Cantine Aperte da Aminea Winery con trekking tra i vigneti autoctoni irpini, degustazioni, pietanze tipiche abbinate ai vini di produzione aziendale, serviti in terrazza al riverbero di una vista mozzafiato.
Questo è il programma che prenderà forma a il 28 e 29 maggio a Castelvetere sul Calore, uno dei borghi più belli dell’Irpinia, rinomato soprattutto per l’ottimo Taurasi Docg.
L’evento è patrocinato dal Movimento Turismo del Vino, un’associazione che accoglie le cantine più prestigiose d’Italia e promuove l’enoturismo in tutte le sue forme.
“Cantine Aperte” è l’appuntamento più importante e più amato dai winelover.
Cantine Aperte da Aminea Winery: il programma
L’avventura inizia alle ore 11.00 con l’arrivo in cantina per poi dare il via al trekking immersi nel verde dei vigneti irpini che producono le uve tanto apprezzate dagli amanti del vino. Alle 12,00 i visitatori entreranno nella cantina per degustare il Fiano 2020, estratto direttamente dalla barrique, sprigionando quindi tutto il suo profumo.
Alle 12.30 il momento più atteso: lo “Chic Nic in terrazza”, un elegante pic nic dove si potranno degustare i vini abbinati ai migliori piatti tipici del territorio, tutto questo con vista sui vigneti e circondati dalla natura.
Cantine Aperte da Aminea Winery: menù
Il menù è composto da salumi e formaggi per antipasto, che saranno seguiti da fagioli quarantini, un prodotto tipico che nasce solo in Irpinia e che si fregia del presidio Slow Food, un’associazione che tutela e valorizza le piccole eccellenze gastronomiche. Dalla tradizione antica dei fornai irpini arriva l’ucciolo una focaccia che accompagna le verdure di stagione.
Tra le bontà da gustare: i pomodori secchi e le melanzane, per poi concludere con dessert. In degustazione lo spumante “Donna Laura” un vivace rosé e il vino di punta di Aminea Winery, il “Monsignore”, aglianico strutturato scelto per esaltare al meglio le pietanze dello “Chic Nic”.
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Nasce P.OU.F: il collettivo dei festival indipendenti pugliesi
Nasce P.OU.F (Puglia Outsider Festival), un collettivo dei festival indipendenti pugliesi, mai seduti troppo “comodi”.
La community P.OU.F nasce dall’idea di unire i boutique music festival di Puglia, mettere in rete quelle realtà che, negli anni, non si sono mai sedute né sentite “troppo comode”, fermamente convinte che cultura è lavoro e il sorriso del proprio pubblico viene prima di tutto.
Promotori dell’iniziativa, in ordine alfabetico, sono:- Coopera Village
- Distorsioni Fest
- Farm Festival
- Giovinazzo Rock Festival
- Heart Fest
- Mundi Festival
- Musa Festival
Il progetto nasce con l’obiettivo di sottolineare come la competizione non sia l’unica modalità per crescere, specie per chi è contro qualsiasi tipo di monopolio e appiattimento del settore.
Ogni festival coinvolto è il primo fan degli altri. Tutte le realtà fondatrici sono, infatti, certe che con poche e piccole azioni ragionate si possa amplificare lo sforzo di tutti per far sì che, in maniera scalare, il proprio brand e la propria terra beneficino di una crescita congiunta.
Comunicazione attenta e capillare e dialogo costruttivo con istituzioni e partner potenziali sono i punti di partenza di P.OU.F.
Le porte del collettivo, che oggi è radicato nei territori di Bari e BAT, sono aperte a tutte le realtà pugliesi in linea con i valori esplicitati nel “manifesto”.Il calendario della community P.OU.F
– Lividi – Distorsioni Fest Preview (teatro Kismet, Bari) 24 giugno (già svolto)
– Preview Coopera Village (Barsento Paradise, Noci) 7 luglio
– Coopera Village 2023 (Barsento Paradise, Noci) 13-14-15-16 luglio
– Farm Festival 2023 (TBA)
– Heart Fest 2023 (Ex Monastero di Santa Maria di Colonna, Trani) 19 agosto-more tba
– Distorsioni Fest 2023 (Atrio Palazzo De Mari, Acquaviva delle Fonti) 25-26-27 agosto
– Giovinazzo Rock Festival 2023 (Piazza Porto, Giovinazzo) 2 settembre-more tba
– Musa Festival 2023 (Via Dante, nei pressi del Parco Comunale, Rutigliano) 8-9 settembre
– Mundi Festival 2023 (Castello Svevo, Sannicandro di Bari) 8-9 settembre -
No, non ti conoscevo è il nuovo singolo dei Frijda
Fuori il nuovo singolo della band catanese, estratto dal nuovo album Scacco matto.
