Cultura

Simone Vignola, il musicista avellinese, alle selezioni di The Voice of Italy

Ieri sera, in occasione delle selezioni per la nuova edizione di The Voice of Italy, il talent show di Rai 2, abbiamo potuto godere di un’esibizione davvero esemplare, di cui potremmo dichiararci fieri.

L’artista avellinese Simone Vignola, musicista, autore e compositore, nonché bassista virtuoso, producer e cantante, ha fatto il suo ingresso in studio e ha sfoggiato la veste migliore di sé stesso, mostrando l’incredibile destrezza nell’utilizzo della Loop Station.

La Loop Station è una tecnica digitale sofisticata, azionata mediante una pedaliera, che permette ai suoni, prodotti nel momento stesso della performance, di riprodursi ripetutamente, potendo così creare nel medesimo istante una vera e propria orchestrazione per un brano che si sta per eseguire. E in tutto ciò, chi produce  i suoni che poi registra nello stesso momento, resta da solo nello stage, ma orienta la propria produzione verso un’esecuzione che pare sia fatta da un’intera squadra di musicisti.

Quello che ha dimostrato Simone Vignola, ieri sera, non è soltanto capire quanto oggi la volontà di un utilizzo di qualcosa di eccezionale possa davvero portare lontano, ma quanto sia essenziale che si dia spettacolo e ci si possa mettere in mostra, seppur in maniera del tutto rispettosa e umile, attraverso un canale importante come quello dei talent, quindi televisivo, e farlo in maniera del tutto originale.

Tralasciando un attimo solo le luci abbaglianti e gli applausi che hanno sottolineato lo spettacolo di pochi ma esaltanti minuti di performance ricca di maestria, è doveroso ricordare quanto la tecnica della Loop Station abbia portato lontano il nostro Simone Vignola, riconosciuto come uno dei migliori bassisti al mondo.

simonevignola

Simone Vignola

Simone Vignola: carriera artistica

Vincitore, ad appena ventun anni dell’Euro Bass Day 2008, ha iniziato la sua carriera solista nel migliore dei modi, non soltanto guadagnandosi giovanissimo la fiducia di un pubblico esperto, ma anche internazionale, soprattutto quando nel 2010 il talentuoso artista avellinese ha esposto al conservatorio di Amsterdam la sua tecnica di The Art of Looping, tenendo una lezione nell’ambito del contesto olandese AmsterBass; o come quando l’anno dopo ha vinto il BOSS Loop Contest Italia, che gli ha permesso di volare fino a Los Angeles per il BOSS Loop Station Championship 2010, e farsi conoscere oltreoceano.

Per non parlare di un basso “signature” prodotto dall’azienda M2 Guitar, e delle esibizioni con cui ha diviso il palco con Caparezza, Jutty Ranx o coi famosissimi Level 42, senza poi contare della stampa in Giappone di un suo disco, e l’ottimo responso ogni volta che produce un suo album.

Sì, perché Simone Vignola, oltre a saper suonare in maniera impeccabile, è uno di quelli che i dischi se li suona dall’inizio alla fine, destreggiandosi con tutti gli strumenti, coi campionamenti, batteria e drum machine, con la voce, coi cori, con il missaggio e il mastering finali.

Il cantante avellinese

Simone Vignola

Simone Vignola: l’esibizione al contest The Voice of Italy

Ieri sera, durante il contest The Voice of Italy di Rai 2, ha coraggiosamente messo da parte le sue produzioni e si è esibito con Roxanne dei Police, non tradendo la sua sfrenata passione per Sting.

E la tecnica Loop, di cui è di sicuro uno dei più esperti al mondo, ha dato un’impronta di originalità e abilità esemplari, e il pubblico ne ha saputo riconoscere il talento; Morgan ha colto fin da subito il lavoro di precisione incredibile che si è svolto nella preparazione all’esibizione e ha quasi rimpianto di aver completato la sua squadra, complimentandosi con Simone Vignola; Gigi D’Alessio, altro coach più “preparato” della giuria, ha altresì elogiato la sua tecnica. Peccato che Gué Pequeno, l’unico che avrebbe potuto portarlo in squadra, avendo ancora un posto libero, non abbia preso la decisione più giusta, nonostante i suggerimenti di Elettra Lamborghini e amici.

Ogni beat, intanto, è stato accolto come una dimostrazione di speranza verso chi come lui dovrebbe quasi pretendere il diritto di essere ammirato oggi, in un mondo artistico-musicale fatto di fandonie e finte decorazioni, dove si sta perdendo il dono di poter esprimere un qualcosa in cui l’arte resta una disciplina seria, e non uno sfoggio di povere soluzioni pompate solo dall’advertisement commerciale.

Esattamente come Neffa, Ghemon o Clementino, la musica di Simone Vignola nasce dall’entusiasmo frenato dalle incombenze di una realtà cittadina non troppo aperta, e questa particolare pressione crea ancor più motivazione nello svolgere bene le proprie capacità, e la soluzione ad un’originalità che oggi stenta a decollare sta proprio in questo: rompere le barriere sospettose di chi non crede e fiondarsi a tutto spiano nella realizzazione di sogni possibili, e solo apparentemente impossibili.

Carmine Maffei

Luca Elettri ci racconta dei suoi vini naturali: l’intervista

Insolente Vini è un progetto familiare di Luca Elettri e dei suoi tre figli: Francesca, Andrea e Martina. La loro azienda nasce dalla passione per il mondo dei vini naturali e dalla voglia di ridare vita agli antichi vigneti familiari (parliamo di vigne di oltre 45 anni), situati sulle colline di Monteforte d’Alpone (VR) zona del Soave Classico.

