Dal 29 aprile 2022 su tutte le piattaforme digitali e in tutte le radio “Il tuo sorriso in un cassetto” il nuovo singolo di Carlo per la label Ondesonore Records.
Le più grandi storie d’amore finite non si chiudono mai del tutto, lasciano sentimenti vivi e indelebili che si conservano in fondo a sé stessi. Carlo Bonnici, in arte Carlo, nel suo singolo racconta la storia di un uomo che ha perso l’amore e che combatte ogni giorno con il suo buio per ritrovare nuovamente il sole.
“Il tuo sorriso in un cassetto”, brano emozionale dal genere pop, prodotto dal noto Simone Bertolotti, rappresenta il racconto di un uomo che, dopo la fine di una storia bellissima d’amore, conduce una vita instabile in piena solitudine, buttato nel mondo senza regole ed in pieno caos, alla ricerca di sé stesso e di quei momenti passati dove tutto era meravigliosamente stabile e pieno d’amore. In questo percorso di ricerca l’uomo parla alla figura immaginaria della sua amata confessando di tenere ancora in vita il ricordo del suo sorriso.
Il lavoro di questo brano vanta la collaborazione, oltre a Simone Bertolotti, di Emiliano Bassi che ha registrato la batteria e ha collaborato agli arrangiamenti.
Carlo: biografia
Carlo, al secolo Carlo Bonnici nasce a vigevano il 13 novembre del 1984.
All’età di 15 anni inizia il suo percorso artistico studiando canto con il maestro Fabio Gangi nella scuola della sua città, Vigevano. Nel contempo insieme agli amici di adolescenza impara l’arte della break dance c he esercita per diversi anni. tre anni dopo decide di iscriversi l’accademia M.A.S. di Milano dove decide di proseguire il suo percorso formativo frequentando il corso di TV SHOW per performer (canto, recitazione e danza)
Dopo il primo anno di studi al MAS Carlo viene selezionato per lavori televisivi all’interno di corpi di ballo di trasmissioni televisive della RAI e di Nickelodeon. E cosi che nasce una collaborazione proficua con diverse emittenti televisive, che al terzo anno del MAS lo portano ad essere scelto per dare la propria voce nella sigla di IDOLS, programma televisivo del canale TV BOING. Da allora, Carlo cementa la propria passione per il canto, e decide di specializzarsi negli anni seguenti chiedendo supporto e formazione a diversi Vocal Coach.
Intanto il percorso al MAS si conclude con il conseguimento del diploma, ottenuto con il massimo dei voti: la formazione musicale non conosce però fine, e decide di proseguire i suoi studi alla scuola civica Costa di Vigevano, dove Carlo inizia lo studio del pianoforte per rendere ancora più forte il legame con la musica ed affinare le proprie qualità di compositore.
Nel 2013 fonda la Band Maetrika, con la quale incide il suo primo disco, “L’identità”, sotto la produzione artistica di Cristiano Roversi e distribuito dall’etichetta discografica Ma.ra.cash records. Nell’album di esordio pop rock dei Maetrika è contenuto, tra gli altri, il singolo “Una notte magica” che in sole due settimane dalla sua uscita conquista le classifiche radio indipendenti e alcuni passaggi televisivi.
Nel 2017 Carlo, segnato da vicissitudini della sua vita privata, sente il bisogno di cantare e scrivere canzoni intimamente connesse alla propria inquietudine, ed inizia così un progetto da solista che gli impegnerà molte ore di scrittura per dare alla luce il suo nuovo album, il primo da solista. Dal 2019 al progetto collaborano esperti musicali di primissimo piano, come il produttore Simone Bertolotti, tra i più importanti e noti del panorama italiano (Producer di Marco Mengoni, Ermal Meta, Laura Pausini, Elisa, Bugo e molti altri), il quale accetta di intraprendere questo progetto lavorando sull’intera produzione del disco, ad oggi in fase conclusiva di lavorazione.
Nel 2020 entra a far parte della squadra di “Deejay Fox Radio Station”, web radio dove conduce insieme a Gabriele Boati, la trasmissione Oibò, un programma interamente dedicato alla musica rock e underground.
Nel 2021 si certifica Vocal Coach nel metodo Vocal Power di Elisabeth Howard.
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Corto e a capo 2022: la VIII Edizione!
