza reattiva di Michela Murgia e credo che lei rappresentanti anche la mia voce.
Carmine Maffei
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I conti con l’oste: l’autobiografia di una nazione e della necessità di non dimenticare le proprie radici
I conti con l’oste è un romanzo di Tommaso Melilli, edito da Einaudi, uscito nelle librerie il 18 febbraio.
Il libro, oltre ad essere autobiografico perché lo scrittore parla della sua esperienza vissuta oltre confine, è un ritratto della nostra società fatta di partenze verso nuovi mondi, speranze verso una vita migliore, viaggi verso l’ignoto, che non mancano di molti risvolti negativi come di quelli positivi.
Tommaso Melilli riassume così, in un paio di tweet, il focus del suo romanzo:
Ero un cuoco italiano a Parigi che non conosceva affatto l’Italia: me n’ero andato a vent’anni, facendo – come si dice – i conti senza l’oste.
Sono tornato a casa, e ho rimediato.
E ancora lo scrittore, parlando della sua esperienza, ricorda due episodi che, negli ultimi anni, hanno segnato profondamente Parigi e non solo: la tragedia del Bataclan e l’incendio a Notre-Dame.
Ecco lo scrittore cosa ci dice ne I conti con l’oste:
La metà di noi era in servizio la notte del Bataclan, e uno di quelli ero io. Un mese fa ha preso fuoco Notre-Dame. Non mi rendo conto di quanto valga anche per le altre città, ma a Parigi le cose ogni tanto bruciano.
Tommaso Melilli decide di andare a Parigi per studiare letteratura ma, dopo qualche anno, si ritrova ad essere chef di un ristorante, un lavoro tranquillo ma che poi, in realtà si rivela tutt’altro che tranquillo perché tra locali in fiamme e ritmi senza sosta, lo scrittore si rende conto che, probabilmente, la tranquillità risiede altrove. Quell’altrove, probabilmente, è ubicato in quello stesso luogo che, vent’anni prima, ha deciso di lasciare perché ciò da cui fuggi, un pò perché non ti riconosci per come vorresti, spesso, è proprio ciò che ti caratterizza e che rappresenta ciò che sei.
Com’è lavorare nella ristorazione, da chef, a Parigi?
I conti con l’oste non è solo un romanzo autobiografico con focus sull’importanza di scoprire o essere ancorato alle proprie radici ma è anche un libro esplicativo sulla condizione lavorativa, vista e vissuta da chi non è del luogo.
Per farvi capire meglio citiamo un passo de I conti con l’oste:
Poi, ci siamo noi, cioè i ristoratori italiani emigrati a Parigi.
…
Tanto tempo fa, i francesi hanno inventato un sistema terminologico dispregiativo per definire i soggetti originari degli stati limitrofi. Come spesso accade con gli insulti di stampo nazionalista, sono forgiati sulla prima cosa diversa che si percepisce nell’altro, quindi cibi tradizionali, tratti del linguaggio, colore della pelle eccetera eccetera: per ovvie ragioni, un inglese era quindi rosbif, un portoghese un tos (per via di Portos, il moschettiere, ma anche bevanda alcolica), i belgi erano gli unici a essere chiamati semplicemente belgi, perché dal punto di vista francese essere belgi è già un insulto di per sé. I corsi, per esempio, li chiamavano les italiens. E siccome gli italiani, quelli veri, hanno sempre enormi difficoltà a pronunciare la “r” nel modo giusto quando parlano in francese, li chiamavano ritals, marcando molto la pronuncia.
Il romanzo di Tommaso Melilli è uno spaccato di vita mostrato con gli occhi di un migrante che ha scoperto il mondo dalle cucine e dalle osterie, oltre che viverlo come si vive un qualsiasi altro luogo. Il suo è un punto di vista originale che mostra un’esperienza di vita vissuta, portandoci a riflettere su molte questioni, a volte, dando anche delle risposte a quesiti che, per molti sono irrisolti o travestiti da illusione e sogno.
In molti vi starete, forse chiedendo, come mai Tommaso Melilli abbia deciso di tornare.
I conti con l’oste si apre con due citazioni e in una delle due, probabilmente, è racchiuso il motivo che ha spinto lo scrittore a tornare in Italia.
Mi riferisco alla citazione di Joan Didion, contenuta nel romanzo, che recita:
Potrei dirvi che sono tornata perché avevo promesse da mantenere, ma forse è perché nessuno mi ha chiesto di restare.
Per avere conferma non vi resta che leggere il romanzo!
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Dizionario del teatro di Patrice Pavis
Immaginato come indispensabile vocabolario della terminologia teatrale, il Dizionario del teatro di Patrice Pavis, arricchito nella presente edizione di numerosi nuovi lemmi e aggiornamenti, costituisce oramai un classico degli studi teatrali.
Accanto alle teorie e alle questioni strettamente legate alla drammaturgia, lo sguardo dell’autore sa estendersi anche alla semiologia, all’antropologia, all’estetica, all’ermeneutica, fino a toccare temi centrali della contemporaneità come il rapporto tra il teatro e i media e la tecnologia, assicurando al volume una forte connotazione interdisciplinare e interculturale, qualità propria di ogni opera che aspira a essere «enciclopedica».
Patrice Pavis: chi è?
È stato professore al Dipartimento degli Studi Teatrali dell’Università di Parigi VIII, oltre che docente presso la Scuola delle Arti dell’Università di Kent.
La cultura occidentale ha una lunga e irta storia di appropriazione culturale, una storia che ha una particolare risonanza all’interno della pratica della performance.
Patrice Pavis si chiede cosa c’è in gioco politicamente ed esteticamente quando le culture si incontrano al crocevia del teatro. Vengono analizzate una serie di importanti produzioni recenti, tra cui Mahabharata di Peter Brook, Indiande di Cixous / Mnouchkine e Faust di Barba. Questi si concentrano su traduzioni, appropriazione, adattamento, incomprensione culturale ed esplorazione teatrale. Non perdendo mai di vista l’esperienza teatrale, Pavis affronta i problemi del colonialismo, dell’antropologia e dell’etnografia.
Questo segnala un movimento radicale lontano dal regista e dalla parola, verso il complesso rapporto tra performance, performer e spettatore.
Nonostante la problematica politica dello scambio culturale nel teatro, l’interculturalità non è un processo unilaterale. Usando la metafora della clessidra per discutere del trasferimento tra cultura di origine e cultura di destinazione, Pavis si chiede cosa succede quando la clessidra viene capovolta, quando la cultura “straniera” parla da sola.Tra i più importanti studiosi contemporanei di teatro, tra le sue pubblicazioni si ricordano L’analyse des spectacles: théâtre, mime, danse, danse-théâtre, cinéma (1996), La mise en scène contemporaine: origines, tendances, perspectives (2007), Dictionnaire de la performance et du théâtre contemporain (2014), opere che hanno avuto numerose riedizioni aggiornate.
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