La banalità del tragico di Raymond Carver a teatro
Simona Fredella, Andrea Palladino e Alessio Sordillo hanno proposto in versione teatrale Una cosa piccola ma buona, un racconto breve di Raymond Carver contenuto all’interno del libro Cattedrale (1983).
La trasposizione teatrale, a mio avviso, è completamente riuscita: la rappresentazione infatti nonostante la tematica angosciante sottolineata dalla scenografia cupa e realistica è stata travolgente e intensa.
La loro scelta è stata coraggiosa perché non è semplice riproporre in versione teatrale un autore particolare e forte come quello che hanno scelto eppure l’impresa è riuscita pienamente. Ancora più da apprezzare è il voler condurre lo spettatore in una tematica così forte e cupa che, oggi, pochi post lockdown stanno proponendo. Troppo distratti dal voler contemplare la vita stiamo dimenticando che la cultura deve portarci a far riflettere, anche rimarcando sensazioni che, ad oggi, cerchiamo di allontanare per ovvie ragioni, legate ai mesi precedentemente trascorsi.
Una cosa piccola ma buona si basa su fraintendimenti vissuti all’interno di un momento tragico e ce ne svela la sua banalità perché in fondo non è il tragico ad essere banale ma siamo noi che decodifichiamo la realtà, la esasperiamo, trascendendo nel banale.
Il racconto di Carver riesce a penetrare nel profondo dell’animo umano, utilizzando la crudeltà della realtà e della vita, sottolineando che siamo miseria ma allo stesso tempo siamo capaci di umanità, di perdono e di vicinanza.
Una cosa piccola ma buona di Raymond Carver: la trama della rappresentazione teatrale
Una cosa piccola ma buona racconta la storia di Scotty, un bambino che è stato investito da un’auto nel giorno del suo compleanno. I sentimenti dei genitori del piccolo sono i protagonisti del racconto. L’altra protagonista è la solitudine del pasticcere.
L’equivoco infatti nasce da una telefonata di quest’ultimo che chiama a casa di Ann e Howard per risentirsi del fatto che nessuno,ormai da tre giorni, si sia recato presso il suo laboratorio dolciario, per ritirare la torta commissionata. Il problema è che all’inizio della telefonata il pasticcere non dice chi sia e i coniugi pensano che sia l’ospedale dove’è ricoverato Scotty che li abbia telefonati per comunicare che lo stato del figlio è peggiorato.
Ann e Howard si precipitano in ospedale, scoprendo che il bambino è stazionario e presi dalla disperazione e dall’angoscia per ciò che stanno vivendo non pensano che a telefonarli sia stato il pasticcere ma qualcuno che vuole beffarsi crudelmente di loro in momento così duro e complicato da affrontare.
L’ansia per via di altre telefonate del pasticcere si tramutano in rabbia nei confronti di questa voce sconosciuta che sta esasperando e mettendo a dura prova i nervi di Ann e del marito.
Purtroppo arriva anche la telefonata dell’ospedale che comunica la notizia che i genitori tanto scongiuravano e poi arriva ancora una volta la voce del pasticcere.
Finalmente la donna comprende che le telefonate sono del pasticcere e i due si precipitano al laboratorio carichi di rabbia e con ilcuore in frantumi.
Proprio quando due oltrepassano la soglia del laboratorio e i tre chiariscono, ognuno la propria situazione, che arriva l’epilogo.
Preobabilmente avete bisogno di mangiare qualcosa- disse il pasticcere. – Spero vogliate assaggiare i miei panini caldi. Dovete mangiare per andare avanti. Mangiare è una cosa piccola ma buona in un momento come questo.
Mangiate, prendete tutti quelli che volete. Ci sono tutti i panini del mondo qui.
…
Ann e Howard lo odorarono, poi lui glielo fece assaggiare. Sapeva di melassa e cereali integrali. Continuarono ad ascoltarlo. Mangiarono tutto quello che poterono. inghiottirono quel pane scuro. Sotto le batterie di luci fluorescenti sembrava giorno. Rimasero lì a parlare fino all’alba, un chiarore pallido e intenso che entrava dalle vetrine, senza che venisse loro in mente di andarsene.
Una cosa piccola ma buona è un crescendo delle esasperazioni emozionali e del sentire umano ma anche dell’insoddisfazione e dell’immensa solitudine di cui siamo intrisi, a prescindere dalle nostre vite, dalle scelte fatte e dai fallimenti accumulati perché basta un nonnulla, un equivoco, un qualcosa a scombussalare i nostri equilibri e la nostra fragilità.