Si alza il sipario sull’evento della compagnia teatrale “La Fermata”.
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Il mio paese è una libreria: intervista alla poetessa Alba Donati
Ecco le parole di Alba Donati, e sono tratte dall’incantevole poesia Il mio paese è una casa, compresa in Tu, paesaggio dell’infanzia (La Nave di Teseo, 2018), libro che raccoglie tutti i suoi versi, a partire dal 1997 ad oggi.
Il mio paese è una casa
e ogni casa è una stanza.
Il mio paese è un corpo,
ogni casa è una stanza,
ogni strada è un’arteria
di sangue familiare.
Nel mio paese ogni piazzetta
è il salotto rumoroso
di una grande famiglia.
Nel mio paese salire al castello
è come salire le scale
e da altre camere, da altre soffitte
le voci sono rivolte a te,
niente è da te separato, niente.
Alba Donati è una poetessa, un’autrice, una donna che ha saputo coltivare nella sua vita il frutto più bello, quello delle sue passioni, e lo ha irrorato con una nebbiolina densa d’inestimabile ricchezza spirituale, di sapienza, studio, dedizione e professione.
La comprensione della sua opera arriva appena la si conosce, e non importa se davvero poi non sempre ci si possa stringere la mano per congratularsi e la distanza aumenta la poca credibilità; ma ho studiato bene i suoi occhi nelle foto, e vi ho scorto un’incredibile vivacità ancora fanciullesca; una briosità che scaturisce dall’entusiasmo di saper vivere un’esistenza dedita alle meraviglie della letteratura, che è infinita, e con essa dedicare tutto il tempo possibile per divulgarne l’essenza e crearne un mestiere, sia per sé e, soprattutto per gli altri.
Poco può il poeta per l’intelligenza dell’opera sua: là soltanto è la sua chiarezza.
È una frase di Alfonso Gatto, e ci aiuta a comprendere meglio perché oggi ci si possa ancora fidare anzitutto dei versi di un poeta, ancor prima di poterlo conoscere, se proprio la si vuole spezzare
questa magia dell’ignoto e soccombere alla mera curiosità, perché il mistero sta proprio nella distanza. Alba Donati però ha davvero poco da nascondere e non la si può certo dimenticare.
Oggi è presidente dell’illustre Gabinetto Viesseux, celeberrimo circolo letterario, tra i cui direttori del passato spiccano i nomi di Eugenio Montale e Bonaventura Tecchi; dal 1820 luogo d’incontro per autori, scrittori, poeti ed esponenti della cultura in generale; un centro ancora oggi fondamentale che ha tessuto le lodi di una città d’arte importantissima come Firenze, dove vi si trova, a Palazzo Strozzi.
Sempre a Firenze Alba Donati ha saputo inoltre creare uno spazio tutto dedito alla diffusione dei linguaggi della cultura, la scuola Fenysia, nel Palazzo Pucci.
Fenysia non è soltanto un luogo di ritrovo durante i frequenti open day che vi si organizzano, ma è soprattutto la definizione più bella che ci può essere di una scuola; la rinascita di un amore intramontabile verso tutto ciò che è cultura, a partire innanzitutto dalla lettura, poi alla scrittura, al linguaggio cinematografico, al linguaggio dell’arte e della musica, alla conoscenza del giornalismo culturale e web.
Vi si può entrare con un test, e soltanto con un punteggio alto, per permettere ai migliori di poter a loro volta migliorare un mondo in costante sfacelo, e costruirne su quelle macerie fatiscenti uno molto più riflessivo, che abolisce gli abusi del potere più indisciplinato, ignorante.
Ecco uno stralcio tratto da Tu paesaggio:
Che magia detieni tu, paesaggio dell’infanzia?
che pozioni maneggi,
che fluvi fai volteggiare in aria?
Quali note vibrano nel silenzio,
se io ti vedo da sempre
e sempre ogni volta che vedo il cielo
col suo tappeto di stelle,
è per la prima volta che lo vedo
La semplicità, che è rimasta ferma nelle origini della poetessa Alba Donati, resta a sua volta ancorata al piccolo paese di provenienza, dove i ricordi, i colori, gli odori e i fischi del vento tra quei monti dell’infanzia hanno con ogni probabilità influenzato tutta la sua vita da lettrice, autrice e sognatrice concreta di desideri possibili.
Lucignana è un piccolo borgo con poco più di centocinquanta abitanti, arroccato tra gli Appennini e le Apuane; si trova in Toscana, nella provincia di Lucca, e da qualche giorno ha respirato un’aria da fiaba sempre grazie alla poetessa che ho scoperto da poco, e che grazie ad essa sta vivendo un periodo di particolare interesse culturale e mediatico.