In radio e già disponibile in tutti gli store digitali “No, non ti conoscevo” il nuovo singolo dei Frijda, anteprima del- loro primo album Scacco Matto.
I Frijda sono una delle band più interessanti della scena rock italiana, prodotti da Luca Venturi e Giovanni Grasso, per On the set con distribuzione Artist first.
Il singolo è stato registrato e mixato a Milano al Metropolis Studio da Alessandro Marcantoni ed al NuevArte studio di Misterbianco (CT) da Carlo Longo, arrangiato da Franco Muggeo e masterizzato Claudio Giussani presso l’Energy Mastering di Milano. Il videoclip, diretto da Filippo Arlotta, è stato girato a Catania al Lido Le Palme.
Scritto da Giovanni Grasso, Giancarlo Sciacca (Thor dei Frijda) e Alfio Santonocito, il brano ci proietta verso una calda estate fatta di “risvegli”.
Frijda:
No, non ti conoscevo” è una power ballad che ci “schianta” verso un’attrazione carnale che toglie il fiato all’ anima. Quando una donna sconosciuta diventa essenza di un peccato, dopo averlo toccato con mano, non consente più alcuna via di salvezza.
Frijda: biografia
I Frijda nascono a Catania da un’idea del cantante Giancarlo Sciacca (alias “Thor”), che dopo esperienze in altre cover band rock sentì il bisogno di poter fare della musica propria per poter soddisfare la sua voglia di esprimersi e dare pace al suo animo irrequieto. Dopo un primo periodo di cambiamenti, la Band giunge alla formazione definitiva composta da Thor alla voce, Gaetano Giuttari e Luke Anthony alle chitarre, Domenico Cottone al basso ed Edoardo Bonanno alla batteria. Il genere che si professano di suonare è il “Rock”, un rock che ha le sue fonti di ispirazione nelle band storiche statunitensi e britanniche che hanno colpito la loro adolescenza, adattato all’evolversi del tempo e alle concezioni musicali dei nostri giorni e del nostro paese.
Il nome “Frijda” non è altro che un omaggio al pensiero artistico della pittrice messicana Frida Kahlo, dalla quale Giancarlo rimase molto colpito durane gli studi universitari.
In questa piccola donna egli vide un esempio di forza di vivere sovrumana nonostante le difficoltà della propria esistenza, una forza che è evidente nelle sue opere che non dipingono sogni, ma realtà e della sua celebre frase, “Pies para què los quiero si tengo alas para volar?” (A che mi servono i piedi se ho le ali per volare?), ne fece il motto della propria band.
Sin da subito la Band ha iniziato un percorso live molto intenso tra locali, piazze e concorsi ottenendo sempre un grande consenso grazie al sound accattivante e al carisma del proprio leader.
I Frijda hanno aperto anche concerti di artisti del calibro di Franco Battiato, Lucio Dalla e Mario Venuti.
Nel 2018 hanno pubblicato il loro primo singolo “Mentre muori di piacere”, e nel 2020 il loro secondo singolo “Lo dedico a te” con anteprima su “TgCom”.
Recentemente, il 25 Marzo, in occasione delle “Giornate Rapisardiane”, una commissione di letterari ha scelto un brano dei Frijda, Impura poesia, corredato dal video in stile ottocentesco, girato da Simona Brance’, per rappresentare in musica la poetica del “Vate etneo”, ovvero il grande poeta catanese Mario Rapisardi.
La Band ha ricevuto importanti recensioni su alcuni dei più grandi portali dedicati all’arte non soltanto italiani, ma anche europei, specialmente Francia e Spagna, tra tutti questi possiamo citare “Arts Direct”, “Lux Cultural”, “Tutto RocK”, “Ars Magistris”, e “Ok Arte”, ottenendo sempre grandi consensi.
Il loro primo album “Scacco Matto” è prodotto da Luca Venturi per la “On The Set “, di Milano.
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Fabrizio De André: le origini e la scoperta dell’uomo ancor prima dell’artista
Uno dei più grandi filosofi e sociologi mai esistiti, Friedrich Engels, in una lettera al suo amico Karl Marx, espresse il suo disagio nell’ammettere che essendo lui un benestante, figlio di un grande imprenditore tessile tedesco, non riuscisse a cimentarsi perfettamente nel ruolo di chi avrebbe preso le difese della classe operaia o comunque meno abbiente.
