cinema

I fratelli De Filippo di Sergio Rubini: la recensione

I fratelli De Filippo di Sergio Rubini rappresenta una sorta di sequel di Qui rido io di Martone con le dovute differenze, rappresentate dalla modalità soggettiva dei due registi di guardare i personaggi all’interno delle rispettive pellicole, unito al differente tempo che ciascun di loro ha deciso di trattare.

Il lungometraggio di Sergio Rubini si sofferma sulla storia prevalentemente artistica dei fratelli De Filippo che però resta e resterà sempre ancorata alla vita intima e familiare dei tre, che vivono una sorta di senso di riscatto derivante dalla mancanza di un’identità familiare, che gli è stata consegnata in modo equivoco.

Tutti e tre i fratelli sanno che Eduardo Scarpetta è il loro padre naturale ma tutti e tre sanno che per loro ufficialmente, moralmente e artisticamente è il loro zio.

Il film mostra le difficoltà che i tre hanno dovuto affrontare nel loro iter artistico, prima di potersi affermare e restare ai posteri per come li conosciamo oggi. Sergio Rubini ci mostra tre anime e caratteri differenti che, nonostante le loro diversità, si amano in quanto famiglia, tendendo all’unione familiare e artistica nonostante tutto.

Affermarsi nel mondo del teatro, per loro, non è solo un atto dovuto nei confronti dell’amore per l’arte che, nonostante tutto, gli ha trasmesso Eduardo ma è, soprattutto, un modo, forse l’unico che hanno, per potersi riscattare e conquistare quella dignità che, dalla nascita, gli è sempre stata negata.

Il lungometraggio segue la narrazione del biopic classico, in cui le vicissitudini artistiche e personali di Eduardo, Peppino e Titina s’incrociano e si fondono tra vita privata e teatrale, per poter dare allo spettatore una conoscenza globale e intima dei tre protagonisti.

Peppino, Eduardo e Titina nel film di Sergio Rubini

Domenico Pinelli, Mario Autore e Anna Ferraioli Ravel nel film di Sergio Rubini

I fratelli De Filippo: i personaggi

Titina (Anna Ferraioli Ravel) è una donna forte, che ama il teatro, è risoluta ed è fiera perché nonostante sappia di non rientrare nei canoni estetici del tempo persevera per trovare un posto nel mondo del teatro e ci riesce prima nella compagnia di Totò e poi con i fratelli.

Eduardo (Mario Autore) è ambizioso, consapevole delle proprie capacità artistiche e spregiudicato nel volersi affermare a tutti i costi e in qualsiasi modo. La sua mente è brillante e veloce che insieme all’orgoglio e all’impulsività, a volte, lo conducono lontano dal riuscire a raggiungere il suo sogno, facendogli compiere scelte azzardate. Lui, in fondo, sa che insieme ai fratelli potrà avverare il suo sogno e quando la vita e gli eventi gli mettono i bastoni tra le ruote è capace di fare un passo indietro pur  di riuscire a raggiungere il suo obiettivo, che poi conquisterà.

I fratelli De Filippo: la recensione

L’ultimo film di Sergio Rubini

Peppino ( Domenico Pinelli) ama il teatro ma quella parte spensierata e comica, meno impegnativa e malinconica che, invece, tanto piace ad Eduardo. Tra i tre fratelli, lui, è quello meno ambizioso perché da piccolo, crescendo in campagna apprezza le cose semplici e i legami indissolubili. Il suo scopo è quello di lavorare facendo ciò che gli piace, senza porsi troppe domande perché quando è tempo di essere incudine non ha problemi ad incassare.

I fratelli De Filippo hanno grandi capacità anche nei loro percorsi artistici individuali ma insieme rappresentano una forza straordinaria che concentra: bravura, sensibilità differenti, ironia e creatività.

Sergio Rubini con il suo lungometraggio rende omaggio non solo ad Eduardo ma anche a Peppino e Titina che sono stati ugualmente grandi artisti.

Lo spettatore viene affascinato, ammaliato e incuriosito dalle personalità differenti dei tre fratelli De Filippo perché il regista riesce a dare a ciascuno quella dimensione umana, che li rende prima esseri umani e successivamente grandi artisti.

America Latina è il nuovo film dei fratelli D’Innocenzo: il trailer

Damiano e Fabio D’Innocenzo tornano, dopo Favolacce, sul grande schermo con America Latina e, in un certo qual modo, proseguono con il loro sguardo sulla società in modo caravaggesco.

Ritroviamo anche in questo film come protagonista Elio Germano, che interpreta Massimo Sisti, un dentista affermato, tranquillo, rispettoso della propria famiglia e dei propri pazienti, che non ha più nulla da chiedere o da pretendere dalla vita.

Lui ha tutto ciò che un uomo potrebbe desiderare, grazie al proprio senso di rispetto e serietà della vita e di tutto ciò che lo circonda.

America Latina: il trailer

Elio Germano è il protagonista di America Latina

Un giorno però, all’improvviso, Massimo decide di scendere nella sua cantina dove scopre o riscopre l’assurdo e c’è qualcosa che sconvolgerà la sua tranquillità.

