Domenica Lomazzo, Consigliera di Parità della Regione Campania, ci spiega le difficoltà riguardo le pari opportunità femminili che, pur esistendo nelle normative, vengono disattese nella realtà sociale e lavorativa.
La legge italiana garantisce uguaglianza tra i generi ma la realtà è ben diversa.
Esiste ancora una disuglianza salariale tra uomo e donna, non c’è ancora spazio sufficiente per la donna a livello lavorativo, soprattutto in Campania, dove la statistica delle donne occupate è ancora molto bassa, stiamo parlando del 30%. Questo dimostra che, nonostante affermiamo di essere una società libera dai pregiudizi, la realtà in cui ci troviamo è piena di limiti e di ostacoli per una libertà lavorativa, sociale ed economica che sia paritaria per tutti.
Quante donne sono costrette a lasciare il proprio lavoro perché non ci sono strutture in grado di poterle supportare durante questo periodo delicato? Quante donne non vengono assunte perché potrebbero decidere di diventare madri?
Per poter cercare di risolvere questo tipo di problematiche c’è bisogno di promuovere la cultura paritaria ed inclusiva.
La violenza sulle donne, ad esempio, è un’altra dimostrazione della mancanza di parità nel potere tra uomo e donna. Per poter cambiare questa situazione c’è bisogno d’inserire le donne nel mondo del lavoro in modo più massiccio rispetto alla situazione attuale.
Cosa sancisce l’articolo 37 della Costituzione?
La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambbino una speciale adeguata protezione.
Bisogna liberarsi di tutti quegli stereotipi che vincolano la crescita sociale e lavorativa della donna. C’è bisogno di abbracciare un modello di cultura globale. L’incontro tenutosi ad Avellino: Giù il velo dei pregiudizi, a cui ha partecipato anche Domenica Lomazzo, è un ottimo esempio di cambiamento culturale che può avvenire all’interno delle istituzioni scolastiche.
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“Tutta bianca”:
il video del singolo di ZerellaIl videoclip di “Tutta Bianca“, il nuovo singolo del cantautore irpino Ciro Zerella, è un video basico, concettuale: vuole comunicare che da un circolo di azioni che sembra inarrestabile può fiorire una diversa direzione. A girarlo, il regista avellinese Roberto Gaita, laureato in filosofia, già noto per il suo impegno all’interno dell’associazione cinefila Zia LidiaSocial Club.
Lo stesso regista spiega l’intento della sua opera che ruota attorno ad una massima di Sigmund Freud: “Una coazione a ripetere pare più originaria, più elementare, più pulsionale di quel principio di piacere di cui non tiene alcun conto”.
La ripetitività inquadrata di sghimbescio e la compulsione maniacale che ne deriva divengono anonime azioni appartenenti, quindi, a chiunque. Lo stretto contatto con svariati elettrodomestici e oggetti di vario tipo aderiscono perfettamente ad un modello di coazione a ripetere sfociato poi nell’utilizzo della lavatrice nuova, elemento cardine del testo e quindi anche nel video. La lavatrice si fa metafora di quell’istinto di iterazione che sul lungo periodo collettivo non ha voluto farsi da parte per lasciare il tempo a elementi esterni alla propria serialità. La protagonista del video diviene legata indissolubilmente alla propria quotidianità e reiterazione di gesti tecnici da non avere più il tempo per sciupare la propria lavatrice nuova nella propria casa nuova. Ancora, la lavatrice è, per il suo movimento, la sintesi stessa della circolarità. La lavatrice si fa metafora di un eterno ritorno che non consente altri vettori. Eppure un’altra pulsione può essere re-introdotta nel corso storico e nel quotidiano della protagonista e contrastare la lavatrice come triplice metafora: si tratta del principio di piacere.
Nel video qualcuno, chissà dove, si sta adoperando per la re-immissione di tale principio. Mentre questo qualcuno innaffia e prima che i fiori si materializzino in modo surreale nel terzo dei tre lotti di azioni illustrati, vengono disseminati due loro indizi: il primo viene nascosto nel primo lotto di azioni (una borsa a fiori) e il secondo nel secondo lotto (una casacca a fiori). Data l’ambientazione domestica del video, si è scelto di utilizzare come strumento di ripresa un attrezzo casalingo: un cellulare, sempre tenuto a mano senza eseguire interventi sulla fotografia in post-produzione.
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Il viaggio di Capitan Fracassa: Ettore Scola narra la realtà velata dal fascino del teatro
Siamo a Trevico, in provincia di Avellino ed è il 1940.
È sera e fa molto freddo in paese, e la famiglia Scola è radunata nel suo palazzo. La guerra è già iniziata da un pezzo, ma sembra così lontana e lì, in Baronia, pare che l’eco di essa non riesca a rientrare tra le preoccupazioni.
