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I Villeggianti di Valeria Bruni Tedeschi a febbraio nelle sale: il trailer

  1. Valeria Bruni Tedeschi, dopo Un castello in Italia (2013), ritorna dietro la macchina da presa con il film I Villeggianti, che uscirà nelle sale italiane il prossimo 28 febbraio. Il lungometraggio è stato presentato alla 75esima Mostra del Cinema di Venezia, nella categoria dei film fuori concorso. Gli esperti del settore si sono divisi tra chi ha apprezzato la delicatezza autobiografica e chi ha stroncato la pellicola, considerandola un flop.

L’attrice attraverso la realizzazione de I Villeggianti mostra al pubblico una parte di sé intima e privata: la trama è autobiografica e racconta i momenti cruciali più significativi della sua sfera privata. Il lungometraggio trasuda di cinismo e di malinconia, sentimenti che non abbracciano solo i rapporti d’amore finiti male ma anche quelli più intimi e familiari.

L’idea cinematografica di Valeria Bruni Tedeschi è quella di parlare di vita vissuta, per poter trasmettere quel senso umano di universalità e di fragilità, che appartiene a tutti noi.

L'attrice durante una scena de I Villeggianti

Valeria Golino

I Villeggianti: la trama

I Villeggianti si svolge all’interno di una villa isolata sulla Costa Azzurra, è un luogo senza tempo quasi surreale. Anna (Valeria Bruni Tedeschi) decide di trascorrere nella casa qualche giorno di vacanza insieme alla figlia, per svagarsi e riflettere. La donna ha bisogno di tranquillità per poter pensare alla fine del suo matrimonio, cercare di concentrarsi per la scrittura del suo prossimo film ed elaborare la morte del fratello.

Elena (Valeria Golino), la sorella, le farà compagnia in questo percorso ma, ciascuna a suo modo, dovrà fare i conti con la propria alienazione ed i propri problemi esistenziali.

Protagonista principale del film è la solitudine, che ci accompagna tutti: non basta avere una vita impegnata e sociale gratificante per eludere questa condizione.  Ogni essere umano ha un proprio microcosmo con cui è costretto a fare i conti.

Altro punto focale della pellicola è l’universalità del sentire umano che, in qualche modo, ovatta il nostro isolamento. Le tragedie esistenziali di ogni essere umano, per quanto uniche e singolari, ci connettono tra noi: il dolore, la paura di guardarsi dentro e di non riuscire a superare qualcosa che, si pensa, possa essere più grande di noi. Questi meccanismi sono universalmente validi per tutti.

Se avete voglia di intraprendere questo viaggio intimo ed introspettivo, non vi resta che aspettare l’uscita del film nelle sale.

M.I.A. La cattiva ragazza della musica è il docufilm di Stephen Loveridge: il trailer

M.I.A. La cattiva ragazza della musica è un documentario firmato Stephen Loveridge, la pellicola è uscita nelle sale italiane il 20 gennaio. Il docufilm mostra il vero volto che caratterizza l’animo ribelle, le canzoni provocatorie e crude di M.I.A. (Mathangi Maya Arulpragasam), pop star controversa e tra le artiste più interessanti del panorama musicale contemporaneo.

La sua è una storia particolare: M.I.A. nasce a Londra il 18 luglio del 1975,  a sei mesi ritorna nello Sri Lanka. Arul Pragasam, suo padre, è un attivista Tamil (un movimento sovversivo che si batte per l’indipendenza della parte settentrionale  e orientale dello Sri Lanka). Con l’inasprirsi della guerra civile ed il pericolo annesso, M.I.A. ottiene il permesso di tornare a Londra come rifugiata. Questa esperienza unita alla sua passione per la musica le permette di esprimersi, diventando la star internazionale che la maggior parte di noi conosce.

Usando le sue parole:

Dovevo affrontare il fatto di essere diversa, ero un’immigrata. Nello Sri Lanka eravamo circondati dalla guerra civile e la musica era la mia medicina.

La maggior parte dei testi delle sue canzoni racconta della sua gente, di ciò che succede e che non si dice, della sua esperienza da rifugiata. M.I.A. La cattiva ragazza della musica è il titolo italiano del documentario ed è preso in prestito da una sua canzone: Bad Girls del 2012.

Chi sono le cattive ragazze? Da una lettura del testo si comprende che le bad girls sono donne indipendenti e forti, che vivono la vita per come vogliono e non per come gli altri si aspettano da loro. Sono ragazze che non hanno paura di cogliere l’attimo, vivendolo senza paura.

 

La locandina del documentario

M.I.A. La cattiva ragazza della musica non segue un continuum temporale perché lo spettatore, attraverso queste interruzioni, deve poter comprendere d’impatto la difficoltà che ha avuto la cantante nel mantenere un legame con la sua terra e le proprie radici. La particolarità e la bellezza che contraddistinguono il lungometraggio è il distaccarsi dallo scenario del classico docufilm musicale. Se vi aspettate un approfondimento della pop star attraverso la visione di video o immagini inedite dei suoi live, ne resterete delusi.

