Rasoterra è il nuovo singolo del cantautore torinese Petullà con la collaborazione della giovane cantautrice Anna Castiglia entrambi semifinalisti al Premio Lunezia 2022. Il brano è stato prodotto da Fractae ed esce per Piuma Dischi distribuito The Orchard.
Ballare senza la paura di cadere, ballare per evadere dalla stasi e dalla paralisi fisica e mentale attraversata in questi anni.
Riprendere coscienza dei nostri corpi e muoversi sopra il torpore di questi tempi.
Lentamente e armoniosamente, come satelliti in movimento.
Petullà: biografia
Petullà è un cantautore torinese. I suoi testi descrivono la quotidianità con immagini evocative e poetiche. Dal suo cantato emerge una visione del mondo in cui, al di là delle contraddizioni, la chiave dei rapporti umani sta nell’intimità e nel romanticismo.
Già attivo dal 2017, con il singolo Titoli di Coda e i primi passi nella sua città, dall’estate 2018 fa uscire Brera e altre 4 canzoni.
Partecipa a Sofar Sounds e sale sul palco di Deejay on Stage. Prende parte alla decima edizione del Reset Festival, uno dei più importanti della scena emergente in Italia.
Con Le Luci Fuori, in uscita nel febbraio 2019, va in rotazione su stazioni, metro e aeroporti italiani e partecipa a numerosi live tra cui il Festival Maledetta Primavera all’ Off Topic di Torino e altri del circuito KeepOn, tra cui Rock Caravan, FarciSentire Fest e Memorabilia Fest, in un minitour che lo porta in giro per l’Italia.
In acustico, dopo l’uscita dell’ultimo singolo, Zara, nell’autunno del 2019, apre i concerti di Niccolò Carnesi, Tropico, Mox, Manitoba, e a Milano al Circolo Ohibò e Magazzini Generali per la rassegna This Is Indie.
Dal 2020 si dedica alla produzione del suo primo album con la collaborazione di Paolo Caruccio e della sua band. Si occupa anche di co-scrittura di brani come autore.
Dopo Soprammobili e Orgasmi e Origami, il 29 aprile esce il terzo singolo Un appartamento.
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Morrison Hotel: storia di uno scatto cinquantennale
Gennaio 1970.
Per di qua, ragazzi. Ci siamo quasi…
La band seguiva quel tipo alto, biondo ed occhialuto, il tastierista, tra strade semisconosciute di Venice Beach, quello stesso luogo dove cinque anni prima, sulla spiaggia, era iniziato tutto.
Ray Manzarek lì vi aveva incontrato Jim Morrison, il suo compagno di studi all’UCLA e insieme avevano dato vita a qualcosa di strabiliante; una nuova parentesi musicale che avrebbe abbracciato la filosofia di Nietszche con le poesie di Rimbaud, un libro di Aldous Huxley, Le porte della percezione, con il richiamo obbligato a William Blake: i Doors, signore e signori.
Ora, quasi cinque anni dopo, ormai famosi, eccoli riuniti per un servizio fotografico organizzato all’ultimo minuto.
Perché tanta tempestività?
Da qualche giorno Jim Morrison aveva tagliato la foltissima barba che portava da più di un anno. Questo in seguito a degli scatti promozionali per una rivista patinata, che lo ritraevano di nuovo ben rasato mentre indossava abiti sgargianti e di dubbio gusto, insieme ad altri modelli di bellezza androgina tutti intorno e infine con lei, Pamela Courson, sua compagna e musa, oltre che proprietaria della boutique Themis. Un investimento davvero esagerato, affrontato grazie alle royalties degli album precedenti dei Doors.
Per la sua ragazza Jim Morrison non aveva badato a spese nemmeno per quanto riguardava una casa, con tanto di Porsche parcheggiata nel vialetto, mentre lui viveva senza fissa dimora, saltellando tra un hotel e l’altro, tutti d’infimo ordine.