Il piccolo Ettore Scola, di nove anni, siede davanti al fuoco col nonno, non vedente che, quella sera così come le altre ancora a venire, gli chiede di prendere un libro dallo scaffale, e di leggere ad alta voce.
Ettore Scola non è tanto entusiasta dell’idea: quelle sono storie difficili per lui, spesso noiosissime, e non riesce quasi sempre a comprenderne il significato.
Quella sera però, qualcosa succede. Il volume che ha tra le mani, mentre con enfasi ne legge il contenuto, inizia a trasmettergli qualcosa di nuovo: nella sua mente le immagini si fanno sempre più vive, la storia lo trascina in un vortice di fatti e accadimenti da cui proprio non riesce a staccarsi.
Molti anni dopo, trasferitosi a Roma, e diventato un regista di successo: come dimenticare C’eravamo tanto amati (1974) o Una giornata particolare (1977)?, nonostante le acclamazioni e gli impegni che lo rendono occupatissimo a sviluppare nuove idee (inizia in realtà la carriera come sceneggiatore del film Un americano a Roma di Steno), non è mai riuscito a staccarsi dalla convinzione che quel libro che aveva letto al nonno più di quarant’anni prima avrebbe dovuto prendere vita con la realizzazione di un film.
Il libro in questione era Capitan Fracassa di Théophile Gautier. Si narra che, inizialmente, pensando alla trasportazione sul grande schermo, avesse contattato un giovanissimo Gérard Depardieu, che all’inizio degli anni ’80 era un ragazzo smilzo, e gli avesse riferito del progetto, riservandogli la parte del protagonista, un nobile dimenticato ed affamato, esiliato nella sua proprietà anch’essa in via di abbandono insieme all’umile servo, mentre le famiglia aveva perduto tutte le ricchezze.
Il film però non fu realizzato che una decina d’anni più tardi, e nel frattempo Gérard Depardieu aveva acquistato molto peso, così l’attore stesso decise di rinunciarvi.
Iniziano così finalmente le riprese di Il viaggio di Capitan Fracassa, con la produzione di Mario e Vittorio Cecchi Gori, di cui Ettore Scola, oltre ad esserne il regista, cura la sceneggiatura con molta naturalezza, coi ricordi della sua infanzia davanti alla libreria della sua casa di Trevico. Il film esce al cinema il 31 ottobre 1990, cinquant’anni dopo quelle letture che dedicò con trasporto al nonno non vedente.
Il viaggio di Capitan Fracassa: trama
Nel ‘600, una combriccola un pò sgangherata di attori, gira col suo carretto trainato da buoi, un mezzo che funge sia da casa che da palco per mettere in scena i loro spettacoli itineranti, mentre partono dalla Spagna e sono diretti in Francia, e precisamente a Parigi, dove sperano di ricevere il meritato successo. È durante questo viaggio che s’imbattono nella vecchia e abbandonata tenuta del barone Sigognac (interpretato da Vincent Perez), che infine prendono con loro, perché il vecchio servo narra la leggenda che il re avrebbe tenuto a cuore un gesto benefico della sua nobile famiglia, ridotta però al lastrico per ignoti motivi. Accompagnare il barone fino al cospetto di Luigi XIII, avrebbe significato per loro ricevere il doveroso rispetto dalla corte, quindi da tutta Parigi, che avrebbe per sempre lodato la bravura della compagnia, a cui sarebbe aspettato un periodo d’oro.
Il servo (Ciccio Ingrassia) raccomanda il suo sfortunato padrone a Pulcinella (Massimo Troisi), donandogli cento scudi d’oro, e chiedendogli di guidarlo sempre nella giusta direzione, essendo il barone privo di qualsiasi esperienza, perché vissuto soltanto tra le quattro mura di casa sua. Durante una nevicata. succede che uno degli attori, Matamoro (Jean-François Perrier), trovi la morte, e il barone Sigognac, che nel frattempo, con la guida di Pulcinella ha guadagnato un certo coraggio, fidanzandosi dapprima con la bella Serafina (Ornella Muti) e poi con Isabella (Emmanuelle Béart), si fa avanti per sostituirlo, tra gli sguardi increduli degli altri.
Dimenticandosi il nome del suo protagonista, dà vita così al personaggio di Capitan Fracassa. La commedia si tiene al castello del marchese di Bruyères (Marco Messeri), che invita il duca di Villambrosa (Remo Girone). Quest’ultimo s’innamora di Isabella, e tale gesto incita l’ira del barone Sigognac, che lo invita al duello. Isabella, per salvare il barone da una morte certa, fugge via col duca e abbandona la compagnia. Nel frattempo però il barone ha una brutta ferita, che avrà bisogno di cure. Fortuna che il brigante Agostino (Claudio Amendola), trovandosi lì per caso, conosca un dottore bravissimo…
Il viaggio di Capitan Fracassa: storia, curiosità e tematiche.