Intanto fu grazie a lui e alle sue risorse, se alcune delle opere che conosciamo, come Il Manifesto del Partito Comunista o Il Capitale, riuscirono ad ottenere una pubblicazione, applicando cambiamenti radicali al mondo economico.
Non deve disturbare, dunque, la certezza che spesso, se facciamo un passo indietro nel tempo, è toccato alla borghesia applicare cambiamenti con scopo benefico per la società, sia nel campo dello sviluppo sociale, economico, nella filosofia e infine nell’arte. Questo perché chi aveva più facile accesso allo studio, quando quest’ultimo non era ancora un diritto per tutti, aveva oltremodo la possibilità di ottenere un ruolo importante nelle istituzioni, e tra i più fortunati c’erano animi più sensibili che avrebbero apportato evoluzioni a favore di tutta la società, contemporanea e futura.
Il giovane Fabrizio De André, nato a Genova nel 1940, era anch’egli figlio di una famiglia benestante: il padre Giuseppe era un imprenditore molto facoltoso; fu vicesindaco e presidente dell’Ente Fiera; anche la madre, Luisa, aveva origini nobili.
Fabrizio De André ebbe modo quindi di frequentare le migliori scuole, e nonostante i suoi risultati non fossero eccellenti, perché si definiva pigro, soprattutto nello studio, amava invece soltanto sostare tra i libri di suo gradimento, leggendo i classici della letteratura e della poesia. Di quest’ultimo campo amava François Villon, Charles Baudelaire, Arthur Rimbaud e Bertolt Brecht.
Era un appassionato degli chansonnier francesi, tra cui Georges Brassens, Gilbert Bécaud, Charles Aznavour e Jacques Brel, e aveva un predilezione per le ballate medievali, a cui spesso si divertiva ad applicare della musica di sua invenzione, creandone delle melodie con quei versi antichi.
Era innanzitutto un ottimo chitarrista, anche se lui si era sempre considerato uno “alquanto scarso”, e si avvicinò giovanissimo al jazz, disciplina che abbandonò presto perché credendola troppo scolastica, preferendo ad esso qualcosa di più spontaneo, più libero.
Fu l’etichetta discografica Karim a scovarlo tra gli ambienti musicali già fiorenti dell’allora Genova dei cantautori più eccellenti, che facevano da scuola al panorama italiano, come Umberto Bindi, Bruno Lauzi, Gino Paoli, Sergio Endrigo e Luigi Tenco, quest’ultimo grande amico di Fabrizio De André.
Quest’ultimo però si discosta come originalità dagli altri, e come ci dice Immanuel Kant:
La minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro.
Sembra chiaro che il giovane cantautore voglia fortemente creare qualcosa che non si sposi né col contesto benestante da cui proviene, né con il panorama culturale-musicale a cui per diritto appartiene. Fin da subito Fabrizio De André, che già si è sposato giovanissimo ed ha un figlio, il piccolo Cristiano, è amministratore di tre istituti privati e studia giurisprudenza, ci tiene a separare la passione che ha per la musica –che definisce soprattutto un hobby-, dalle più importanti mansioni da uomo responsabile e padre di famiglia. Non cerca il successo e rifugge dalle interviste, perché egli la musica la definisce “una cosa serissima” e oltretutto non si concede facilmente alle masse, è schivo e taciturno, non timido ma risoluto nelle sue idee di spontanea reclusione tra le mura domestiche, e soprattutto si rifiuta nel suonare dal vivo, perché sostiene:
Io appartengo solo a me stesso.
A questa conclusione i Beatles ci sarebbero arrivati nel 1966, un anno prima che uscisse il primo LP di Fabrizio De André, mentre quest’ultimo prenderà la decisione di affrontare il palco soltanto nella seconda metà degli anni Settanta.
Tra il 1960 e il 1961, con la Karim, escono i primi 45 giri, che sottopongono gli ascoltatori a qualcosa di nobile, d’altri tempi quasi, e che sposa le tematiche dell’amato Georges Brassens, da cui spesso si cimenta nelle traduzioni dei testi o nei rifacimenti stessi con riarrangiamenti, che parlano d’amore (La canzone dell’amore perduto) ma anche di morte (La ballata del Michè), che abbracciano tematiche sociali drammatiche come la guerra (La guerra di Piero), che sottraggono le donne all’ingiusto giudizio di una società ancora troppo patriarcale (La canzone di Marinella).
