Alida Valli è stata un’attrice e modella italiana, oggi ricorrono i 100 anni dalla sua nascita. È stata una delle più grandi interpreti del cinema italiano e internazionale. Una donna dallo sguardo magnetico e profondo, divenne attrice simbolo del cinema italiano durante il periodo fascista nelle pellicole Ore 9 e Mille lire al mese.
Frequenta i corsi Centro sperimentale di cinematografia, esordendo sul grande schermo da giovanissima, interpretando ruoli da protagonista in film leggeri e spensierati che, all’epoca, ebbero molto successo tra il pubblico.
Tra le prime interpretazioni in personaggi drammatici ricordiamo il ruolo di Luisa ne Il piccolo mondo antico di Mario Soldati, che le valse il premio come miglior attrice italiana dell’anno. Nello stesso anno perse il fidanzato: Carlo Cugnasca.
Da questo periodo in poi Alida Valli dichiara l’intenzione di interpretare e cambiare prospettiva all’interno della sua carriera cinematografica.
Nel 1942 alcuni suoi film subirono la pressione della censura fascista. A differenza di molti suoi colleghi del tempo, Alida, rifiutò di trasferirsi negli studi cinematografici del fascismo salodiano, decidendo di restare a Roma.
In alcune occasioni lavorative non accettava le regole imposte dai produttori che volevano avere il completo controllo sugli attori. Questo implicò la rescissione del contratto e un’ingente penale da pagare.
La sua fama si consolida sotto la direzione di: Franco Brusati, Pier Paolo Pasolini e Gillo Pontecorvo.
Negli anni ’70 si distingue per la sua bravura e versatilità.
La ricordiamo, oltre che per la sua professionalità, per il suo essere una bellezza moderna, lontana dal divismo ha fatto ciò che era in suo potere per smitizzare l’immagine che si aveva di lei e la devozione del suo pubblico. Il suo intento era quello di trasmettere l’autenticità del suo lavoro e l’amore per il cinema attraverso i personaggi che interpretava. Non voleva essere mitizzata come donna e come attrice ma semplicemente apprezzata.
Ricordiamo Alida Valli come una donna ribelle, anticonformista, intelligente, schiva e indipendente.
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Le Ragioni del Boia di Giuseppe Garofalo: intervista
Le Ragioni del Boia (2019) è l’ultimo libro scritto dall’avvocato penalista Giuseppe Garofalo, pubblicato da Graus Edizioni.
Vincenzo de Jorio, avvocato criminale del Foro di Napoli, è la voce narrante all’interno de Le Ragioni del Boia. L’avvocato il 10 maggio del 1809 viene arrestato con l’accusa di aver partecipato ad una cospirazione per attentare alla vita del re, reato che ai tempi veniva punito con la pena di morte.
Le Ragioni del Boia mostra il doppio volto del diritto che, per certi aspetti, ancora è vigente.
Il libro è composto da una narrazione fatta di processi giudiziari che si svolgono a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo a Napoli, in età borbonica. Durante la lettura del libro assistiamo, in base alle decisioni giuridiche del momento, al processo di vittime che vengono accusate per aver gridato in strada: “Viva Ferdinando e viva Carolina” e cinque anni dopo “Abbasso Ferdinando e abbasso Carolina”.
In sostanza viene fuori un quadro della giustizia che processa se stessa perché le leggi, soggette a interpretazioni non sono altro che interpretazioni dettate da una legalità composta di concetti precettistici incompatibili con la realtà dei tribunali e del patibolo.
Durante la presentazione del libro, svoltasi a Santa Maria Capua Vetere, il noto giurista Carlo Taormina ha delineato un parallelismo tra il diritto di ieri e quello di oggi, partendo dalla spiegazione de Le Ragioni del Boia.
Carlo Taormina ha definito così Le Ragioni del Boia:
Un libro pieno d’insegnamenti perché ci sono una miniera d’informazioni tecnico-giuridiche su cui bisognerebbe riflettere.
Per avere un’idea più esaustiva de Le Ragioni del Boia, ecco l’intervista integrale a Giuseppe Garofalo.
Intervista integrale a Giuseppe Garofalo
Giuseppe Garofalo: biografia
Giuseppe Garofalo oltre ad essere l’autore de Le Ragioni del Boia è un noto avvocato penalista, allievo del professore Alfredo De Marsico.