La pellicola mostra immagini truci sulle conseguenze che porta con sé la guerra, sinonimo di violenza e di disumanità. M.I.A. La cattiva ragazza della musica rivela la forza di una giovane donna che, in realtà, di bad girl ha ben poco, se non il fatto di voler raccontare senza metafore una condizione politica e sociale che di patinato ha ben poco.

Per darvi un’idea della musica di M.I.A. e di ciò che abbiamo detto a riguardo, vi mostriamo il video di Borders, singolo del 2015.

Se siete interessanti al tema immigrazione e accoglienza Dove bisogna stare, un altro documentario, potrà darvi molti spunti di riflessione a riguardo.

Buona visione!

Dove bisogna stare è un docufilm sull’accoglienza firmato Gaglianone e Collizzolli: il trailer

Daniele Gaglianone e Stefano Collizzolli portano sul grande schermo Dove bisogna stare, un docufilm che ha come protagoniste quattro donne impegnate nell’accoglienza volontaria. Il lungometraggio mostra in modo molto diretto l’altra faccia della medaglia sul tema dell’immigrazione.

L’immigrazione e la consequenziale accoglienza sono argomenti che, spesso, vengono trattati in modo superficiale, senza approfondire realmente la questione umanitaria che spinge uomini, donne e bambini ad intraprendere viaggi, spesso fatali, per poter respirare la libertà o almeno per assaporarla. Che cos’è la libertà? Vi ponete mai questa domanda? La maggior parte di noi la dà per scontata ma, purtroppo, non è per tutti così.

Dove bisogna stare affronta il tema dell’immigrazione e dell’accoglienza, conducendo lo spettatore nei centri sociali e nei rifugi provvisori, per mostrare la realtà e sfatare alcuni miti sulla questione.

Quali sono le problematiche burocratiche a cui ogni giorno devono far fronte gli operatori e i mediatori culturali per poter garantire la minima accoglienza a persone che non hanno più nulla? Cosa spinge un essere umano a diventare profugo, avventurandosi oltre i propri confini, rischiando tutto? Sicuramente non è il “benessere economico” che i mass media cercano di far credere.

Scena tratta dal film

Dove bisogna stare il documentario

Sull’argomento immigrazione e accoglienza si sono costruiti stereotipi e generalizzazioni che hanno e stanno, tutt’ora, generando insofferenza verso l’argomento. All’interno di queste dinamiche o “emergenze” ci sono interessi politici ed economici che non hanno come beneficiari diretti gli immigrati.

Dove bisogna stare non cerca di muovere le corde della pietà e della compassione ma vuole mostrare come si svolge, davvero, la realtà all’interno di queste situazioni umanamente precarie. Nella maggior parte dei casi l’Italia funge da “terra di passaggio” per andare in altri luoghi.

Un’altra  particolarità del docufilm è che i protagonisti sono due categorie che, per motivi diversi, hanno non poche discriminazioni sociali: gli immigrati e le donne.

Dove bisogna andare: protagonisti

Lorena, una pensionata di Pordenone, aiuta dei rifugiati pakistani e ci mostra come sia difficile vivere in condizioni così precarie, resistendo al freddo e non riuscendo ad avere assistenza medica.

Per lei:

Guardare un rifugiato negli occhi è un gesto politico, è un modo per ridargli il valore per metterlo al mondo

Elena, invece, vive in un piccolo paese vicino alla Val di Susa e ospita a casa sua un ragazzo che ha attraversato la frontiera, a piedi scalzi e con la neve, rischiando l’amputazione degli arti. Jessica è un’attivista ed è tra i responsabili del centro sociale Rialzo di Cosenza infine c’è Elena che vive a Como e cerca di dare informazioni pratiche ai profughi che ne hanno bisogno.

Foto tratta dal docufilm Dove bisogna stare

Tutte e quattro le protagoniste del documentario hanno in comune la forza e la determinazione che le spingono a combattere quotidianamente con situazioni complesse. Sono donne libere da preconcetti, motivate esclusivamente dalla voglia di aiutare chi cerca di riappropriarsi della propria vita. Il film porta a riflettere sul vero significato e valore che hanno le parole: accoglienza, solidarietà e pregiudizio razziale.

Dove bisogna stare verrà proiettato nelle sale il 17 gennaio.

Buona visione!

Io sono Mia è il biopic su Mia Martini di Riccardo Donna

Riccardo Donna porta sul grande schermo  Mia Martini – Io sono Mia, il biopic su una delle voci più espressive del panorama musicale femminile italiano. Mimì ha una voce graffiante ma non aggressiva che lascia intravedere un animo cupo, sofferente e inquieto.