Alba Donati ha deciso di costruirvi proprio lì la libreria dei suoi sogni, proprio lì dove quel frutto che ha visto crescere e maturare fin da bambina ora è diventato l’albero della sua sapienza.
Nell’orto della madre, dove vi si coltivavano gli ortaggi, immagino ci fosse sempre stata una piccola zona coperta, una stanza tutta per sé, un cottage dove ripararsi dalle intemperie e nascondersi tra la zappa e il badile, e forse leggere alla luce di un lumicino di sera o dallo spiraglio di una finestrella.
È da lì che è stata concepita l’idea della Libreria sopra la Penna; un progetto quasi nato per caso, come una poesia, un modo naturale di vedere un desiderio. Attraverso un crowdfunding Alba Donati è riuscita ad ottenere in due mesi più di diecimila euro in donazioni,e ha iniziato per davvero a costruire un’idea concreta di rifugio culturale, una libreria piccina in un cottage lassù, in un paesello che insieme a tanti altri ha minacciato di poter scomparire da un momento all’altro.
Solo che Alba Donati ha saputo coglierne l’essenza degli ultimi anni, soprattutto quando ha capito che i giovani di Lucignana iniziavano a rifiutare l’abbandono del luogo natio e a ricominciare a farlo rivivere secondo una nuova idea di partecipazione, come si usava un tempo tra compaesani, e ci si voleva un mondo di bene, pur avendo pochi mezzi. Esiste già, infatti, un comitato per la riqualificazione culturale e urbanistica di Lucignana, dove si è pensato ad una residenza per traduttori e artisti, e dove il comitato scientifico raccoglie alcuni nomi illustri come Corrado Augias, Vittorio Sgarbi, Fabio Genovesi e Dario Franceschini.
Insieme all’architetto Valeria Ioele, e ai suoi più stretti collaboratori e compaesani, Alba Donati ha creato uno spazio in cui ha raccolto una collana di libri che tutti dovrebbero leggere almeno una volta nella vita; quei classici intramontabili, tutti belli, che riuscirebbero a zuccherare quest’odio costante che ci riguarda, che ci fa vivere competizioni sanguinose. Esistono inoltre degli spazi che il futuro lettore potrà definire come degli appuntamenti al buio, e dove i libri misteriosi sono incartati e contengono degli indizi scritti con pennarelli colorati, e dove non si enuncia alcun titolo: se ci fidiamo di Alba Donati, quest’amante misterioso ci inebrierà col profumo delle sue pagine interessanti. Qui si possono trovare le collane con citazioni di Sylvia Plath, il tè di Charlotte Brȍnte, i braccialetti ispirati a Emily Dickinson e Rilke, le rose segnalibro dedicati a Jane Austen.
Si può allietare il palato portando a casa le marmellate letterarie, come quella preferita da Virginia Woolf, con mele renette e scorza di limoni, quella gradita da D’Annunzio, con il bergamotto di Calabria e con olii essenziali di rosa, quella dedicata a Paolo Rumiz con cotogne e vaniglia.
Ho scritto una mail alla meravigliosa Alba Donati, proponendole un’intervista e non poteva non esserne felice.
Alba Donati: intervista
Sig.ra Donati, esistono oggi vari tentativi, di cui alcuni discutibili seppur a loro modo apprezzabili, nel far ripopolare un paese in via di abbandono. La sua iniziativa, però, spiazza qualsiasi paragone. Quali potenzialità, secondo lei, potrebbe avere una libreria nell’aiuto a far riavvicinare chi ha deciso di andar via?
Intanto il caso di Lucignana è un po’ diverso, ci sono molti ragazzi, molte coppie giovani e bambini che nascono. Chi è nato a Lucignana al 90% vuole rimanerci, c’è amicizia e solidarietà, in questo è un paese un po’ speciale. In ogni caso l’apertura di uno spazio così è un accensione di vita, è combustibile, e deve essere percepito come spazio comune, di tutti.
L’amore per i libri, così come quello per i dischi (e non alludo a piattaforme digitali), potrebbero davvero far crescere una società secondo una visione univoca di ciò che risulterebbe essere più giusto nella piacevole convivenza col prossimo, abbattendo stupidi errori di convivenza, che spesso sono la prima avvisaglia di un conflitto sociale?
Leggere apre nuove porte, alimenta confronti, leggere è un dialogo. Quale antidoto più forte potrebbe esserci contro quella tendenza al monologo di tanta gente? Il libro è la fine del ‘ Io sono, io penso, io dico’. È come se mettesse il punto interrogativo in fondo a ogni affermazione. Per questo è importante leggere, per non vivere al chiuso di se stessi, per non udire solo l’eco della propria voce.