“Guardare con occhi nuovi la realtà che ci circonda, non c’è nulla di meglio della rappresentazione per comprendere a fondo la realtà e liberarci dalle paure”. Così presenta il direttore artistico Umberto Rinaldi il tema della VIII Edizione di Corto e a Capo – Premio Mario Puzo:“Mostri senza pretese”, che si svolgerà dal 23 al 29 agosto 2022 nelle provincie di Benevento e Avellino. Un Festival del Cinema nelle Aree Interne e fa rete con associazioni locali (pro loco e amministrazioni comunali) con l’obiettivo di rendere le periferie centrali grazie al cinema: nucleo di CEAC – Premio Mario Puzo è il concorso che ogni anno ci entusiasma con centinaia di opere che giungono da tutto il mondo. Il momento della selezione è duro ma allo stesso tempo il più interessante, – continua il direttore artistico – come lo è il viaggio attraverso le varie cinematografie, più di 300 opere con più di 30 paesi partecipanti tra cui nazionalità solitamente poco presenti nei festival (Cile, Messico, Pakistan ecc.). Un giro intorno al mondo con la cornice dello schermo che lascia sempre grande emozione e soddisfazione, con dei contenuti molto solidi e riflessivi, probabilmente figli del biennio di pandemia che abbiamo attraversato.
Corto e a capo 2022: il programma
Martedì 23 agosto si aprirà VIII Edizione del Festival a Castelvetere sul Calore con la tavola rotonda “Le aree interne sul grande schermo” Può il cinema riuscire a promuovere i territori periferici? Ascolteremo diversi ospiti: gli amministratori locali, i rappresentanti di alcune Film Commission e della Regione Toscana, diversi addetti ai lavori e della Cooperativa di Comunità di Castell’Azzara (GR) che ci introdurranno – prima della proiezione – il documentario partecipato “Come muschio sui Sassi”, opera realizza per raccontare e promuovere il territorio dell’Amiata. La serata proseguirà nel centro storico/albergo diffuso di Castelvetere con il concorso di Cortometraggi, ospiti e autori.
Mercoledì 24 e giovedì 25 agosto saranno due giorni di grande emozione e onore, grazie alla presenza del Maestro Ken Loach, portabandiera anglosassone e mondiale del cinema di denuncia. Il Festival proporrà una piccola retrospettiva della sua filmografia con la proiezione di alcuni cortometraggi e opere del regista anglosassone, tra questi Sorry We Missed You (Belgio 2019) il 24 agosto, ore 19.00 il festival che proseguirà in serata nella splendida location dei Marzani a San Giorgio del Sannio. Il giorno dopo – giovedì 25 agosto ore 18.30 – alla Cavea di Venticano (AV) la cerimonia di consegna del Premio Mario Puzo a Ken Loach: “Assegnare al Maestro il Premio Mario Puzo è un sogno che si realizza, un riconoscimento che ci sembra quanto mai naturale per uno dei pochi autori nel panorama mondiale che ha saputo innovarsi rimanendo sempre se stesso, che ha saputo interpretare le istanze della classe lavoratrice e renderle centrali in un contesto cinematografico che spesso se ne dimentica, le lascia ai margini o le tratta con racconti e gag stereotipati”. A seguire il festival sarà a Colle Sannita, tra le piazze del Centro Storico.
Venerdì 26 agosto alle 18.00 alla Cavea di Venticano (AV) il cinema coinvolge i più giovani con il laboratorio “Disegnare il cinema – Il cinema visto dalle matite dei più piccini”. Dopo la grande e felice partecipazione dello scorso anno, il festival propone un breve percorso, condotto dal maestro Gianpiero Mustone, che permetterà ai giovanissimi di venire a contatto con i fotogrammi cinematografici, di capirne tecniche e dettagli e di cercare di reinterpretarli secondo la propria fantasia su carta, in un esperimento sospeso a metà tra pittura, fumetto e settima arte. Andremo poi a Torrioni (AV) con il concorso di cortometraggi e alcune presentazioni in esclusiva. Sarà Ascanio Celestini sabato 27 agosto che ci condurrà nel vivo delle celebrazioni dei 100 anni dalla nascita del grande Pier Paolo Pasolini.