La cantina, generalmente nel mondo cinematografico, rappresenta i film horror per antonomasia ma i fratelli D’Innocenzo in America Latina danno, a questo perimetro abitativo, la dimensione umana e reale che nella vita non è amplificata del grande schermo.

Questo luogo infatti rappresenta per tutti: un ampio cassetto dei ricordi, del passato e dell’interiorità. Un posto dove vengono confinati oggetti che non ci appartengono più, cose che ci ricordano qualcosa che non vorremo più ricordare. Sono oggetti che hanno segnato una fase di vita e di percorso, in cui si fatica a riconoscere perché si è andati avanti, segnando una tappa biologica e di esperienze diversa da ciò che è stato un tempo.

America Latina, come si evince anche dal trailer, segue quello stesso ritmo lento e reale della vita di tutti i giorni. Un tempo scandito da piccoli gesti che rappresentano la vita di ognuno: sono i ritmi del nostro quotidiano e della nostra esistenza. Quel susseguirsi monotono delle azioni  che turbano lo spettatore perché portano il carico della pesantezza della quotidianità, della noia e dei problemi con cui ogni giorno bisogna fare i conti.

America Latina: il film

Elio Germano interpreta il protagonista del film

La fotografia è intimista e senza eccessi di luce perché non c’è niente da sublimare ma da osservare nella sua semplicità senza fronzoli, quasi a voler lasciare indifferenti.

America Latina non vuole fare domande e non ha la pretesa di dare risposte, vuole lasciarsi osservare e innescare una decodificazione soggettiva in ciascuno.

Il lungometraggio uscirà nelle sale cinematografiche italiane il prossimo 13 gennaio.

4 metà: il film che confuta l’esistenza dell’anima gemella

Da sempre ci si chiede se esiste davvero l’anima gemella. C’è chi è fermamente convinto che nel mondo esiste la metà della mela perfettamente aderente ad un’altra, chi ci spera e chi cinicamente sorride all’idea di questa ipotesi azzardata e romantica. A prescindere dal filone in cui si crede, sono in molti, se non tutti, ad essere attanagliati dall’idea e dalla paura di scegliere o innamorarsi di qualcuno che poi si rivelerà sbagliato.

4 metà (2022) di Alessio Maria Federici è un film che ci mostra proprio questo, confutando l’idea e l’esistenza dell’anima gemella.

Il lungometraggio entra nelle dinamiche sentimentali e veloci del nostro tempo che, spesso, non lasciano lo spazio per la riflessione, a causa di eventi che possono capovolgere completamente la nostra percezione dell’altro o per altre motivazioni dettate dalla casualità, che si mescola all’imprevedibilità degli eventi.

4 metà: il trailer

Il film di Alessio Maria Federici

Il film mostra quante porte scorrevoli possono esistere in una combinazione composta da 4 persone (due donne e due uomini) e, a prescindere dalla scelta che ciascun protagonista effettuerà, non necessariamente si nasconde una delusione o una relazione fallimentare.

In 4 metà fa capolino il concetto di amore e le varie sfaccettature che ha: esiste quello che nasce dalla diversità che arricchisce, quello che affascina persone simili, quello che viene alimentato dalla sfida e quello che si costruisce sulla fiducia e sul bene che, col tempo, diventa affezione.

Se da sempre ci si interroga sull’anima gemella e sull’amore significa che una sola risposta assoluta non esiste: nel mondo esistono diverse combinazioni ma nessuna è sbagliata o è migliore di altre.

Il film di Alessio Maria Federici

Una commedia romantica dai tratti contemporanei

4 metà: la trama

Siamo a Roma, una coppia appena sposata decide di fare un esperimento, facendo incontrare quattro amici (due donne e due uomini) single. I prescelti sono molto diversi tra loro ma i novelli sposi nutrono la curiosità e la speranza che possano nascere delle nuove coppie.

Chiara (Ilaria Pastorelli) è un medico che ha una visione dell’amore romantica e non più mordi e fuggi. Dopo varie esperienze collezionate nella vita, cerca un uomo che sia capace di dare amore, vicinanza e calore umano. In breve, cerca la storia della vita perché sente che la sua non è completamente piena, le manca l’amore e una famiglia.

Giulia (Matilde Gioli) lavora in ambito finanziario, è una donna ambiziosa e proiettata sul suo lavoro e sulla sua carriera. Non è in cerca dell’amore, non è una sua priorità. Le sue storie sono brevi e senza preamboli inutili perché non ha voglia o la pazienza di essere corteggiata quando la sua finalità è la stessa dell’uomo di turno.

Matteo (Matteo Martani) lavora in una casa editrice, è un uomo ironico, colto, di sani principi e sempre con la battuta pronta. Non colleziona donne infatti ha difficoltà nell’approccio più semplice e in alcune situazioni si sente impacciato. Non sembra cercare l’amore o l’anima gemella ma non sembra neanche dispiacergli l’idea contraria.

Dario (Giuseppe Maggio) è un avvocato concentrato sui propri affari e su stesso. Le donne sono un passatempo, che durano il tempo della conquista. Non cerca l’amore, non gli interessa o semplicemente non ha ancora trovato la persona giusta.