Aveva fatto crescere la barba innanzitutto per uccidere l’emblema di sex symbol che gli avevano cucito addosso, oltre che per somigliare sempre più al poeta a tempo pieno che desiderava diventare.
In più nell’ultimo anno, in seguito ad un esaurimento nervoso e al forte alcolismo, aveva messo su qualche chilo, situazione che sommata al rifiuto di radersi, infastidiva a dir poco gli altri ragazzi della band, che proprio per questo motivo da tempo si erano rifiutati tutti insieme per una session fotografica. Solo che Jim Morrison, dal suo canto, per Pamela Courson non solo avrebbe tagliato la barba, o sarebbe volato dall’altra parte dell’oceano, ma si sarebbe addirittura esposto di nuovo ai flash, come la rock star intrisa di sesso che era stata tre anni prima.
Accortisi della novità, dunque, gli altri membri dei Doors avevano presto pensato ad un servizio fotografico promozionale per l’album che sarebbe uscito un mese dopo, e bisognava far presto, dunque, prima che la barba ricomparisse di nuovo sul volto del loro cantante dannato.
“Ci siamo” dichiarò Ray Manzarek mentre sostava di fronte a ciò che sembrava l’ingresso di un hotel.
Jim Morrison, Robby Krieger e John Densmore, insieme al fotografo Henry Diltz, sostarono a lungo alle spalle dell’amico dal caschetto biondo, il quale indicava con un sorrisetto ironico e saccente il luogo dove si sarebbe descritta gran parte della storia di quell’anno, dove tutta la filosofia del poco tempo che sarebbe rimasto per le loro creazioni si sarebbe fossilizzata in uno scatto simbolico e decisivo. Una vetrina abbastanza grande sulla sinistra su cui campeggiava la scritta Morrison Hotel, e a destra un ingresso alquanto trionfale, nonostante lo squallore generico che quel luogo terribile ispirava; un albergo che costava due dollari e mezzo e notte, fatiscente e lugubre.
La band però sembrava entusiasta dell’idea e Henry Diltz li immortalò dapprima sotto il piccolo porticato che antecedeva l’ingresso; poi i Doors varcarono la soglia che si aprì con un tintinnio familiare ed entrarono nella hall, subito sulla sinistra, posizionandosi al di sotto della scritta, ognuno prendendo il suo posto, un po’ a caso, mentre il fotografo restava in strada, cercando di ritrarli e valutando le luci della sera che presto sarebbe sopraggiunta, e con essa i riflessi nel vetro dei fanali delle automobili che circolavano. Ma niente da fare. Il titolare dell’albergo, un tipo losco e burbero, senza troppe scuse mandò i ragazzi a farsi un giro: niente foto nel suo hotel, neanche a pensarci, gente.
Tra una scusa e l’altra i nostri intanto perdevano tempo, ordinando magari un drink, sostando nei pressi del luogo agognato, davanti alla vetrina della hall, ma mai allontanandosi.
Il momento propizio avvenne quando il direttore si allontanò un attimo per un impegno improvviso. Ci volle uno sguardo d’intesa tra tutti quegli amici un po’ brilli, e successe tutto in un attimo: Henry Diltz balzò di nuovo in strada, mentre i Doors, con un Jim Morrison volutamente posizionato al centro con camicia bianca che rifletteva il pallore del viso, e uno sguardo vacuo, ripresero lesti i posti che erano stati loro assegnati qualche minuto prima di essere interrotti. Restava poco tempo a disposizione e bisognava far presto: la luce, già scarsa quel pallido giorno d’inverno di cinquant’anni fa, sarebbe del tutto scemata in una manciata di minuti. Inclinato appena sulla sua destra, Robby Krieger è in piedi alle spalle di Jim Morrison, quest’ultimo seduto su un tavolino, mentre Ray Manzarek e John Densmore accomodati in poltrona, ai lati del loro carismatico e quasi sempre alticcio cantante, il primo un po’ più composto e girato di lato mentre guarda l’obiettivo, il secondo in ginocchio sul sedile e gli avambracci posati sulla spalliera, il mento quasi a toccare le mani congiunte. Quando il direttore tornò quei capelloni erano già belli lontani, con un tesoro che avrebbe fatto storia nelle istantanee rock, al sicuro nella macchina fotografica.