Alla Cavea di Venticano (AV) l’attore, regista, scrittore e drammaturgo romano sarà protagonista di un’intervista intorno alla figura di Pasolini, alla sua attualità, alla sua grandezza e alla sua capacità di essere ancora controverso, cercheremo di analizzare le pieghe più nascoste e insondate del grande autore italiano. Ascanio Celestini è uno dei rappresentanti più importanti del teatro di narrazione. I suoi spettacoli, preceduti da un approfondito lavoro di ricerca, hanno la forma di storie narrate in cui l’attore-autore assume il ruolo di filtro con il suo racconto, fra gli spettatori e i protagonisti della messa in scena.
Sarà Giuliana De Sio che, domenica 28 agosto a Venticano con il suo spettacolo “Favolosa“, ci porterà nel mondo delle favole di Basile riattualizzate e riproposte attraverso la chiave affascinante delle parole, della musica e dei corpi a smascherare mostri ancora. Fiabe irriverenti, esplicite, romantiche, divertenti ma anche talvolta cattive. Dal nord al sud, le fiabe scelte per questo spettacolo sono storie surreali appartenenti alla nostra tradizione. Diversi gli scenari, mille i volti e tante contraddizioni nelle quali da sempre convivono vitalità e disperazione. Musiche di Marco Zurzolo, Cinzia Gangarella e Sasà Flauto. Si chiude lunedì 29 agosto con l’omaggio a Ettore Scola, la visita guidata alla casa natale del maestro. In serata la cena spettacolo dedicata al regista con proiezione di video e storie di Ettore Scola, testimonianze e curiosità sul grande regista. A seguire il laboratorio Slow Food Avellino ATP sui mostri in tavola e la qualità del cibo, una degustazione per conoscere insidie e minacce che si nascondono dietro a cibi comunemente familiari.
Non mancherà la V Edizione del Workshop di documentario partecipato un momento in cui il protagonista non è solo quello che racconta o che fornisce informazioni ma è colui che partecipa attivamente alla realizzazione del progetto, che mette l’occhio nel mirino della telecamera e restituisce una propria visione delle cose (del mondo, della storia, dei fatti) attraverso le immagini. I workshop di documentario partecipato di CEAC hanno creato una piccola mediateca di visioni e di riflessioni su realtà locali e tematiche universali. Il senso di questa attività è quella di stimolare nei partecipanti la necessità di raccontarsi tramite immagini e quindi di confrontarsi con questo nuovo linguaggio, sempre più presente nell’espressione quotidiana delle persone, ma spesso usato in modo poco consapevole o da semplici fruitori. Uno dei lavori di quest’anno sarà: Benevento, Pasolini, il pudore e la censura Breve racconto del processo per oscenità che il film I Racconti di Canterbury ha subito a Benevento nel 1972. Una raccolta di documenti e testimonianze che vuole raccontare sinteticamente una storia giudiziaria, dimenticata da molti, che da semplice atto formale e processuale è diventata un baluardo e un manifesto della lotta alla censura. Il tutto nato in un contesto piccolo e periferico come quello di Benevento.
CEAC – Premio Mario Puzo si caratterizza soprattutto per le sue attività collaterali e diffuse. Uno dei centri sarà la Libreria Casa Naima di San Giorgio del Sannio dove il 24 agosto alle ore 19.00 si inaugurerà la mostra “Inside Pasolini” di Alessandro Rillo, aperta per tutta la durata del festival con approfondimenti sulla persecuzione, sui film e sull’Uomo medio. Vernissage con aperitivo, lettura poesie e interventi.
Aperitivi con l’autore, il cinema scritto a lettere anziché con immagini, un modo per esplorare universi paralleli letterari che con il cinema sono legati. L’iniziativa è curata da Enrica Leone: docente di lettere, cosceneggiatrice della webserie Editoria Terrona, membro della redazione del blog popolare Resistenza civile. Gli eventi sono svolti con l’insostituibile supporto organizzativo e la consulenza della Libreria Naima. Venerdì 26 agosto alle ore 19.00 Gomorra. Fenomenologia di un successo seriale (Colonnese Editore) di Alberto Castellano, saggista e critico cinematografico napoletano. Sabato 27 agosto ore 19.00 Grazie per averci seguito (Bibliotheka Edizioni) di Valerio Vestoso, autore e regista beneventano. Domenica 28 agosto, nella Piazza Venticano ore 11.30 Blanca e le niñas viejas (Edizioni EO) di Patrizia Rinaldi autrice partenopea di grande seguito.