I quattro single si incontrano e iniziano a conoscersi. Da qui Alessio Maria Federici inizia a creare le diverse coppie che possono formarsi: Chiara con Matteo, Giulia con Dario, Chiara con Dario e Giulia con Matteo.

Le prime due coppie (Chiara e Matteo, Giulia e Dario) rappresentano l’incontro che segue il filone dell’attrazione per somiglianza, rappresentato con i suoi pro e i suoi contro. Chiara e Matteo sono simili nel modo di vedere la vita, creano subito una sintonia ma alcune situazioni capovolgeranno l’equilibrio e la strada sentimentale.

Per Giulia e Dario il percorso non è poi tanto diverso perché il regista sembra voler sottolineare che, a prescindere dalle affinità intellettive e da ciò che si ritiene giusto per se stessi, quando ci si relaziona con un’altra entità basta poco per confondere le carte in tavola e seguire una strada diversa da quella si pensava essere la migliore.

Le altre due combinazioni (Giulia e Matteo, Chiara e Dario) sembrano quelle più improbabili, se si pensa alla teoria della metà della mela ma, tutto sommato sono ugualmente credibili, sembrano essere complete allo stesso modo della prima combinazione delle coppie.

4 metà in questo modo riesce a confutare l’esistenza dell’anima gemella e, in alcune situazioni, a smascherare quel romanticismo che appartiene all’amore perché amare, in fondo, significa fidarsi, scegliendo di intraprendere un percorso con qualcuno.

La vita spesso ci pone davanti a degli imprevisti, creando nuove situazioni perché nulla si può prevedere quando si vive e tutto può accadere. Non esiste l’amore perfetto, la coppia perfetta o l’anima gemella perché è tutto mutevole e in continuo movimento.

Ci si può innamorare all’istante, per sfida, per maturità, per responsabilità ma ciascun sentire non è meno nobile di un altro.

Per scoprire meglio il senso di queste parole non vi resta che guardare 4 metà, in programmazione su Netflix.

“Pe’ te sta’ cchiù vicino” di Ilaria Graziano

È intitolato “Pe’ te sta’ cchiù vicino” il nuovo estratto dalla colonna sonora del film “Yaya e Lennie – The Walking Liberty” del regista Alessandro Rak. Il brano è stato scritto da Dario Sansone del gruppo rock partenopeo Foja ed è cantato dall’intensa voce di Ilaria Graziano, tra le maggiori interpreti del neo folk italiano.

L’Arte della Felicità è stato il film con cui abbiamo iniziato a collaborare e avendo partecipato anche alla colonna sonora di Gatta Cenerentola considero quest’ultimo lavoro un po’ come una conferma del nostro sodalizio – racconta Ilaria Graziano (nella foto). Anche questo film e la sua colonna sonora sono il risultato dell’umanità vibrante e visionaria dei suoi autori ed è emozionante essere coinvolti nel loro processo creativo. Cantare in Yaya & Lenny mi ha fatto entrare in quel mare blu partenopeo, fatto di musica e storie tessute da persone che amano l’arte e la libertà e hanno la necessità di raccontarla.

Pe’ te sta’ cchiù vicino” è disponibile nell’esclusivo Box cartonato contenente il CD serigrafato con i brani originali del film e tre illustrazioni inedite su cartoncino ad opera di Rak, pubblicato in formato fisico dall’etichetta discografica Full Heads Records. L’opera realizzata da Dario Sansone, Enzo Foniciello (Phonix) e dal regista del film Alessandro Rak, di recente è stata insignita della menzione speciale per il Pulcinella Awards del prestigioso festival dell’animazione cross-mediale Cartoons On The Bay. 

Ilaria Graziano

Ilaria Graziano

 Ad accompagnare la canzone cantata da Ilaria Graziano c’è il videoclip con i disegni del regista, animatore e illustratore napoletano Francesco Filippini. Una serie di immagini che in sequenza sono il prequel del film dove i protagonisti sono dei giovanissimi Yaya e Lennie.
Racconta Filippini:
Le illustrazioni sono state disegnate per i titoli di coda del film Yaya e Lennie  “Vanno a narrare, in pochi momenti, il rapporto pregresso dei due protagonisti fino alla loro nascita. I disegni fanno parte di un immaginario “sketchbook di famiglia” a sostituzione di un album fotografico in un mondo dove non ci sono più le macchine fotografiche.
È sostanzialmente un’investigazione del rapporto di questi due fratelli, probabilmente non di sangue, ma di affetto. Un affetto che si sposa con il testo della canzone “… E me ne vaco luntano pe’ te sta’ cchiù vicino, pe’ nun te tenè sempe azzeccato a me…” che cerca di mettere in risalto il loro rapporto, o meglio la chiave di tutti i rapporti duraturi. Crescere significa trovare la distanza giusta dagli altri per non farsi male.
Oltre la mano mia mano, nelle illustrazioni c’è anche quella di Denise Tedesco, Valentina Galluccio e Francesca De Rogatis.