Viviamo una realtà in cui si legge sempre meno, ma ciononostante, forse per questioni di marketing e di tornaconto, di libri se ne pubblicano a bizzeffe, col rischio che quelli che davvero contano possano perdersi in un mare di mediocrità pompate dalle grosse case editrici. È forse per questo motivo, dunque, se nella sua libreria ha scelto di valorizzare soprattutto quei capolavori che almeno una volta nella vita avremmo dovuto pensare di leggere?
Sì è così. L’editoria fa questo è quello, col risultato che spesso il lettore si confonde. Se legge può fidarsi dei supplementi culturali, oppure del passaparola, ma non tutti sono in questa posizione. Nella mia libreria ci sono soprattutto libri di qualità. E sono contenta perché il pubblico questa cosa l’ha capita bene. Si fidano. A volte mostro un’alternativa: scrivo ‘se hai 20 anni’ puoi leggere Red oppure puoi leggere Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf. Per adesso Virginia è in vantaggio.
A proposito di capolavori, ho pensato a lei, e mi è venuto in mente un libro che ognuno di noi dovrebbe avere assolutamente, La luna e i falò di Cesare Pavese. Lei è impegnata da anni nella rivalutazione del suo borgo natio, ma quando, di preciso, ha sentito seriamente di ritornare in paese con tutto il cuore per dare un senso al territorio che le ha condizionato inevitabilmente tutta la sua esperienza intellettuale?
Negli ultimi anni il tracciato si è fatto sempre più visibile. Tre anni fa ho ristrutturato la casa è questo è stato fondamentale. C’è poi il fattore umano, che conta molto. Un pensare più diretto, un affetto non esibito ma forte. C’è il luogo dell’infanzia, Zanzotto diceva che non avrebbe potuto scrivere se non circondato dalle sue montagne a Pieve di Soligo. Per me Lucignana è più un ritorno, züruck, back, à rebous, una situazione colma di effetti poetici.
La Libreria sopra la Penna nasce da una riqualificazione in un borgo dove si respirano ancora i valori di un tempo. Eppure la realizzazione di questo sogno è avvenuta tramite un mezzo ultramoderno, il crowdfunding, che ha addirittura superato le sue aspettative. Tale iniziativa mediatica però può nascere solo attraverso i social, oggi motori di ricerca di fatiscenti e aberranti specchi di una realtà corrotta dal potere d’immagine e di gigantismi sedicenti. Lei crede, a questo punto, che forse potrebbe coesistere ancora una percentuale di persone valevoli che se messi insieme riuscirebbero ad abbattere muri di un’ignoranza collettiva ingiustificata?
Io non so cosa penso, ma faccio. Cioè non riesco a stare ferma, immobile davanti al degrado che abbiamo vissuto negli ultimi 20 anni. Tanto che ho aperto una scuola dei linguaggi della cultura che si chiama Fenysia (come la mia zia che faceva la governante in casa d’altri) e adesso questo cottage letterario in un paesino dove regna pace e tranquillità. Non intervengo quasi mai su questioni importanti sui social perché non reggo l’ondata di odio, di stupidità che ne consegue ma cerco di operare in positivo, di guardare avanti. Adoro la forza reattiva di Michela Murgia e credo che lei rappresentanti anche la mia voce.
Carmine Maffei
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Uno svizzero napoletano. L’orgoglio di una grande azienda italiana di Ciro Thierry Perrella
Uno svizzero napoletano. L’orgoglio di una grande azienda italiana, edito Graus Edizioni, è il racconto di una storia intima, coraggiosa, sincera, semplice, appassionata. L’obiettivo del suo autore, Ciro Thierry Perrella, è chiaro: raccontare non solo i dati positivi, forse già evidenti, ma soprattutto i dolori, le difficoltà, le esperienze che lo hanno formato e i tanti incontri fondamentali che lo hanno portato ad essere l’uomo, il padre e l’imprenditore che è oggi.
Dettagliando il percorso straordinario di un’azienda che ha mosso passi da giganti dal sud dell’Italia in tutto il Paese, con il marketing messo in campo, intuitivo e strategico, l’autore si sofferma doverosamente sull’altro grande protagonista del libro, suo padre Raffaele, allargando il racconto alla famiglia con tante memorie e aneddoti, talora lieti e sempre di forte impatto.
Con un pizzico di sana nostalgia e di amarcord per gli anni dell’adolescenza e per i favolosi anni ’90, il libro racconta per capitoli le difficoltà della pandemia da Covid 19, i progetti futuri, gli investimenti e soprattutto le passioni: il calcio, i viaggi, la musica, il valore dell’amicizia e quello della gratitudine. La forza della fede.Non potevano mancare le note storiche e sentimentali che hanno portato alla creazione di un complesso aziendale, architettonico e paesaggistico, ancora oggi unico nel suo genere – la Fiera del Mobile di Riardo – costruito, in anticipo sui tempi, con una grande sensibilità per l’ambiente e la sostenibilità.