Lo scrittore è uno studioso di storia giudiziaria infatti ha scritto tre libri di successo su questi argomenti: Teatro di Giustizia (1996), La Seconda Guerra Napoletana alla Camorra (2005) e L’Empia Bilancia (2011).
Con la pubblicazione de Le Ragioni del Boia Giuseppe Garofalo giunge al suo quarto libro, ma lo scrittore sta già lavorando ad un altro progetto, di cui ancora non sappiamo nulla.
Quali sono le ragioni del boia?
Tommaso Paradiso, il boia, vende spezzoni di corda degli impiccati a persone credulone che ne fanno degli amuleti o li conservano come reliquie. Il prezzo di ogni pezzo corda varia in base alla notorietà e alla personalità dell’impiccato.
La morte data dal boia era e doveva rimanere un atto amministrativo, la cui esecuzione doveva essere asettica, se non ripugnante, anche per chi la eseguiva.
…
A governare la Giustizia nei tribunali erano in tre: il re, il giudice e il boia. Non era una triade ma una Trinità perché decideva della vita e della morte.
Il re indicava con una legge in astratto le persone da uccidere, il giudice le indicava in concreto e il boia le uccideva. Nella trinità, però, non regnava la giustizia, quella delle leggi non scritte. Dell’orrore della decapitazione e della impiccagione veniva indicato responsabile il boia e non il giudice che le aveva ordinate.
In breve ad essere elogiato, paradossalmente, era il giudice che veniva apprezzato per la decisione mentre il boia veniva disprezzato per averla semplicemente eseguita.
Tommaso Paradiso, condannato a morte, era reo di peccati veniali e non di quelli mortali perché quest’ultima responsabilità era dei giudici che l’avevano decisa e fatta eseguire.
Le Ragioni del Boia mostra come sia ambivalente il volto della legge e come possa rinnegarsi o contrapporsi a se stessa, a distanza di anni o di epoche.
Se dovessimo riassumere con una frase Le Ragioni del Boia potremmo dire che si assiste alla condanna della giustizia che non fa altro che condannare se stessa.
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Napoli ospita il ritorno di Edgar Degas
Sarà il maestro impressionista Edgar Degas ad inaugurare il programma di mostre d’arte a Napoli nel 2023. Dal 14 gennaio al 10 aprile, Degas il ritorno a Napoli, ospitata nel prestigioso complesso monumentale di San Domenico Maggiore, a pochi passi dal palazzo Pignatelli di Monteleone dove Degas soggiornò nel 1856, celebrerà l’arte del maestro francese e il suo stretto rapporto con l’Italia, in particolare con la città di Napoli.
Prodotta dalla società Navigare Srl in collaborazione con il Comune di Napoli e Diffusione Cultura, e curata da Vincenzo Sanfo l’esposizione allestita nella sala del Refettorio presenterà al pubblico un’ampia panoramica di oltre 100 opere tra cui l’importante disegno “Ritratto di Eugène Manet”; 19 monotipi della serie Maison Tellier, 32 monotipi originali sulla Famiglia Cardinal realizzati da Degas, stampati da Ambroise Vollard, e 40 disegni in facsimile dal Carnet di Ludovic Halévy.
Il noto legame tra Degas e il mondo della danza, largamente rappresentato nelle sue opere, sarà presente in mostra attraverso due sculture, alcune preziose incisioni d’epoca e disegni raffiguranti ballerine realizzati in un prezioso facsimile per il celebre Carnets di Ludovic Halévy.
Alle opere originali, selezionate tra collezioni private francesi e belghe, saranno affiancate riproduzioni e proiezioni per accogliere lo spettatore in un coinvolgente racconto della biografia personale e artistica del pittore e scultore francese. Tra queste: la proiezione del famoso dipinto dedicato alla Famiglia Bellelli, capolavoro realizzato a Firenze e che ritrae la cugina di Degas con le figlie e il marito.
Ma anche il ritratto del nonno René Hilaire De Gas, realizzato durante la permanenza a Napoli, oltre a fotografie di scorci del palazzo di famiglia sito a Napoli e i ritratti del padre, delle sorelle e del fratello, in parte con fotografie originali d’epoca e, in parte, con proiezioni dei ritratti realizzati da Degas stesso. Una sezione, infine, sarà dedicata alla passione di Degas per la fotografia, con scatti provenienti dalla Bibliothèque Nationale de France.