La pubblicazione della Soundtrack è stata preceduta dal nuovo singolo del gruppo Foja dal titolo “Duje comme nuje”, accompagnato da un video ufficiale con immagini inedite del film.

La colonna sonora del film, pubblicata negli store digitali il 4 novembre, segue il lavoro sonoro svolto da Dario Sansone già per i lungometraggi “L’Arte della Felicità” e “Gatta Cenerentola”. Dopo la release digitale segue una versione fisica in boxset – a tiratura limitata arricchita da tre Illustrazioni inedite di Alessandro Rak formato 26cmX26cm – in formato un CD serigrafato con quattordici tracce che compongono l’avvincente e ricca colonna sonora di una “favola distopica” che ha convinto pubblico e critica. 

Tra gli interpreti della colonna sonora oltre i Foja Ilaria Graziano troviamo il chitarrista Francesco Forni, l’attore e doppiatore Francesco Pannofino, il trombettista Ciro Riccardi e il mandolinista Piero Gallo. Inoltre ci sono due re-interpretazioni della Carmen di Georges Bizet.
Le edizioni musicali e la produzione del master audio sono a cura della Graf srl.

La colonna sonora di Yaya e Lennie presentata in esclusiva a Napoli

Sarà presentato il 19 novembre, con un firma-copie e mini live, presso La Feltrinelli di Napoli (Piazza De Martiri ore 18 ingresso con green pass) e in presenza del regista A. Rak e degli autori D. Sansone ed E. Foniciello (Phonix); il cofanetto deluxe dell’O.S.T. del film d’animazione “Yaya e Lennie – The walking liberty”.

L’Original Soundtrack del terzo lungometraggio animato, prodotto da Mad Entertainment con Rai Cinema e distribuito nelle sale da Nexo Digital, è scritta, composta e prodotta artisticamente dal frontman dei Foja Dario Sansone con il producer Enzo Foniciello (in arte Phonix) e lo stesso regista del film Alessandro Rak.

La pubblicazione è stata preceduta dal nuovo singolo del gruppo Foja dal titolo “Duje comme nuje“, accompagnato da un video ufficiale con immagini inedite del film.

Duje comme nuje dei Foja estratto dal film:

La colonna sonora del film, pubblicata negli store digitali il 4 novembre, segue il lavoro sonoro svolto da Dario Sansone già per i lungometraggi “L’Arte della Felicità” e “Gatta Cenerentola”. Dopo la release digitale segue una versione fisica in boxset – a tiratura limitata arricchita da tre Illustrazioni inedite di Alessandro Rak formato 26cmX26cm – in formato un CD serigrafato con quattordici tracce che compongono l’avvincente e ricca colonna sonora di una “favola distopica” che ha convinto pubblico e critica.

Yaya e Lennie - The Walking liberty

Yaya e Lennie – The Walking liberty

Tra gli interpreti della colonna sonora ci sono i Foja, la cantante Ilaria Graziano, il chitarrista Francesco Forni, l’attore e doppiatore Francesco Pannofino, il trombettista Ciro Riccardi e il mandolinista Piero Gallo più due re-interpretazioni della Carmen di Georges Bizet. Le edizioni musicali e la produzione del master audio sono a cura della Graf srl.

Dichiarano Rak/Sansone/Foniciello:

La colonna sonora di “Yaya e Lennie – The walking liberty”  – è un viaggio in bilico tra sonorità folk e incursioni di musica classica, tra le nostre radici partenopee e le musiche del mondo. Abbiamo tradotto in strumenti musicali e suoni gli elementi naturali ed i personaggi del film: la terra ci parla con cori primordiali e tamburi echeggianti, il vento soffia nei flauti e spinge le note fuori dall’armonica di Yaya, mentre gli archi accompagnano la tensione emotiva della storia e plettri ci raccontano l’animo di Lennie. La musica riemerge dal passato, nel folto di una giungla post-apocalittica, riportando alla memoria l’anima della nostra terra.

L’etichetta discografica Full Heads Records e la società editoriale e di produzione Graf srl, fondate e dirette dal manager Luciano Chirico, iniziano un nuovo percorso produttivo, con una serie di opere discografiche dedicate al mondo delle Soundtrack. La label e la società di edizioni musicali negli ultimi anni hanno scoperto, prodotto e pubblicato artisti del calibro dei Foja, La Maschera, Tommaso Primo, Fede ‘n’ Marlen, Capitan Capitone, Peppe Lanzetta e Anastasio, continuando a scandagliare e far emergere, fino a consolidarla, la nuova scena musicale napoletana rinnovando una tradizione artistica tra le più antiche al mondo.

Strane Coppie: Manuel Puig e Pier Vittorio Tondelli

Saranno Manuel Puig, Pier Vittorio Tondelli, la musica e il cinema i protagonisti dell’incontro “L’altro è un dono” di Strane Coppie, giovedì 28 ottobre alle 18.30 al Monastero delle Trentatré a Napoli (via Armanni,16) e in streaming.

La rassegna di letteratura internazionale ideata e condotta da Antonella Cilento ospiterà, in questa occasione, Vittoria Martinetto, docente universitaria e traduttrice di grandi autori di lingua spagnola, portoghese, inglese e francese per le maggiori casa editrici italiane, e lo scrittore e critico letterario Mario Fortunato, con le letture d’attore di Fabio Cocifoglia e le musiche live di Paolo Coletta.