Il film fu, per tutta la sua durata, girato al Teatro 5 di Cinecittà, il più grande, almeno all’epoca, d’Europa, e le scene furono volutamente curate con scenografie dipinte.
Nella pellicola, infatti, si denotano fortemente questi paesaggi finti, che si addirittura mal si prestano all’ambientazione selvaggia (la compagnia sgangherata ma bravissima viaggia sempre tra i boschi), e agli interni, anch’essi piuttosto “disegnati” dei castelli di Sigognac e di Bruyères.
Il film si apre con un siparietto, mentre l’inquadratura s’intromette pian piano in esso, e penetra tra le scene e le prime battute degli attori. Lo spettatore quindi è catapultato, fin da subito, in una pièce teatrale, con attori che interpretano a loro volta attori itineranti (scavalcamontagne come li definì Ettore Scola), e la voluta scenografia di cartone, ha il valore simbolico del lavoro che c’è dietro una rappresentazione; il film, in quanto esso tale resta, ha il compito, o meglio, gioca col suo pubblico la scommessa di fondere la realtà col teatro e viceversa.
Se all’inizio tale congettura disorienta, facendo immaginare un lavoro mediocre ed economicamente scarso, alla fine abitua l’occhio alla storia, che a sua volta racconta una storia di un teatro. Un teatro che narra, a sua volta ancora, la nascita di un personaggio inventato durante il lungo viaggio fino a Parigi, Capitan Fracassa, frutto della fantasia del barone Sigognac, che nel frattempo ha sbaragliato la sua primordiale timidezza ed ha scoperto una vocazione che lo porterà ancora più lontano degli agognati splendori che gli avrebbe promesso il sovrano di Francia. Sarà lui a guidare da regista, infine, la compagnia fino alla Ville Lumière, e presentare ad un pubblico, povero ma entusiasta, una storia che sa di mistero, finzione e realtà: la sua stessa storia, in poche parole, arricchito con la fantasia.
È proprio il pubblico, questa massa di contadini, gente che vive di quasi nulla se non con le proprie risorse, la forza che ha voluto far intendere Ettore Scola. Il regista, infatti, punta molto le inquadrature sui volti esterrefatti della gente che assiste al teatrino e che paga con ciò che può, anche con beni in natura, e che attraverso le storie che vengono presentate, s’immedesima in esse, sogna, mette in moto la sua stessa fantasia e si finge ora un conte, ora un barone, ora un condottiero valoroso, e con tali scene ottiene il suo riscatto nei confronti dei più potenti, di chi li schiaccia.
Un’ambientazione à la Hugo, con tutta la sua povertà e il suo millesimale valore sociale, che dona ad un pubblico analfabeta, che vive di ciò che si può, una scuola di vita e che gli fa conoscere le ambientazioni che ritraggono un mondo che neanche conoscono, e che forse hanno soltanto sentito tramandato nelle storie accanto al focolare di famiglia, lo stesso in cui si trovò, seppur in una misura più fortunata, il piccolo Ettore Scola, nel salone della sua casa natìa di Trevico, mentre leggeva al suo nonno quei romanzi, quelle storie che forse poco comprendeva, ma che avrebbe incamerato per dar inizio ad una carriera senza precedenti, che ha arricchito la storia del cinema italiano con capolavori indimenticabili.
Questa storia, signori, nasce dall’amore per la lettura.
Carmine Maffei
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Performance itineranti al Teatro San Ferdinando
Da sabato 9 aprile avrà inizio un percorso, inedito e originale, per raccontare e far scoprire il Teatro San Ferdinando coinvolgendo i diversi spazi, dal Foyer al sotto palco, fino al camerino di Eduardo. Una vera e propria performance artistica itinerante che parte dai luoghi per raccontare il rapporto inscindibile che lega il teatro San Ferdinando, il suo fondatore Eduardo e la città.
Un laboratorio creativo coordinato da Antonello Cossia in cui gli ex allievi, oggi attori, diplomati alla Scuola del Teatro di Napoli – triennio 2018 – 2021, hanno partecipato attivamente alla fase di elaborazione del progetto, scegliendo insieme i testi ed elaborandoli per immaginare una performance originale a metà tra visita guidata e teatro.
Le performance itineranti si terranno sabato e domenica nelle seguenti date:
9 e 10 aprile – 23 e 24 aprile – 7 e 8 maggio – 14 e 15 maggio ore 11,00
Performance itinerante tra apparizioni, illusioni, citazioni e fantasie per far vivere, raccontare, animare i luoghi del Teatro con gli attori diplomati alla Scuola del Teatro di Napoli, Triennio 2018 -2021.
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