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Ordinary Man di Ozzy Osbourne. Il Rimbaud di Una Stagione all’Inferno
Sì, sono d’accordo quando tutti tendiamo a blaterare le solite accuse nell’istante in cui un vecchio lupo torna a farsi vivo dalla sua tana, anch’essa un pò sghemba.
Ripensiamo all’assurda leggenda che spesso sarebbe meglio bruciare tutto e subito e, magari, lasciare ai posteri la testimonianza di chi ha visto allumare la vita di un uomo ancor giovane e talentuoso con la stessa velocità di un cerino.
Assurdità figlie di falsi miti e occidentalismi che si fingono estremismi d’affetto.
Ozzy Osbourne, con Ordinary Man (Epic-Sony Music), ha sentenziato la sua potenza emotiva e la sua verve classica nelle parole soavi di un poema che abbraccia la misura più sentimentale che avrebbe potuto elargire. E l’età conta. Certo che conta, perché non dimentichiamo che con l’età la mente di un uomo che ha realmente vissuto, prende esempio dal suo stesso esempio, e ha uno scenario dietro di sé così ricco –di pregi quanto di insormontabili errori- che alla fine non può che raccontarsi e smembrare palmo a palmo una storia da ricucire infine nel testamento più colorito che possa esistere, con i lasciti che hanno il sapore di ciò che non si è mai lasciato indietro, con un leggero retrogusto di risentimento.
E non azzardiamoci a osannare questo superbo disco come davvero un testamento perché il senso di questo termine proviene in questa occasione dalla presa di coscienza di un uomo che ha raggiunto quella maturità, ebbene tardiva, nell’apprendere che è giunta l’ora di raccontare di sé con la riuscita di un obiettivo: il ritratto della perseveranza di una promessa non sempre mantenuta.
È il ricongiungersi con la vita nonostante si ha come l’idea, con un ascolto distratto, di subirne l’effetto contrario.
In cosa consisterebbe, secondo la stampa musicale mondiale, l’arrendevolezza di un’artista infuocato come Ozzy Osbourne? Sarebbe per caso la resa di un uomo la testimonianza di un lavoro così esaltante, che grida all’impazzata un autentico ritorno agli antichi fasti, questa volta arricchitisi con gli ornamenti della saggezza di un uomo vissuto, e in tutti i sensi?
Non scherziamo. Se soltanto tornassimo indietro di qualche anno, Blackstar, l’ultima testimonianza di David Bowie ci sembrava un miracolo avanguardistico, di una potenza inaudita,e di un’originalità inusuale…e poi dopo un paio di giorni, alla sua morte, ne abbiamo colto il senso drammatico. Non dimentichiamoci che Robert Smith, voce e emblema dei Cure, a quarant’anni scrisse l’epitaffio della sua carriera musicale, esperto kafkiano qual è, ma poi il viaggio continuò eccome!
A proposito di letteratura, di poesia e di opere che raccontano una fine imminente, il grande Arthur Rimbaud, ad appena diciannove anni, scrisse ciò che si potrebbe definire la sua opera più completa, la sua testimonianza di maturità, che odora di resa e di morte, quest’ultima intesa però come animo più oscuro dell’uomo nella società moderna: Una Stagione all’Inferno.
Detto ciò non è scontato che un uomo dalla profondità esemplare possa arrivare sempre precocemente alla presa di coscienza della funzionalità del suo ruolo nella società, attraverso la formazione che gli è stata dapprima imposta, e che poi è diventata la sua dottrina attraverso cui ne ha distorto le regole, con gli eccessi e i vizi, uccidendone così le esternazioni che invece avrebbe dovuto elargire se avvezzo soltanto alla lucidità.
Arthur Rimbaud morì ad appena trentasette anni, quando aveva invece descritto tutta la sua filosofia in un’età sicuramente più imprevedibile per un pensiero simile, testamento a posteriori che oggi viene ancora valutato dalla critica come la testimonianza della crisi dell’uomo moderno.
Ordinary Man: recensione
E Ozzy Osbourne cosa ha descritto in Ordinary Man?
Con la traccia che apre il disco, Straight to Hell, ha esposto il pensiero rimbaudiano già ancor prima che si entri nel cuore stesso dell’opera.
Scrive Davide Rondoni, nella prefazione all’edizione BUR:
L’inferno rimbaudiano è una situazione dove si sa che esiste altrove un destino di felicità e tuttavia manca la chiave, la via (la verità in anima e corpo) che a esso conduce. Solo che è un inferno in terra. È l’inferno delle utopie.