L’album che uscì un mese dopo, il 9 febbraio 1970, avrebbero dovuto intitolarlo Hard Rock Cafè, ma fu quello scatto organizzato in pochi minuti, che cambiò i connotati al lavoro. Morrison Hotel vendette in poche settimane mezzo milione di dischi, e quel nome all’album che ricordava senza dubbio il cantante, fu come un omaggio a Jim Morrison, che abbandonata per un attimo la sua crisi esistenziale, si era rimesso di nuovo sul serio a lavoro per la stesura delle nuove canzoni e per affrontare le nuove date.
Esistono delle riprese di quel pallido pomeriggio a Venice Beach, girate dallo stesso Henry Diltz, poco prima di arrivare al Morrison Hotel.
Jim Morrison (che beve da un fiaschetto di non so cosa) e soci passeggiano sulla spiaggia, poi il cantante sale su un’altalena per un giro mozzafiato, infine risale la spiaggia e si ferma davanti ad un muretto su cui campeggia una scritta: ERBA.
Carmine Maffei
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Cenere è il brano di K-ANT che anticipa l’omonimo album in uscita
Il videoclip di Cenere, brano di K-ANT che anticipa l’omonimo album in uscita il 4 aprile per Trulletto Records. Il videoclip diretto da Marco Meledandri esprime la necessità di ritrovarsi dopo essersi persi alla costante ricerca di sé stessi attraverso le macerie che spesso accompagnano la propria vita. Cenere è uno dei brani più energici e diretti dell’album in cui l’arrangiamento gioca sui contrasti: le sonorità morbide e aperte delle chitarre arpeggiate e dei pad delle tastiere, convivono con una sezione ritmica più nervosa ed intricata, basata su un particolare equilibrio di incastri tra basso e batteria. Su questo sound si poggia una parte vocale altrettanto cangiante, che passa da un approccio particolarmente melodico e disteso, all’extrabeat nel bridge del brano.
Perdere se stessi, perdere una persona cara. Cambia poco, ci si ritrova smarriti. Domande, sogni infranti, dubbi. Ciò che poteva essere, voglia di altro tempo. Arsi da ciò che siamo stati, resta solo cenere da cui ripartire. Come fossimo noi stessi quel ricordo della persona che non c’è più.
K-ANT: biografia
L’artista si descrive così:
Progetto artistico, band, persona
In costante viaggio tra Bisceglie e Molfetta, impregnato da quell’odore tipico di sottani umidi adattati a sale prove. Influenzato da un miscuglio di generi che vanno dallo ska al reggae, dal rap al funk, dall’elettronica al rock.In quasi 20 anni di testi e musica, di poesie e canzoni, mi sono ritrovato oggi ad un bivio, a metà strada tra l’immaturità e l’incoscienza di voler cambiare il mondo, e la consapevolezza raggiunta di voler guardare dentro me stesso.
K-ANT (che si legge “chei-ant”) nasce nel 2003 come progetto solista, diventato band nel 2011. Originario di Bisceglie (BT) oggi si presenta live con la sua band, il cui genere fonde funk, rap e rock. Dal 2011 protagonista di numerosi live in tutta Italia sia per la vittoria del contest “A.R.T. Medimex – ARCI Re.A.L. Tour 2012“, che per gli opening act di artisti come Caparezza, Ministri, Rezophonic, Subsonica e Tre Allegri Ragazzi Morti.
