Fermo immagine, di cui Gaia Di Fusco è autrice e compositrice assieme a Nicolò Claudio Romano e Matteo Russo, racconta di un momento della vita passata che però si ripete continuamente, la protagonista rimane intrappolata nel ricordo stesso, come se fosse un “fermo immagine” perenne.
Gaia Di Fusco è un’artista di classe 2001 conosciuta al pubblico per aver partecipato a vari programmi televisivi fra cui “Amici 2020”.
Qualcuno si ricorderà di Gaia all’età di 12 anni quando sale sul palco del programma “Io canto”, condotto da Gerry Scotti, riuscendo ad approdare alla finale.
Successivamente solca nel 2014 il palco del programma “I fatti vostri”, condotto da Giancarlo Magalli, come ospite nello spazio “Saremo Famosi”.
Nel 2015 prende parte alla prima edizione di “Tra sogno e Realtà” in duo con la sorella Sara Di Fusco su La 5. Posizionandosi seconde nella categoria canto.
Nel 2019 è una delle concorrenti di “All Together now”, il programma condotto da Michelle Hunziker, dove Gaia riesce ad arrivare di nuovo in finale. Posizionandosi sul podio al terzo posto.
Partecipa appunto al programma “Amici di Maria De Filippi” nell’edizione del 2020 accedendo al “Serale”. Durante il percorso pubblica il suo primo inedito “Forse neanche un bacio”.
Nell’estate 2022 è invece sul palco di Deejay On Stage.
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La paura del copione: due scuole di pensiero a confronto
Eccoci con la prima puntata di un caffè a teatro con Gilda Ciccarelli e Francesco Teselli della compagnia teatrale La Fermata. L’argomento trattato oggi riguarda la paura del copione, secondo due scuole di pensiero diverse: quella del Living Theatre e quella del metodo Meisner. L’argomento principale su cui intendono soffermarsi i due attori sono le emozioni che ci accompagnano sempre sia nella sfera privata che in quella lavorativa.
Da un certo punto di vista, quello teatrale, possiamo dire che gli attori o aspiranti tali si trovano quotidianamente ad affrontare e a dover familiarizzare con le emozioni. Un attore deve ricorrere alla propria esperienza emotiva per connotare umanamente un determinato personaggio, deve animarlo del proprio bagaglio esperenziale e allo stesso modo deve trasmettere quelle stesse emozioni agli spettatori. E già detta così non è proprio semplice.
Gilda Ciccarelli e Francesco Teselli ci spiegano come gestire le emozioni secondo diverse metodologie e non è detto che queste due modalità, per quanto opposte tra loro, non possano fondersi.
È possibile gestire le emozioni? Sì! Quali sono le modalità e le scuole di cui hanno parlato i due attori? Ecco qualche accenno per potere comprendere meglio il tutto.
Il metodo Meisner
Il metodo Meisner prende in prestito il cognome del suo ideatore: Sanford Meisner (1905-1997), noto attore statunitense. L’attore ha elaborato un metodo che ha come scopo quello di perfezionare la performance di un attore che, nella maggior parte dei casi, può essere ostacolata da due elementi: il non ascolto o l’essere troppo concentrati su se stessi.
Sanford Meisner ha gettato le basi, ideando delle tecniche di esercitazione, che offrono gli strumenti per ascoltare realmentee porre l’attenzione all’esterno. Perché per l’attore statunitense un attore che non è capace di ascoltare non sarà mai ingrado di recitare in modo adeguato, talento e virtù a parte.
Ogni volta che ci interfacciamo con qualcuno, le emozioni compaiono spontaneamente. Dunque per l’attore statunitense è importante esercitarsi e improvvisare fino alla messa in opera di una rappresentazione.
Per usare le sue stesse parole:
La base del mio approccio consiste nel voler ricongiungere l’attore ai suoi impulsi emotivi e guidarlo a una recitazione fermamente radicata nell’istinto. Tutto si basa sul fatto che quando un attore è bravo quello che fa scaturisce dal cuore: non c’è nulla di mentale.
Living Theatre
Living Theatre è una compania teatrale d’impronta sperimentale, fondata a New York nel 1947. L’intento della compagnia è quello di scardinare i canoni del teatro classico, dunque il rapporto tra attore e spettatore.
La compagnia teatrale non vuole rappresentare la vita e le sue vicissitudini senza finzioni ma vuole viverla realmente, per poter trasmettere con immediatezza. Per poter fare ciò prendono spunto dal pensiero di Antonin Artaud, drammaturgo e attore francese, che si ispira al teatro balinese e che scrisse due manifesti sul Teatro della Crudeltà. Per crudeltà l’attore intende la pura catarsi e per poter fare ciò è necessario ricorrere a tutti quegli stimoli ricettivi d’impatto immediato capaci di turbare l’animo dello spettatore, provocandogli una sensazione intima di disagio.
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Perché dovremmo (tutti) ringraziare Chick Corea
Armando Anthony Corea è morto alla soglia degli ottant’anni. Li avrebbe compiuti il prossimo 12 giugno. A Chick Corea dovremmo tutti un sentito enorme grazie. Perché, diciamocela tutta, se in molte case è entrato il jazz è stato grazie a lui. E se in molte altre case è entrata la contaminazione musicale, l’elettronica, è sempre grazie a lui. Non è un ossimoro, questo. Ma un percorso a sensi inversi che chiunque ha potuto compiere grazie al virtuoso pianista e tastierista statunitense.