Le opere del grande scrittore e sceneggiatore argentino Puig (Il bacio della donna ragno) e del nostro Tondelli (Altri libertini) ricche di continui riferimenti al cinema e alla musica, saranno le basi su cui poggerà anche un altro racconto: quello sulla letteratura e la musica, attraversando un lungo periodo dagli anni Trenta ai Cinquanta e i prolifici anni Ottanta, con i relativi fermenti sociali, culturali e politici. Nell’occasione sarà proiettato Work in progress Ciao Libertini! Gli anni Ottanta secondo Pier Vittorio Tondelli (15”) – Outtakes dal film di Stefano Pistolini, produzione Sky Arte.

Strane Coppie: Manuel Puig e Pier Vittorio Tondelli

Strane Coppie: Manuel Puig e Pier Vittorio Tondelli

Anche questo appuntamento di Strane Coppie, in presenza con prenotazione obbligatoria, sarà trasmesso in diretta sulla pagina Facebook di Lalineascritta Laboratori di Scrittura, organizzatrice della rassegna con il sostegno di Banco BPM e la collaborazione di Instituto Cervantes Napoles, libreria Ubik di Napoli, Onlus L’Atrio delle Trentatré, strutture ricettive Chiaja Hotel e B&B Dei Decumani.

Tutti gli incontri della kermesse saranno successivamente editati in LIS Lingua Italiana dei Segni e resi disponibili online.

Strane Coppie proseguirà con altri tre appuntamenti a novembre a dicembre.

Per partecipare in presenza è necessaria prenotazioneinfo@lalineascritta.it

Gli incontri si terranno nel rispetto delle normative anti Covid vigenti.

Date: 14 e 28 ottobre; 11 novembre; 2 e 16 dicembre 2021

Orario: 18.30

Luogo: Monastero delle Trentatré – Sala Maria Lorenza Longo – Via Armanni, 16 – Napoli

Ingresso: gratuito fino ad esaurimento posti consentiti

Appuntamento con il regista di Ariaferma al Movieplex di Avellino

Stasera al Movieplex alle ore 21:00 per il ciclo La voce dell’autore promosso da Zia Lidia Social Club è previsto l’incontro  con il regista Leonardo Di Costanzo autore di Ariaferma.

La pellicola ha esordito alla recente edizione del Festival di Venezia ed è stato acclamato dal pubblico e dalla critica.

Seguirà alla visione del film l’incontro dell’autore con il pubblico.

Ariaferma

Ariaferma

Ariaferma è un film  che parla di uomini, di vite e di esistenze a confronto. Né guardie né ladri ma semplicemente uomini affamati che scelgono per un attimo  e per ragioni non rivelate di rendersi accessibili agli altri. Come ha dichiarato Leonardo Di Costanzo:

Il carcere di Mortana nella realtà non esiste: è un luogo immaginario, costruito dopo aver visitato molte carceri. Quasi ovunque abbiamo trovato grande disponibilità a parlare, a raccontarsi; è capitato che gli incontri coinvolgessero insieme agenti, direzione e qualche detenuto. Allora era facile che si creasse uno strano clima di convivialità, facevano quasi a gara nel raccontare storie. Si rideva anche. Poi, quando il convivio finiva, tutti rientravano nei loro ruoli e gli uomini in divisa, chiavi in mano, riaccompagnavano nelle celle gli altri, i detenuti.

Di fronte a a questo drastico ritorno alla realtà, noi esterni avvertivamo spaesamento. E proprio questo senso di spaesamento ha guidato la realizzazione del film: Ariaferma non racconta le condizioni delle carceri italiane. È forse un film sull’assurdità del carcere.

È prevista una riduzione per i soci dello Zia Lidia Social Club pari a 4 euro sul biglietto d’ingresso.

Qui rido io di Mario Martone: il biopic su Eduardo Scarpetta

Dopo il Sindaco del rione Sanità, Mario Martone ci riconduce nella sua Napoli ma questa volta lo scenario e i personaggi sono diversi. Nella pellicola precedente il regista infatti omaggia e rivisita l’omonima opera teatrale di Eduardo De Filippo, riadattandola ai nostri tempi.

In Qui rido io, Mario Martone, presenta non solo il personaggio di Felice Sciosciammoca ma di Eduardo Scarpetta o meglio di Odoardo Lucio Facisso Vincenzo Scarpetta in persona, con tutti i suoi pregi e con tutti i suoi difetti.

Chi era Eduardo Scarpetta

Eduardo Scarpetta è stato un attore e commediografo che ha creato il teatro dialettale moderno che tra fine ‘800 e inizio ‘900 ha riadattato numerose commedie francesi.

Ha scritto diverse commedie originali tra cui Miseria e nobiltà. Con il suo piglio e la sua originalità è riuscito a mettere in secondo piano la maschera di Pulcinella, inventata nei primi decenni del ‘600 dall’attore Silvio Fiorillo.