Nel 2012 autoproduce il disco “Il Problema“. Nel 2014 vengono inseriti 2 brani in “Hit Mania Special Edition”. Nel 2015 esce il disco “La Concezione Del Tempo” (feat. Caparezza, Molla, ThinkAboutIt) grazie alla vittoria del bando Puglia Sounds Record, e si esibisce come opening act di Manu Chao e al Concerto del Primo Maggio Taranto. Nel 2016 esce il videoclip “La rivoluzione del Ctrl Alt Canc” e 2 brani dell’album vengono inseriti in “Hit Mania Champions 2016”.
Dal 2018 è stato impegnato nella produzione del nuovo disco, collaborando con il collettivo “Crooked Waves” prima, e con l’etichetta Trulletto Records poi. Nel dicembre 2022 pubblica il singolo “Pulsar” e relativo videoclip, mentre a marzo 2023 esce il videoclip di “Cenere” che anticipa l’omonimo album in uscita il 4 aprile.
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Milano: la nuova viewing room del pittore italiano Guido Rocca
L’8 novembre verrà inaugurata presso la prestigiosa Area35 Art Gallery di Milano (in via Vigevano 35) la nuova viewing room del pittore italiano Guido Rocca.
Già nominato dalla rivista “Albatros” come uno dei maggior esponenti dell’arte come soluzione sociale e dell’astrattismo contemporaneo italiano e più volte intervistato da “The Art Insider” per il suo costante contribuito artistico, nell’ultimo anno Guido Rocca ha raggiunto con le sue opere decine di collezionisti italiani e internazionali aumentando notevolmente il valore dei suoi quadri.
Nel corso di un’intervista radiofonica, alla richiesta di dare dei consigli ad altri artisti emergenti ha risposto:
Per anni non ho venduto un quadro, finché leggendo dei libri di filosofia ho compreso che con l’arte potevo essere d’aiuto non solo a me stesso, ma anche agli altri e li è nato uno scopo nuovo, una motivazione incrollabile. Se posso dare un consiglio agli artisti emergenti quello che voglio dirgli è di togliere l’attenzione dalle vendite e dal successo, ma diventare consapevoli di quanto la propria arte possa essere d’aiuto, perchè quella è l’unica cosa che conta veramente nella vita di un artista.
Con questa sua affermazione si comprende lo spirito con cui Guido Rocca dipinge i suoi quadri, che sono una moltitudine di pennellate colorate che interagiscono tra loro in un tripudio di colori ed energia.
Ogni pennellata racchiude un mondo, perché mentre dipingo vivo ogni istante con presenza nonostante la monotonia del gesto. Anche dopo ore che dipingo, ogni pennellata che creo è come se fosse la prima. La vita può essere insignificante o meravigliosa, dipende se uno sa vivere ogni istante con presenza o invece si fa passare tutto davanti come spettatore, perdendosi nei meandri dei sensi di colpa. L’arte mi ha insegnato a vivere, su questo non ci sono dubbi.
Questo rigore nella tecnica di Guido Rocca non fa però perdere potere alla sua comunicazione, infatti l’artista descrive così il suo processo creativo:
Negli anni ho acquisito questa gestualità nel dipingere ad olio molto peculiare, quello che per me è fondamentale è padroneggiare la tecnica a tal punto da non doverci pensare, questo è l’unico modo per buttarmi sulla tela in modo diretto senza permettere alla mente di alterare ciò che sono e che sento in quel momento, per me la sincerità espressiva è tutto. Quando dipingo veloce ed elimino il tempo e il pensiero tra una pennellata e l’altra sento che entro nell’opera, la mente si placa e il dipinto ha ciò che cerco di più in un quadro, il movimento.
E aggiunge:
Mi auguro sempre che colui che osserva e percepisce diventi anche esso l’artista, creando in sé la propria trasformazione e ampliando il contenuto dell opera.
Osservando i quadri dell’artista si rimane avvolti dalla vitalità che emerge dalle tele, la materia prende decisamente vita ed è come se lui riuscisse ad imprimere nel colore il suo scopo di penetrare nell’ animo umano per sollevarlo dai problemi della vita.
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