Personalmente scoprii Corea quando ero un fresco ginnasiale di quattordici anni. Nel negozio di dischi che frequentavamo suonava una roba che non avevamo mai sentito prima. Nel senso che era qualcosa che scuoteva, pulita ma potente, vibrante piena di virtuosismi ma anche di emozioni. Avrei scoperto solo dopo, quando decisi di acquistare il disco che quel brano era “Got a match?”, uno dei più incredibili esempi di tecnica e contaminazione di jazz ed elettronica.
Chick Corea: Got a match?
Got a match? di Chick Corea faceva parte del primo album realizzato con Elektric Band, con John Patitucci al basso, Dave Weckl alla batteria, Carlos Rios e Scott Henderson alle chitarre. Una band eccezionale, che faceva esplodere funamboliche progressioni all’unisono, lasciando spazio a parti di più ampio respiro e mettendo di volta in volta in primo piano la bravura dei singoli.
All’epoca ascoltavo esclusivamente rock. Erano gli anni in cui in cui stavo capendo quale fosse la musica che mi piaceva davvero. Erano gli anni della scoperta dei classici, dei Led Zeppelin, dei Jetro Tull, dei Kim Crimson. Il resto, con la spocchia tipica dell’adolescenza, era roba da buttare. Per quell’album di Chick Corea fu diverso. Perché era sì jazz, ma anche un pò a modo suo rock, e perché rievocava atmosfere che potevano accostarsi a certo prog-rock che mi era familiare. L’ascolto di quell’album, che era stato pubblicato un paio di anni prima, mi spinse a scoprire “Light Years” e “Eye of the beholder”, che nel frattempo già spopolavano tra gli appassionati.
Solo più tardi scoprii che quel musicista che suonava la tastiera a tracolla, come un rockettaro, era un prodigioso pianista jazz, che aveva nel suo curriculum collaborazioni strepitose, su tutte quella con Miles Davis.
Che piaccia o no, io Miles Davis non lo avevo mai ascoltato. E grazie a Chick Corea lo scoprii, con la conseguenza che il jazz entrò nella mia collezione di dischi, con l’ascolto a cascata dei primi classici, Coltrane su tutti, poi dei contemporanei, tra i quali mi innamorai di Michel Petrucciani. Inevitabile, poi, l’esplorazione della fusion, che mi condusse alla folgorazione per Pat Metheny, che poi significò addentrarmi in un mondo nuovo, parallelo rispetto a tutto ciò su cui avevo fondato i miei ascolti fino ad allora.
Questa prospettiva personale mi fa pensare, senza dubitarne minimamente, che molti abbiano fatto il percorso inverso, e che, partendo dalla conoscenza del jazz e del pianista Chick Corea, abbiano grazie a lui esplorato territori sconosciuti e forse ritenuti sacrileghi. I puristi del virtuosismo jazz sono stati costretti a prendersi sportellate dell’Elektric Band e a non arricciare più il naso di fronte a qualcosa di completamente differente rispetto agli standard imposti dal purismo. Ed una volta scoperto quel mondo, scommetto che nessuno abbia fatto marcia indietro, ma che ognuno abbia invece esplorato, ascoltato, si sia mosso con passi più sicuri verso mondi musicali diversi e che solo apparentemente potevano sembrare distanti anni luce da quelli conosciuti e praticati come intoccabili capisaldi.
Chick Corea era un pianista jazz. Chick Corea era un tastierista. I due elementi compongono la fusion che ha contribuito in modo prepotente a creare. Esattamente come un altro grande tastierista e pianista, Lyle Mays, definito “il lato oscuro di Pat Metheny”, che come in uno scherzo del destino era morto un anno e un giorno prima di Chick Corea, il 10 febbraio 2020. Ecco perché non possiamo non ringraziare Armando Anthony Corea. La sua musica è stata un viaggio vero attraverso i pianeti della diversità. E ci ha fatto scoprire tutti più democratici negli ascolti, più malleabili nei gusti e soprattutto ha fatto comprendere che, spesso, chi vuole ingabbiare la musica in contenitori a comparti stagni probabilmente (e semplicemente) la musica non la ama davvero.
Enrico Riccio
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Masterclass di Cairano,
D’Angelis ricorda le tappe di una grande sfidaLa Masterclass di Cairano diventa sempre più centrale nell’autunno culturale dell’Alta Irpinia. Dopo la proiezione de “Il sindaco del Rione Sanità” al Multisala Cinema Nuovo di Lioni, con la presenza del regista Mario Martone e dell’attore protagonista Francesco Di Leva, il sindaco di Cairano, Luigi D’Angelis, ricorda le tappe di una grande sfida.
Da stasera fino a lunedì attori e studenti della Scuola dei mestieri dello spettacolo si sposteranno a Sant’Andrea di Conza, nei locali dell’ex Fornace, per un week end di spettacoli.
Si comincia sabato 2 novembre con Ernesto Lama e Aniello Palomba, protagonisti di “Assolo per Due”, che condurranno il pubblico in un viaggio tra suoni e parole del ‘900.
Domenica 3 novembre torna sul palco Francesco Di Leva con “Muhammad Ali”. Regia di Pino Carbone, scritto da Linda Dalisi. Scene di Mimmo Palladino, costumi Ursula Patzak. Musiche di Marco Messina e Sacha Ricci.
Lunedì 5 novembre c’è lo spettacolo “Bugie a parte”, con Gian Cro’, Noemi Bordi, Domizia D’Amico. Musiche di Corrado Cirillo. Scritto da Gian Cro’ per la regia di Ario Avecone e Gian Cro’.
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