Nel 1870 inizia il successo personale con l’interpretazione di Felice Sciosciammocca, personaggio che accompagnava Pulcinella, scritturato da Antonio Petito. Scarpetta era un uomo ambizioso e arrivista che voleva emergere ad ogni costo e ci è riuscito, diventando un capocomico di successo che nato da famiglia modesta arriva a possedere un palazzo in via dei Mille.

Eduardo Scarpetta ha una carriera molto lunga come commediografo che è stata bruscamente interrotta da una causa fattagli da Gabriele D’Annunzio nel 1904.

Nel 1909 deluso e amareggiato si ritira dalle scene, dopo aver partecipato alla parodia La Regina del Mare, composta dal figlio Vincenzo, al quale ha imposto di essere il suo continuatore nel ruolo di Felice Sciosciammocca.

La sua vita privata è stata turbolenta e fedifraga ma rimasta “fedele” all’interno del suo nucleo familiare. Un divoratore di donne, una presenza carismatica e ingombrante per tutti i componenti della famiglia. Un uomo che ha vissuto per il successo perché la sua felicità proveniva esclusivamente da questo.

Sposato con Rosa De Filippo da cui ebbe due figli: Domenico, nato probabilmente da una relazione con re Vittorio Emanuele ma riconosciuto da Scarpetta e Vincenzo. Da una relazione con una maestra di Musica ebbe un’altra figlia: Maria che adottò.

Dalla relazione con Luisa De Filippo, nipote della moglie, ebbe: Annunziata, Eduardo e Giuseppe De Filippo che non ha mai riconosciuto.

Dalla relazione con Anna De Filippo, sorellastra della moglie, ebbe Ernesto, riconosciuto da Vincenzo Murolo, Eduardo e Pasquale.

Il biopic di Eduardo Scarpetta interpretato da Servillo

L’ultimo film del regista partenopeo

Qui rido io: la trama

Qui rido io mostra tutte le sfaccettature che hanno caratterizzato il personaggio e la persona che era Eduardo Scarpetta con tutte le contraddizioni in primis come uomo e padre. Durante la visione del film l’uomo e l’attore non si fondono mai del tutto eppure sono complementari: senza Eduardo Scarpetta probabilmente Felice Sciosciammocca non sarebbe stato ciò che è stato ed ha rappresentato per il teatro e per alcuni dei suoi figli.

Attraverso la minuzia dei dettagli e delle inquadrature che contraddistinguono il cinema di Martone, lo spettatore più attento scopre anche il motivo di quello sguardo malinconico e disincantato di Eduardo De Filippo, un figlio riconosciuto solo sul palco come figlio di Felice Sciosciammocca e mai nella vita reale come gli sarebbe spettato. Quest’ultimo infatti rientra tra i figli di Eduardo Scarpetta che non sono stati riconosciuti ma a cui inevitabilmente l’uomo ha trasmesso qualcosa: l’amore per il teatro e la scrittura che ha permesso a lui e ai suoi fratelli di poter diventare ciò che sono diventati in seguito. Eduardo Scarpetta semina figli extraconiugali tra le amate parenti con una cadenza che sembra quasi certosina perché ciascun bambino, durante gli anni, si darà il cambio per poter interpretare il figlio di Sciosciammocca. Una sorta di promiscuità da braccianti perché ciascuno invece che a coltivare campi sarà costretto a salire sul palco, lavorando per lui.

All’interno di questo scenario controverso vediamo una famiglia allargata in cui ciascuna donna ha scelto il proprio luogo e il proprio ruolo di buon grado. Ciascuna donna riversa la propria frustrazione, causata da questo contesto sentimentale malsano, sui propri figli attraverso una devozione materna, a volte, esasperante. Sono tutte donne imparentate tra loro che hanno in comune figli con l’unico uomo della casa, tutte sanno e tutte fanno finta di niente, facendo sembrare normale una situazione palesemente paradossale perché è più importante non patire la fame e la povertà che patire per amore o per vergogna. Eppure in casa Scarpetta le regole della società vanno rispettate ma esclusivamente quelle dettate da lui e che quindi ritiene giuste.

Qui rido io ci catapulta agli inizi del ‘900 periodo di grande fermento culturale caratterizzato da diverse correnti di pensiero, a volte antitetiche, e da grandi personaggi che hanno inevitabilmente fatto la storia di questa epoca. È un periodo in cui il pubblico si divide e crea consensi differenti non solo sul gusto estetico ma sul contenuto di ciò che viene proposto. L’esempio lampante all’interno del lungometraggio ci viene trasferito dalla differenza del teatro popolare e leggero di Scarpetta contro quello intriso di pathos e tormento decadente di Gabriele D’Annunzio e dal diverso modo di comunicare di entrambi attraverso la valutazione artistica reciproca che ciascuno fa dell’altro.

Da una parte abbiamo Scarpetta che vuole mettere in scena una parodia de La figlia di Iorio, snaturando completamente l’elemento tragico di D’Annunzio e dall’altra vediamo il disappunto e la poca flessibilità del noto poeta decadente che accetta il concetto di avanguardia solo se è lui a dettare le leggi del cambiamento.