Così come ci canta Ozzy Osbourne in questa traccia:
Stai volando più in alto di un aquilone stanotte
hai toccato la vetta e ti senti bene per questo
che la tua danza sia la morte che dovremmo celebrare
ti farò urlare e ti farò defecare
dritto fino all’inferno stanotte.
La curiosità sta nel comprendere la sinuosa impressione che la tematica dell’album rispecchi a pieno la filosofia del poeta francese.
Ecco come si apre Una Stagione all’Inferno:
Un tempo, se mi ricordo bene, la mia vita era una festa ove si aprivano tutti i cuori e tutti i vini scorrevano.
Così nella seconda canzone, All my life, ecco cosa ci viene descritto:
Stavo lì ad oscillare sull’orlo
Rimirandomi il bicchiere tra le mani…
In Goodbye, che sembra voglia emulare l’Adieu rimbaudiano compreso in Una Stagione all’Inferno:
Ricordi scuri, ricordi scuri
Mi destano di notte
e tu mi lasci incompleto
perché sei sempre nel giusto
e non potrai mai cambiarmi..
Come quando Arthur Rimbaud ci narra:
Tutti i ricordi immondi si cancellano. I miei ultimi rimpianti sfumano (…) basta cantici: tenere il passo. Dura notte!
Il singolo Ordinary Man, title track che impazza in radio, con le dovute motivazioni, è di sicuro una delle ballad più sentite della carriera dell’ex Black Sabbath, con la straordinaria partecipazione di Elton John, che si immedesima negli eccessi dell’amico, che allo stesso tempo ne tastano i suoi stessi ricordi:
Non dimenticarmi mentre si attenuano i colori
Quando le luci sfumano non resta che un posto vacante…
Una delle canzoni più struggenti, uscita come singolo nel novembre 2019, è di sicuro Under the Graveyard, il cui videoclip, addirittura più commovente della traccia stessa, non è altro che un cortometraggio, con tanto di attori ( Jack Kilmer, figlio di Val Kilmer, interpreta Ozzy Osbourne nel pieno degli eccessi, appena licenziato dai Black Sabbath).
La meta sembra sempre vicina per tutta la durata dell’album, e spesso tale dirittura d’arrivo è incentrata in un sepolcro, quando appena un passo indietro si potevano incontrare le esplosioni di vita e le ammalianti conquiste da rockstar, che non sono che l’accelerazione verso la stessa fine, che odora di rimorsi e che ricalca le sue ombre, che si immedesimano nella più buia contemplazione di sè stessi.
Arthur Rimbaud:
Mi sono ingannato? Per me la carità sarà sorella della morte?
Infine chiederò perdono per essermi nutrito di menzogna.
E avanti…
E in Eat me, Ozzy Osbourne ricalca quasi con lo stesso tono:
Salvami, seppur sul tardi
non ho limiti di scadenza
il mio sangue mai tasterà la vecchiaia
quindi nutriti di me adesso…
E anche se in Holy for Tonight, altra traccia toccante per le tematiche dal gusto dark, si enuncia all’arrivo di una lunga notte, “la più lunga della mia vita”, si tocca con mano davvero la consapevolezza di un arrivo, che forse nel suo impreciso momento significa l’inizio di una nuova partenza, questa volta col bagaglio della consapevolezza di un essere rinato nello spirito, che ha rivisto la sua vita con la saggezza di un’età avanzata.
L’uomo moderno, essere perennemente immaturo, conserva spesso una coscienza che subentra come se nell’attimo stesso in cui lo coglie impreparato, pare voglia coincidere con una lunga parentesi buia, che sembra adocchi alla persecuzione della morte.
Ordinary Man è un disco che merita applausi, che non cede nella drammaticità emotiva delle parole, mai come in questo caso, che alludono alle condizioni difficili che hanno interessato il cantante negli ultimi due anni, e che pongono, per una strana coincidenza, tutti noialtri in questi momenti che stiamo vivendo con ansia, un ragionamento sull’incapacità dell’uomo dinanzi la coscienza di un disastro, un conflitto, una guerra che conserverà cicatrici seppur sarà vinta.
Ordinary Man è la considerazione di Arthur Rimbaud su pentagramma che sfida ogni illusione umana, che abbatte certezze sociali, etiche e religiose, che si fa scudo con l’eterna forzata consapevolezza della musica impressa nell’uomo ordinario.