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Luci d’ombra è il nuovo libro dello scrittore Salvatore Enrico Anselmi
Lo storico dell’arte e scrittore Salvatore Enrico Anselmi torna a dialogare con i lettori con il suo nuovo libro, Luci d’ombra, Linea edizioni, Padova 2023.
Luci d’ombra è una raccolta di racconti che, come lo stesso autore sottolinea nell’introduzione, si lega al precedente romanzo Passaggi di proprietà, (Padova 2021- candidato al Premio Campiello 2022 e al Premio Comisso 2022, segnalato dalla Società Dante Alighieri), per intonazione e approccio narrativo, per l’istanza stilistica mimetica nei confronti delle età nelle quali le vicende narrate si svolgono, per aver alternato uno stile rarefatto ed evocativo, così come spiazzante e finalizzato a destabilizzare l’equilibrio della lettura.
Attraverso testi brevi, Luci d’ombra sorprende, commuove, fa sorridere. Indaga sull’identità umana e sulla sua natura per sezionare il tema in forma analitica, secondo una prospettiva lirica, introspettiva e, allo stesso tempo, ironica e surreale. In alcuni casi politicamente non corretta.
La creazione artistica, il confronto con la scoperta di sé, l’indagine sul rapporto amoroso, la distruzione perpetrata dall’uomo attraverso la guerra e il tentativo di ravvisare una redenzione, un viatico, un percorso di fuga o ricostruttivo sono alcuni dei nodi tematici.Il titolo deriva dalla condizione dello spazio, del luogo, dell’oggetto sollecitato da una luce filtrata che passa attraverso una superficie o una massa frapposta come quando si rimane all’ombra degli alberi, di una pergola, all’ombra di un tendaggio o di un telo. La non perfetta, alta e diffusa illuminazione in tal senso chiazza lo spazio di ombre o richiama in superficie le zone sollecitate dalla fonte che attraversa il vuoto senza ostacoli. Così come accade nell’esistenza del singolo e nella vita comunitaria, la luce irradia e si nasconde.
Può richiamare al brillio pieno la superficie di un oggetto o l’esercizio esperienziale di un uomo, ma può relegare entrambi al ristagno in penombra.
Convivono, nella trama di queste storie, racconti, lettere, monologhi, considerazioni solipsistiche che trovano voce nella parola scritta seguendo talvolta un abbrivio elevato, talvolta la medietà, talvolta la bassezza dei registri formali. A imitazione della vita e dei suoi protagonisti che veleggiano alti, ma possono incurvarsi nella negligenza quotidiana con la stessa frequenza e disinvoltura.
Secondo un andamento diacronico i primi racconti prendono avvio da vicende e condizioni che ambientano le storie in periodi più lontani dalla contemporaneità, per avvicinarsi al contesto attuale, sempre con uno sguardo evocativo e di riflessione. Talvolta l’io narrante parla in prima persona, talvolta con il distacco e la terzietà della vicenda raccontata servendosi di un approccio oggettivo.
La banalità della vita, per l’appunto, il senso-non senso di questa, il rovello creativo, il motore etico della scrittura, il dramma della violenza e la surrealtà delle minime cose, delle minime, piccole incombenze di quotidiana valenza, la mostruosa identità umana e la sua sublime capacità di innalzarsi per instaurare una visione altra, possono essere questi i crocevia del dubbio e lo snodo della prosecuzione. Così come centrale è il monologo interiore, il soliloquio che, pur con la variazione delle circostanze e delle intonazioni, costituisce un’altra tematica portante, un’altra voce che accompagna il lettore.È un collante l’identità analitica che sottopone al suo sguardo il circostante, lo storicizzato e il contemporaneo, l’elevatezza drammatica di un compositore, la banalità triviale di un gommista, l’atmosfera visionaria di un locale frequentato da particolarissimi avventori, l’istanza di conferire pregnanza all’arte in conflitto col tempo, il rammarico per aver smarrito il bene o sfiorato la perdita ineludibile e la ripulsa per una condizione omologata.