Eduardo Scarpetta e Gabriele D’Annunzio sono diametralmente opposti artisticamente, culturalmente e socialmente eppure sono così vicini umanamente: entrambi sono dediti al piacere della carne ma in questo caso i ruoli si invertono. Scarpetta diventa conservatore a suo modo, creando un suo personale concetto di famiglia allargata mentre D’Annunzio diventa uno sfacciato adulatore del vizio e dunque di mentalità avanguardista.

Due personaggi antitetici che hanno in comune il proprio egocentrismo lavorativo, creativo e umano.

Mario Martone con questo lavoro cinematografico ci trasferisce la bellezza di un’epoca teatrale di grande valore e dignità, un periodo di grande fermento artistico e culturale ma soprattutto ci mostra uno spaccato sociale e umano che sembra così lontano dal nostro ma che poi così diverso non è perché è solo una questione di priorità sociali, economiche e culturali del tempo.

Il ballo delle pazze: il film di Mélanie Laurent

Il ballo delle pazze (2021) è un film di Mélanie Laurent ispirato dall’omonimo romanzo di Victoria Mas.

Il lungometraggio mostra la situazione dei manicomi in Francia durante il XIX secolo, periodo in cui la medicina iniziava a muovere i primi passi verso lo studio dei disturbi legati alla pazzia e collegati ad un mal funzionamento neurologico.

Il luogo in cui si svolge la pellicola è la Salpetriere, progettato nel 1656 dall’architetto Liberal Bruant su incarico del re di Francia Luigi XIV, che oggi è un rinomato centro ospedaliero universitario di Parigi.

Il ballo delle pazze: la recensione del film

Il film tratto dall’omonimo romanzo di Victoria Mas

La Salpetriere inizialmente era nata per altri scopi: era più precisamente una prigione, nel tempo si è trasformata in un manicomio in cui venivano rinchiusi coloro che potevano nuocere alla società e alla politica del tempo.

Molte delle persone che vi albergavano non erano realmente affette da disturbi mentali, erano semplicemente esseri umani che vivevano male e mal tolleravano i costumi del tempo e i codici comportali da seguire per “il quieto vivere” sia privato che pubblico.

Non era difficile trovare all’interno di questa struttura donne che volevano vivere più liberamente la propria vita non sposandosi o non potendo godere della stessa parità e dignità sociale al pari di un qualsiasi uomo, che decideva di intraprendere lo stesso percorso. Tali desideri, al tempo, venivano considerati folli.

Una malattia spesso diagnosticata, a quel tempo, era la malinconia, una follia senza febbre o furore, accompagnata da timore e da tristezza. Su questo periodo storico, sul concetto di follia, di malinconia e sul ruolo sociale e politico della Salpetriere ne ha parlato in modo dettagliato Michel Foucault, noto filosofo e storico della filosofia, nel suo libro Storia della follia nell’età classica (1961).

Ecco come descriveva il filosofo questo disturbo mentale nel suo libro:

Le cause evidenti della malinconia sono tutto ciò che fissa, esaurisce e turba gli spiriti; grandi e improvvise paure, violente emozioni dell’anima causate da trasporti di gioia o da violente emozioni dell’anima causate da trasporti di gioia o da vive impressioni, lunghe e profonde meditazioni su uno stesso oggetto, un amore violento, le veglie, e ogni veemente esercizio dello spirito, soprattutto se impegnato di notte; la solitudine, il timore, l’isterismo, tutto ciò che impedisce la formazione, la rigenerazione, la circolazione, le diverse secrezioni ed escrezioni del sangue, particolarmente nella milza, nel pancreas, nell’epiploo, nello stomaco, nel mesenterio, negli intestini, nelle mammelle, nel fegato, nell’utero, nei vasi emorroidali; per conseguenza, il male ipocondriaco, certe malattie acute mal guarite, soprattutto la frenesia, tutte le medicazioni o le escrezioni troppo abbondanti o soppresse, e quindi il sudore, il latte, le mestruazioni, i lochi, il ptialismo e la rogna.

In breve la malinconia era ovunque.

Il ballo delle pazze di Mélanie Laurent

Il lungometraggio che affronta la tematica dei manicomi nel XIX secolo

Il ballo delle pazze di Mélanie Laurent: trama del film

Protagonista della pellicola è Eugénie (Lou de Laâge), una giovane donna borghese, radiosa, piena di vita e di curiosità verso il mondo.

Sin da piccola scopre di avere una connessione speciale con il mondo metafisico: sente e vede gli spiriti dei defunti. Eugénie riesce a tenere nascosto il segreto fin quando una sera mentre sta spazzolando i capelli alla nonna, come è solita fare tutti i giorni, all’improvviso entra in trance e con sguardo assente inizia ad aprire dei cassetti, trovando un antico monile di famiglia.

Il gioiello era della nonna, che credeva di averlo perso da oltre quarant’anni, era un pegno d’amore che il marito le aveva regalato in gioventù. Quando la donna chiede alla nipote come avesse fatto a trovarlo, Eugénie risponde che gli ho la detto il nonno, morto da ormai tanti anni.