Fu proprio nel 1964, con La canzone di Marinella, affidata alla voce di Mina, che Fabrizio De Andrè ottenne il successo di cui però avrebbe fatto a meno, ma il pubblico approvò, anche grazie al supporto di una cantante straordinaria, e i dischi piovvero ostinatamente, ancor prima di oltrepassare il traguardo di un primo vero long playing, che a dir la verità arrivò presto, ma fu dapprima una raccolta di tutti i singoli che la Karim mise insieme per dar vita al primo disco, Tutto Fabrizio De André.
La svolta però si associa anche con un evento davvero scomodo: la canzone Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers fu messa sotto sequestro dal Procuratore della Repubblica di Milano, considerandola oscena e dai toni pornografici. Questa traccia, scritta a due mani con l’amico Paolo Villaggio, parla dell’avventura del re Carlo, condottiero che nelle località di Poitiers fermò l’avanzata degli arabi, nel 732, che avrebbero messo in pericolo il mondo cristiano, oltre tutta la civiltà occidentale. Carlo Martello, nel testo, più che combattente, viene presentato anzitutto come un uomo, con tutte le sue debolezze, prima fra tutte quelle che della carne, e tornando da vincitore, credendo di ottenere tutto e subito per le sue voglie ardenti, resta poi spiazzato quando una concubina gli presenta la parcella alla fine dell’atto sessuale.
Dichiarò Fabrizio De André al Messaggero, nel dicembre del 1965:
Noi siamo perseguitati da personaggi come lo sterminatore degli arabi, tanto che finiamo per dimenticarci che sono uomini. Ebbene, io ho voluto ricordare che Carlo Martello era un uomo con il suo meraviglioso coraggio, ma anche con il peso della sua carne vogliosa. Che cosa c’è di male in tutto ciò? Forse perché nella canzone c’è la parola puttana per giustificare un sequestro?
La canzone sopracitata sarà, per volontà stessa dell’artista in accordo coi discografici , l’unica edita in una raccolta di canzoni inedite che faranno parte del primo disco, Volume 1, pubblicato dall’etichetta Bluebell nel 1967. La causa, i cui imputati sono lo stesso cantautore e i due titolari della Karim (ma non il coautore Paolo Villaggio), si concluderà nel luglio del 1968, quando si pronuncerà la sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste.
Nello stesso tempo la separazione con la Karim non avviene nel migliore dei modi, dato che il cantautore viene denunciato dai suoi titolari perché Fabrizio De André si sarebbe accordato con una nuova etichetta discografica e con essa avrebbe iniziato le sessioni di registrazione per il primo LP ufficiale di inediti. La separazione avviene però quando ci sono dei dubbi del musicista sulla corrispondenza esatta dei diritti d’autore su tutti i dischi venduti.
La definizione che si possa dare al primo periodo di Fabrizio De André è quella di considerarsi, soprattutto, un uomo ancor prima di auto dichiararsi artista, affermazione che gli fu scomoda.
La svolta che avvenne, neanche molto presto, col grande pubblico fu una causale del tutto giustificata, in quanto egli si presentò con un’originalità che in Italia, allora come oggi, non aveva eguali, con la sua ostentata cultura, con le passioni per le ballate d’altri tempi e gli chansonnier francesi, con la dichiarazione di un mondo ora ironico, ora ingiusto e ipocrita, accompagnato da una musica nobile, seppur leggera, con dei testi poetici che ricalcano la sua smisurata devozione agli autori che ha amato e che lo hanno inebriato, aiutandolo nella giusta direzione che si sarebbe presto definita, con la quale sarebbe stato riconosciuto come un personaggio storico che non avrebbe mai perso di vista le sue smaniose volontà di sentirsi innanzitutto un essere pensante filo anarchico, lontano da ogni direzione politica, e solo infine, come un cantautore.
I tempi difficili che stiamo vivendo ci insegneranno a definirci dapprima come esseri messi a nudo, con le nostre debolezze (come Carlo Martello) e le nostre giustificate incapacità, messe di fronte a emergenze di una portata epocale impressionante. L’importanza di considerarci dapprima nella pienezza delle nostre risorse umane (come in Marcia Nuziale) ci aiuterà nella scalata complicata per la riconquista di una più miserevole dignità, ancor prima di considerarsi importanti, indistinguibili o addirittura inarrivabili. In questo momento, l’ascolto di un artista che ha cantato l’uomo, anzitutto perdente, può essere di un’importanza fondamentale per la riuscita di una società che rinasca migliore di prima, e si faccia forza con la rivalutazione di sentimenti più importanti.
Carmine Maffei
7 comments on Aminea Winery, trekking tra i vigneti e chic nic in terrazza
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