Il percorso di vita di Ciro/Thierry esprime oggi fortemente, nelle sue azioni quotidiane così come attraverso le pagine di questo libro, il concetto di “squadra” vincente che, nelle aziende contemporanee, specialmente in quelle che fanno capo ad una consolidata tradizione familiare, è di profonda importanza.
Ciro Thierry Perrella: biografia
Ciro Thierry Perrella, è un “ragazzo” del Sud, nato in Svizzera esattamente 50 anni fa e cresciuto nella sua “Terra”, tra Riardo, Caserta e Napoli. Padre attento e amorevole di tre figli, grande appassionato di calcio, dopo un lungo percorso di ricerca e di crescita personale e professionale è amministratore della Fiera del Mobile di Riardo nonché, dal 2017, Ceo & Founder di Thierry House.
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Dove bisogna stare è un docufilm sull’accoglienza firmato Gaglianone e Collizzolli: il trailer
Daniele Gaglianone e Stefano Collizzolli portano sul grande schermo Dove bisogna stare, un docufilm che ha come protagoniste quattro donne impegnate nell’accoglienza volontaria. Il lungometraggio mostra in modo molto diretto l’altra faccia della medaglia sul tema dell’immigrazione.
L’immigrazione e la consequenziale accoglienza sono argomenti che, spesso, vengono trattati in modo superficiale, senza approfondire realmente la questione umanitaria che spinge uomini, donne e bambini ad intraprendere viaggi, spesso fatali, per poter respirare la libertà o almeno per assaporarla. Che cos’è la libertà? Vi ponete mai questa domanda? La maggior parte di noi la dà per scontata ma, purtroppo, non è per tutti così.
Dove bisogna stare affronta il tema dell’immigrazione e dell’accoglienza, conducendo lo spettatore nei centri sociali e nei rifugi provvisori, per mostrare la realtà e sfatare alcuni miti sulla questione.
Quali sono le problematiche burocratiche a cui ogni giorno devono far fronte gli operatori e i mediatori culturali per poter garantire la minima accoglienza a persone che non hanno più nulla? Cosa spinge un essere umano a diventare profugo, avventurandosi oltre i propri confini, rischiando tutto? Sicuramente non è il “benessere economico” che i mass media cercano di far credere.
Sull’argomento immigrazione e accoglienza si sono costruiti stereotipi e generalizzazioni che hanno e stanno, tutt’ora, generando insofferenza verso l’argomento. All’interno di queste dinamiche o “emergenze” ci sono interessi politici ed economici che non hanno come beneficiari diretti gli immigrati.
Dove bisogna stare non cerca di muovere le corde della pietà e della compassione ma vuole mostrare come si svolge, davvero, la realtà all’interno di queste situazioni umanamente precarie. Nella maggior parte dei casi l’Italia funge da “terra di passaggio” per andare in altri luoghi.
Un’altra particolarità del docufilm è che i protagonisti sono due categorie che, per motivi diversi, hanno non poche discriminazioni sociali: gli immigrati e le donne.
Dove bisogna andare: protagonisti
Lorena, una pensionata di Pordenone, aiuta dei rifugiati pakistani e ci mostra come sia difficile vivere in condizioni così precarie, resistendo al freddo e non riuscendo ad avere assistenza medica.
Per lei:
Guardare un rifugiato negli occhi è un gesto politico, è un modo per ridargli il valore per metterlo al mondo
Elena, invece, vive in un piccolo paese vicino alla Val di Susa e ospita a casa sua un ragazzo che ha attraversato la frontiera, a piedi scalzi e con la neve, rischiando l’amputazione degli arti. Jessica è un’attivista ed è tra i responsabili del centro sociale Rialzo di Cosenza infine c’è Elena che vive a Como e cerca di dare informazioni pratiche ai profughi che ne hanno bisogno.
Tutte e quattro le protagoniste del documentario hanno in comune la forza e la determinazione che le spingono a combattere quotidianamente con situazioni complesse. Sono donne libere da preconcetti, motivate esclusivamente dalla voglia di aiutare chi cerca di riappropriarsi della propria vita. Il film porta a riflettere sul vero significato e valore che hanno le parole: accoglienza, solidarietà e pregiudizio razziale.
Dove bisogna stare verrà proiettato nelle sale il 17 gennaio.
Buona visione!
13 comments on Arsenico,
lo spettacolo di Teselli
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