I monologhi conservano in buona parte la sostanza testuale consona a un allestimento teatrale, a un soliloquio destinato a un pubblico di ascoltatori compresenti nello stesso tempo e nello stesso spazio occupato dalla parola enunciata.
Dichiara un esercizio di stile non fine a sé stesso la duplicazione dell’incipit in Dietro la brina del vetro che di fatto sconfina e devia in direzione di due storie diverse tra loro, accomunate dalla celebrazione, se possibile, dell’ovvietà banale delle giornate e del loro svolgersi. La quasi vischiosa e puntuale descrizione, il ritmico e cadenzato avanzamento delle due storie sono tuttavia coerenti e convergono fin quasi alla sovrapposizione di due esperienze umane interscambiabili. Il sogno del giovane nel primo racconto potrebbe essere consumato dal ragazzo protagonista del secondo, nella cadenzata e sempre uguale procedura d’avanzamento nello spazio e nel tempo tramite la ripetizione del viaggio in treno.
Lo stile e il tenore linguistico perseguono un principio di adeguamento ai tempi, alle età, alle circostanze. Il mimetismo narrativo costituisce un altro tenace legame di coerenza con i temi dei racconti che rappresentano quasi la mutevole, ma unitaria eco di un’identità coerente.Evidenti e nascosti, macroscopici e sottesi sono le citazioni e i riferimenti storici, letterari, di cronaca e di costume. Macro e microscopia sono affiancate l’una all’altra nell’intento di mediare e trovare una linea, un filo, una coerenza di riferimento e di fondo. In ragione di tali caratteristiche Luci d’ombra è strettamente connesso, per cornice generale di riferimento, al romanzo che precede questa raccolta di racconti, ovvero Passaggi di proprietà, (LINEA edizioni, Padova 2021).
Quale rapporto dovrebbero innescare queste storie con il lettore? Non dovrebbe lasciarlo indifferente questa selezione di vicende che studiano il vero e il verosimile, evocano il passato e lo riconducono al presente. Contraddittorie, irresolute, confliggenti sono la banale oggettività della giornata comune, così come la ragione d’essere per chi crea, così come la ragione d’essere per chi attende o afferra il presente, per chi lo ipoteca in una soluzione possibile, tendente a una svolta.La violenza della guerra e la sua irragionevole azione livellatrice, l’essere umano perduto e ritrovato, la surrealtà e la gioia della vita tracciano un percorso chiazzato da accensioni e sordine.
Luci d’ombra è un terreno minato e un luogo d’inciampo, è un quesito la cui risposta forse contiene un imperativo. È una ripresa e una stasi.
Luci d’ombra è dunque un terreno chiaroscurato, percorribile a tappe, dopo soste, per sferzate e abbrivio del ritmo e del percorso periegetico intorno all’uomo.
Luci d’ombra è la sfida di un viaggio lanciata a chi vi si accosta per leggere e maturare un cambiamento in sé. Un testo raffinato, godibile e coinvolgente.Salvatore Enrico Anselmi: biografia
Salvatore Enrico Anselmi, docente, storico e critico d’arte, ha collaborato con il Centro Studi sulla Cultura e l’Immagine di Roma (Atlante del Barocco in Italia, Roma 2014) e ha tenuto corsi di Storia dell’arte moderna presso alcuni atenei italiani.
Ha pubblicato monografie dedicate alle vicende di committenza nobiliare di età moderna in area centro-italiana con particolare riguardo ai Giustiniani, ai Farnese, e ai Maidalchini-Pamphilj. Suoi contributi sono apparsi in riviste e atti di convegno.
Alle attività di ricerca affianca la scrittura narrativa di impianto storico e introspettivo.I suoi romanzi Exitus (Roma 2019, selezione Premio Mastercard 2020) e Passaggi di proprietà (Padova 2021, in concorso al Premio Campiello e al Premio Comisso 2022) sono stati segnalati dalla Società Dante Alighieri. Alcuni suoi racconti e testi poetici sono stati pubblicati in Nazione Indiana, Rapsodia. A magazine of art and literature, Critica Impura. Ha preso parte, tra l’altro, al Concorso Caffè letterario Moak 2020 attestandosi tra i vincitori, all’edizione 2021 della Fiera Italiana dello Scrittore, alle rassegne Italia Book Festival e Il Maggio dei Libri 2022.
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