Carmine Maffei
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Sine Diez. Musica per piedi innamorati al Trianon Viviani
Un omaggio musicale a Diego Armando Maradona e il ritorno sulla scena dello spettacolo Adagio Napoletano sono gli appuntamenti della prossima settimana del Trianon Viviani.
Giovedì 25 novembre, alle 21, a un anno esatto dall’improvvisa scomparsa del Pibe de Oro, il teatro della Canzone napoletana, diretto artisticamente da Marisa Laurito, ospita Sine Diez. Musica per piedi innamorati. Mentre, da venerdì 26 a domenica 28 novembre, torna in scena lo spettacolo che ha inaugurato la stagione teatrale 2021/2022: Adagio Napoletano. Cantata d’ammore, il musical con la compagnia Stabile della Canzone napoletana scritto e diretto da Bruno Garofalo.
I biglietti sono acquistabili presso il botteghino del teatro, le prevendite autorizzate e online sul circuito AzzurroService.net. Il botteghino è aperto dal lunedì al sabato, dalle 10 alle 13:30 e dalle 16 alle 19; la domenica dalle 10 alle 13:30. Informazioni: sito istituzionale teatrotrianon.org, tel. 081 2258285. È obbligatorio il possesso del green pass e l’uso della mascherina. Il botteghino del teatro è aperto, da lunedì a sabato, dalle 10 alle 13:30 e dalle 16 alle 19; domenica e festivi, dalle 10 alle 13:30.
Sine Diez. Musica per piedi innamorati
Sine Diez. Musica per piedi innamorati – Scritto da Stefano Valanzuolo in forma di racconto con musica, Sine Diez è un tributo accorato al grande calciatore argentino, la narrazione a ritmo di jazz della storia d’amore senza fine tra la figura del Mito del calcio e Napoli, in una dimensione nostalgica e al tempo stesso eroica, fuori da ogni retorica che non sia, semplicemente, quella sana e incrollabile della passione.
Con il contrappunto di musiche di Astor Piazzolla, Bill Evans, Lucio Dalla, Enrico Valanzuolo e standard della tradizione argentina, Sine Diez ci racconterà sette anni di storia di tifo, di amore spudorato nei confronti del giocatore più forte di sempre, di un amore nato sul campo e accudito anche altrove. Sette anni di emozione, amore, speranza, rabbia e gioia. Sette anni di calcio, ma non solo.
Spiega l’autore Valanzuolo:
Tra Maradona e Napoli c’è un rapporto che neppure la morte è riuscita a scalfire. Sarebbe stato impossibile descrivere una storia così intensa solo con le parole: per fortuna, allora, che esiste la musica.
Prodotto da Maggio della Musica, Sine Diez vede in scena Paolo Cresta, recitante, Nino Conte, alla fisarmonica, André Ferreira, al contrabbasso, ed Enrico Valanzuolo, alla tromba, che firma anche gli arrangiamenti.
Paolo Cresta – Si è formato all’Accademia d’Arte drammatica del teatro Bellini di Napoli. Collabora in teatro con diversi registi tra cui Renato Carpentieri, Claudio Di Palma, Luca De Fusco e Arturo Cirillo. Ha lavorato in radio con Rai International ed è stato, per Rai Educational, protagonista di varie sitcom per ragazzi e voce narrante della serie di documentari Gate C. Per la Emons sta incidendo gli audiolibri della serie del commissario Ricciardi di Maurizio de Giovanni. È docente di Recitazione presso la Bellini teatro factory e di Dizione presso la scuola del teatro Mercadante – teatro Nazionale.
Nino Conte – È nato a Napoli, nel 1997. Studia fisarmonica presso il conservatorio di san Pietro a Majella. Inizia gli studî, all’età di undici anni, con Antonio Sorrentino. Prosegue, negli anni, con Walter Di Girolamo e Francesco Gesualdi. Membro attivo del gruppo di musica balcanica ‘O Rom, vanta diverse collaborazioni, tra cui quelle con ‘E Zezi, Marcello Colasurdo e Daniele Sepe, con il quale partecipa all’incisione dell’album Le nuove avventure di Capitan Capitone.
