Se il centrodestra smettesse di farsi male

Se Sabino Morano e Cosimo Sibilia invece di pugnalarsi davanti e dietro il palcoscenico della politica prestassero attenzione agli umori degli elettori e simpatizzanti con il distacco degli osservatori, giungerebbero alla stessa conclusione: il centrodestra è tutt’altro che morto, anzi la sua base elettorale tiene, ma per vincere e tornare ai fasti di un tempo ha bisogno di essere unito e compatto. Qualsiasi altro atteggiamento, qualsiasi ipotesi strategica alternativa, lo vede sul viale del tramonto.

Il centrodestra non vive senza la Lega e senza Fratelli d’Italia. Il centrodestra non vince senza Forza Italia. C’è un do ut des vitale tra le due anime, un legame per cui l’una non può fare a meno dell’altra, pena l’emarginazione: l’anima più radicale dà all’anima moderata la patente di un’opposizione vera al Pd in crisi e alle numerose liste civiche di centrosinistra; Cosimo Sibilia e Forza Italia offrono ai loro alleati il passaporto per presentarsi di fronte all’elettorato moderato come un’alternativa di governo affidabile.

Per alcuni versi le differenze, invece di essere un limite, un handicap, in un quadro unitario si possono trasformare in risorse, in qualità. In un paese diviso tra forze di sistema e anti-sistema (e non va dimenticato che le seconde sono prevalenti), un centrodestra unito e organizzato sulle due anime potrebbe dialogare con entrambi i campi, potrebbe addirittura assumere nello scenario tripolare della politica cittadina una singolare centralità.

È un concetto, questo, che Morano ha recepito con le sue prediche sull’unità e con l’immagine e il ruolo che ha scelto per sè: «Io -non si stanca di ripetere- posso essere il federatore del nuovo polo di centrodestra. Siamo una grande forza politica che deve fare i conti col consenso».

Un presupposto, questo, che è stato già risolto alle scorse elezioni di Primavera.

 

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