Mia Martini, sin da piccola, è affascinata e rapita dallo scenario musicale italiano. Cantare diventa la sua grande passione ma rappresenta, soprattutto, un mezzo per poter comunicare in modo più semplice i suoi turbamenti interiori.

Il lungometraggio di Riccardo Donna esula dal classico biopic, ciò si evince già da una prima visione del trailer.

Il regista gioca con i flashback, per poter mostrare allo spettatore non solo la Mia Martini cantante ma anche la Mimì (nome con cui veniva chiamata in famiglia) bambina e donna che ha generato il personaggio pubblico, che la maggior parte di noi conosce.

Mia Martini – Io sono Mia racchiude, in 130 minuti di girato, circa vent’anni di vita della cantante, cercando di attraversare e mostrare gli episodi più significativi della sua intera vita.

Foto storica della cantante italiana

Primo piano di Mia Martini

Chi è Mia Martini?

Mia Martini pseudomino di Domenica Rita Adriana Bertè, nasce a Bagnara Calabria il 20 settembra del 1947, è la secondogenita di quattro figlie: Leda, Domenica e Loredana Bertè, nota cantautrice italiana.

Il padre, Giuseppe Radames Berté, un insegnante di latino e greco, per motivi di lavoro, si trasferisce insieme alla famiglia nelle Marche. Mia Martini e Loredana Bertè hanno un rapporto conflittuale con la figura di quest’uomo che, ben presto, le porta a cercare la strada della libertà lontano da un nucleo familiare troppo rigido per le loro anime assetate di vita e di libertà.

Mimì canta di questo rapporto complicato in Padre Davvero, brano racchiuso nel suo primo disco: Oltre La Collina (1971). Per poter comprendere meglio l’animo e il modo di vedere questo rapporto padre/figlia, riportiamo alcuni spezzoni del testo di Padre Davvero.

Mi avevi dato per cominciare

tanti consigli per il mio bene;

quella è la porta, è ora di andare

con la tua santa benedizione.

Padre, davvero sarebbe bello

vedere il tuo pianto di coccodrillo!

Poi sono venuta e non mi volevi

ero una bocca in più da sfamare;

non  sono cresciuta come speravi

e come avevo il dovere di fare!

Padre, davvero che cosa mi hai dato?

Ma continuare è fiato sprecato

che sono tua figlia, lo sanno tutti

domani i giornali con la mia foto

ti prenderanno in giro da matti

Padre Davvero è un testo pregno dell’esperienza privata di Mimì, le parole non sono feroci ma laceranti e taglienti, proprio come lo è la sua voce. Da questo rapporto conflittuale e mai risolto, scaturisce una visione dell’uomo e del rapporto amoroso, che esula dai cliché del tempo in cui vive. Protagonisti delle sue canzoni ci sono uomini, storie d’amore e una vita interiore fatta di disillusioni continue e amare.

Nel 1982 Enzo Tortora, noto presentatore di fine anni ’50, intervista Mia Martini, chiedendole del ruolo che hanno le donne di Bagnara Calabria. La risposta della cantante al giornalista è ironica e sovversiva:

Le donne lavorano moltissimo, portano delle cose in testa. Una volta ho visto addirittura delle donne portare sulla testa dei binari di treno. I mariti invece bevono, stanno al bar e chiacchierano.

Il conduttore incalza, chiedendole di parlare della donna all’interno delle sue canzoni: la figura femminile nei testi della cantante non appare come sospirosa o vinta da ciò che le gira intorno. Il gentil sesso, anzi, appare come colei che gioca una partita a carte con l’uomo ad armi pari.

A questa domanda Mimì risponde così:

Non sempre è importante essere vincitrici. In amore è bello vincere, è bello perdere ed è importante sentirsi alla pari.

Questi che abbiamo descritto e citato sono alcuni dei molteplici elementi che caratterizzano la personalità fragile e complessa di Mia Martini.

Locandina del biopic

Mia Martini – Io sono Mia: trama

Il biopic di Riccardo Donna si apre con l’ingresso di Mia Martini (Serena Rossi) che ritorna, a calcare il palcoscenico di Sanremo nel 1989 con il brano Almeno tu nell’universo.

La cantante si lascia intervistare da Sandra (Lucia Mascino), una giornalista che in realtà vorrebbe incontrare Ray Charles. Da qui lo spettatore inizia a ripercorrere tutto il vissuto della cantautrice attraverso i suoi stessi occhi. La cantante racconterà del rapporto con il padre, della vita bohémienne vissuta in giro per il mondo fino ad arrivare ad una storia d’amore che la segnerà nel profondo. Per scoprire altri dettagli, non vi resta che guardare il film.

Il lungometraggio verrà proiettato nelle sale cinematografiche dal 14 al 16 gennaio.

Buona visione!

 

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