André Ferreira – Contrabbassista portoghese, il suo percorso accademico e professionale si è sviluppato a Lisbona, dove ha conseguito nel 2013 la laurea in Jazz e Musica moderna presso l’università Lousiada. Nel 2015 si è trasferito per studio all’Aia, in Olanda. È membro stabile di alcuni progetti musicali rilevanti nel panorama jazz portoghese, come quello del pianista Diogo Santos e del chitarrista spagnolo Javier Alcantara, con il quale ha registrato diversi dischi, nel corso degli anni. Si è trasferito a Napoli nel 2020, acquisendo presto una buona notorietà sulla scena jazzistica.
Enrico Valanzuolo – Trombettista, compositore e arrangiatore, è diplomato in Musica e Tromba Jazz presso il conservatorio di san Pietro a Majella. Studia con Giulio Martino, Marco Sannini, Umberto Muselli e Pietro Condorelli. Ha partecipato a masterclass tenute da Barry Harris, Fabrizio Bosso, Daniel Rotem e Roberto Giaquinto. Suona in formazioni jazz ed è membro del gruppo di world music Azul. È stato ospite, come solista, di sale importanti e varie rassegne musicali e teatrali (Campania teatro festival Italia, Maggio della Musica, Il canto delle sirene, Casa del Jazz di Roma). Nel 2020 ha formato un quintetto a suo nome, incidendo l’album Live in Macondo, in uscita a dicembre 2021.
Adagio Napoletano. Cantata d’ammore – Già presentato con successo di pubblico in streaming nel periodo più critico della pandemia, da venerdì 26 a domenica 28 novembre (il venerdì e il sabato alle 21 e la domenica alle 18), ritorna la produzione più significativa del teatro della Canzone napoletana. L’allestimento prevede il ricco cast di attori, cantanti, danzatori e musicisti della compagnia Stabile, che Marisa Laurito definisce «la spina dorsale portante del teatro». Lo spettacolo è un viaggio nelle melodie partenopee del Novecento, un susseguirsi di quadri singoli e indipendenti che spaziano tra varie stagioni ed emozioni in uno scenario altamente evocativo delle atmosfere, dei luoghi e delle immagini che costituiscono la componente estetica della città. Una produzione significativa, insomma, che, valorizzando il maggiore bene culturale endogeno, ovvero il nostro patrimonio musicale, mira anche a contribuire al potenziamento dell’offerta turistica partenopea. Per questo motivo, lo spettacolo sarà riproposto periodicamente nel teatro storico di Forcella.
Racconta l’autore, scenografo e regista Bruno Garofalo:
In Adagio Napoletano non c’è un filo conduttore o delle sequenze temporali: gli interpreti e i personaggi in costume novecentesco rievocano alcuni riferimenti canonici delle nostre infinite “collezioni” di melodie (maggio e le rose, gli emigranti, la strada, le tammurriate, i pescatori, il mercato e il varieté), alcune immortalate nel Novecento, altre recuperate e inedite in questo contesto, ma che rappresentano sempre una sostanziale importanza per il nostro discorso che spazia dal recupero filologico allo spettacolo puro.
In scena Lello Giulivo, Susy Sebastiano, Francesco Malapena e la partecipazione di Gigio Morra. Con loro Laura Lazzari, Matteo Mauriello, Salvatore Meola, Gennaro Monti, Nadia Pepe e Fernanda Pinto. Costumi di Mariagrazia Nicotra, arrangiamenti di Tonino Esposito, movimenti coreografici di Enzo Castaldo e immagini videoscenografiche di Claudio Garofalo.
La direzione musicale è di Pino Perris, che ha anche curato le rielaborazioni delle canzoni. Disegno delle luci di Gianluca Sacco. Suono di Daniele Chessa. La musica è eseguita dal vivo da Gaetano Campagnoli (clarinetto e sax soprano), Ciro Cascino (tastiere), Gennaro Desiderio (violino), Luigi Fiscale (batteria), Gaetano Carmine Marigliano (flauto e ottavino), Stefano Minale (tromba e flicorno), Pino Perris (pianoforte), Claudio Romano (chitarra e mandolino), Luigi Sigillo (contrabbasso) e Alessandro Tedesco (trombone).
Con la collaborazione della scuola Essenza danza, diretta da Emanuela Ritondale e Raffaele Speranza, il balletto è composto da Federica Avallone, Priscilla Avolio, Andrea Cosentino, Martina Del Piano, Alex Di Francesco, Alberto Esposito, Olimpia Graziosi e Carmine Rullo.
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