Da qui la decisione del padre di rinchiuderla a la Salpetriere soprattutto a fronte di richieste passate della figlia, che voleva frequentare caffè letterari e uscire da sola per la città. Atteggiamenti poco convenevoli per la società del tempo e che avrebbero potuto pregiudicare il buon nome dell’intera famiglia.

All’interno di questo manicomio la giovane entra in contatto con molte donne che come lei, che di insano hanno ben poco e inizia a rendersi conto che molte degenerazioni mentali sono causate stesso dalle “cure” che i medici assegnano. Molte donne recluse diventano delle cavie che vengono mostrate dai medici solo per alimentare un lustro accademico, come fossero animali da circo.

Questo messaggio è reso più chiaro durante il ballo che, una volta all’anno, si organizza alla Salpetriere in cui sani e folli si mascherano e si uniscono, confondendosi. Un’immagine che rende chiaro il confine labile, sottile e a volte impercepibile che intercorre tra normalità e pazzia.

Per scoprire il resto non vi resta che guardare Il ballo della pazze di Mélanie Laurent su Amazon Prime Video.

Trianon Viviani La “Disarmante speranza” della piccola Amal da piazza Calenda

Mercoledì 8 settembre prossimo, alle 18, partirà dal teatro Trianon Viviani, in piazza Vincenzo Calenda, la tappa partenopea del tour italiano della piccola Amal, la bambina-marionetta siriana di nove anni, senza madre e in fuga dalla guerra.
Amal, che significa “speranza” in arabo, è una marionetta alta tre metri e mezzo, che sta girando l’Europa con il progetto the Walk, “il Cammino”, un festival internazionale itinerante di arte e speranza a sostegno dei rifugiati.

Il teatro Trianon Viviani accoglie Amal con la performance Disarmante speranza, ideata e diretta dal premio Ubu Davide Iodice, con il prologo originale scritto da Valeria Parrella, realizzata nell’àmbito del Teatro delle Persone, il progetto speciale di arte e inclusione sociale curato dallo stesso regista.
Collaborano alla realizzazione Accademia delle Belle arti di Napoli, l’Altra Napoli, Amici di Carlo Fulvio Velardi, Cornelia, associazione Annalisa Durante,
Film commission Regione Campania, Puteca Celidonia e la ScalzaBanda.

Spiega Davide Iodice:

Il teatro Trianon Viviani  accoglie la piccola, grande Amal, nel suo cammino, stringendo con il progetto the Walk, un patto di resistenza poetica a difesa del diritto alla felicità e al futuro di tutte le bambine e di tutti i bambini.
Forcella è un quartiere complesso, dove bene e male stanno, come i rami della “Y” del suo stemma murario, in un rapporto di contiguità in cui scegliere è cosa complessa e la colpa un concetto astratto.

Qui si può morire poco più che bambini come Annalisa, giovanissimi come Maikol, proprio davanti al nostro teatro; qui si può cadere come vittime innocenti o spezzarsi la vita troppo presto come Emanuele e tanti altri, per la svolta sbagliata a quella forcella, a quel bivio dell’esistenza.

Interpretando Amal come un innesco magico per una ritualità sociale dei territori, con il contributo gioioso di diverse realtà artistiche e l’energia della ScalzaBanda e di una vitalissima “armata” di bambini e ragazzi, lanceremo insieme ad Amal una dichiarazione di guerra a tutte le guerre: tutti insieme, con un gesto liberatorio, distruggeremo, risignificandola, una grande scultura raffigurante un’arma, creata dai giovani talenti dell’Accademia di Belle arti. La scultura rimarrà come opera permanente nella piazza antistante il teatro, perché non sia equivocabile la posizione che la società civile deve assumere, per garantire a Napoli, come nel mondo, un futuro pieno di vita e non di morte alle giovani generazioni. Noi questo futuro lo promettiamo, con la forza infantile di una disarmante speranza.

The Walk Amal

The Walk Amal

La marionetta è realizzata in canna modellata e fibra di carbonio ed è manovrata da quattro persone (una per ciascun braccio, una terza per sostenere la schiena e una quarta all’interno, sui trampoli, che controlla anche l’arpa, il complesso di corde che anima il viso, la testa e gli occhi).
In questo viaggio simbolico in fuga dalla guerra, Amal si è messa alla ricerca della mamma il 27 luglio scorso da Gaziantep, al confine turco-siriano. Nel suo cammino, che si concluderà a Manchester, in Inghilterra, percorrerà oltre 8.000 km toccando 65 città.

The Walk Amal

The Walk Amal

Amal è stata creata dalla Handspring puppet company, la compagnia sudafricana di teatro di figura che partecipò a War horse, il film di Steven Spielberg. Nella squadra che anima Amal ci sono anche persone che hanno un passato da rifugiati.
In Italia il festival è itinerante tra dodici città ed è prodotto da Roberto Roberto e Ludovica Tinghi.

The Walk è prodotto da Stephen Daldry, regista del film Billy Elliot, la produttrice cinematografica Tracey Seaward, il regista teatrale David Lan e dal Good chance theatre, con la direzione artistica di Amir Nizar Zuabi.

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