La passione per i vini nasce dall’amore verso il territorio e la natura, da ciò ne consegue la scelta di praticare i principi della biodinamica in vigna, che rappresentano il modo più naturale per interpretare la loro filosofia di vita.

Luca Elettri: vini

Vini naturali di Luca Elettri

I vini Insolente sono semplici, diretti e di pronta beva, esulano dai classici vini che siamo abituati a bere e che non sono altro che il prodotto di un lavoro intensivo unito al ricorso della chimica, che offre come risultato bevande alcoliche uguali in ogni annata esprimendo una personalità artificiosa del terroir.

Appuntamento alla Dogana dei Grani di Atripalda con Ciak Irpinia 2019

Ciak Irpinia, evento di settore organizzato dal Consorzio di Tutela Vini d’Irpinia, arriva alla sua terza edizione. Prendiamo in prestito le parole di Stefano Di Marzo, presidente del Consorzio:
In pochi anni Ciak Irpinia è diventato un punto di riferimento per operatori e appassionati di vino. Non possiamo che essere soddisfatti della risposta convinta ed entusiasta del territorio che conferma la volontà condivisa di operare in filiera. Un obiettivo perseguito sempre con grande attenzione e passione dal nostro Consorzio per l’Irpinia.
L’evento, oltre che agli esperti di settore e alla stampa, è aperto anche agli appassionati di vino e a chi vuole conoscere l’Irpinia attraverso la sua ampia offerta di vini presenti sul territorio: Fiano di Avellino DOCG, Greco di Tufo DOCG, Taurasi DOCG, Irpinia Aglianico, Irpinia Coda di Volpe e Irpinia Falanghina.
Ciak Irpinia: video

Ciak Irpinia 2019

L’appuntamento è fissato per sabato 18 maggio presso la Dogana dei Grani di Atripalda dove i visitatori potranno degustare vini e conoscere gli oltre 60 produttori dell’Irpinia. Ciak Irpinia nasce con l’obiettivo di approfondire, vendemmia dopo vendemmia, il cambiamento dei vini sul territorio, approfondendo l’area vitivinicola irpina e offrire ai produttori della zona un’occasione per dare visibilità ai propri prodotti e creare una rete di comunicazione nazionale ed internazionale.
Il vino custodisce la memoria degli uomini: non è forse il custode principale, ma sicuramente uno dei più particolari.

Jonathan Nossiter

Irpinia: vigneti

Vigneti irpini

Ciak Irpinia 2019: il programma

Ciak Irpinia apre le sue porte alla stampa con una sessione di approfondimento e di degustazioni a cura della Commissione Tecnica Territoriale dalle ore 13:30 fino alle 14:15. L’evento prosegue con Vintage Rating, un dibattito tra tecnici, giornalisti e produttori, dalle ore 14:15 fino alle 15:00. Ciak Irpinia continua con WalkaroundTasting, apertura dei banchi d’assaggio dedicato alla stampa dalle ore 15:00 fino alle 16:30. L’ultimo appuntamento della kermesse inizia alle 16:30 fino alle 20:30 con l’apertura dei banchi d’assaggio per gli appassionati del settore.

Le parole sono importanti, utilizziamole bene

Occorrerebbe una sana e radicale presa di posizione di fronte all’ormai dilagante abitudine di far propri alcuni termini rendendoli diversi da quello che dovrebbero significare.

Perché, ad esempio, il buonismo è diventato un termine dispregiativo, in uso comune ad una parte politica che ha fatto tesoro di questa attitudine, rendendo ugualmente lontana dal suo significato anche la parola “sovranismo”?

Sovranità: significato

Sovranità

Attaccando questa accezione, concettualmente semplice e che dovrebbe essere connaturata al concetto stesso di Stato, alla ideologia dell’affermazione della Nazione come autonoma, autarchica e staccata dalle decisioni sovranazionali, dall’apparato di politiche economiche e sociali che, nel bene o nel male (e qui non siamo di fronte ad un discorso economico, ma ideologico) reggono la comunità degli Stati.

Chi va contro questa realtà, idealizzando il concetto dello Stato autoritario e che mostra i muscoli più di altre nazioni, rema in direzione contraria alla storia.

Oggi non è più pensabile una Italia che viaggi a schiena dritta per la sua strada, senza tenere conto del fatto che si muove in una comunità di Stati che interagiscono e dialogano, che si coordinano sulle questioni più rilevanti di politica internazionale.

Per i sovranisti tutto questo è un male. Dimenticandosi che sovranità non si esprime con atti di forza e tenendo il timone a barra dritta, senza rendersi conto di andare a sbattere contro uno scoglio.

La sovranità andrebbe espressa con una politica economica e sociale efficace, la sovranità dovrebbe consentire alla nazione di crescere anche nella comunità internazionale, perché non è sbattendo la porta che si acquisisce prestigio.

La teoria del padre padrone è tramontata da anni.

Il sovranismo vuole che si alzi la voce blaterando solo nel salotto di casa propria, quando sarebbe il caso di dialogare ad una platea internazionale che recepisca e rispetti la forza dello Stato, la sua sovranità, appunto. E non si dimentichi che la sovranità, in Italia, appartiene al popolo, come recita l’articolo 1 della Costituzione.

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Dunque chiudere le porte al dialogo significa tappare la bocca proprio al popolo sovrano.

Ecco: sarebbe il caso di cominciare a parlare di un sovranismo diverso, nella sua accezione più reale e più pura.

Il sovranismo lo si lasci alla storia e alla filosofia politica. Chi non comprende questo, parli magari di “sovranesimo”, come di una nuova religione da abbracciare, scegliere e predicare.

La Fermata porta in scena il Don Chisciotte e l’Irpinia: l’intervista

La compagnia teatrale La Fermata rivisita il Don Chisciotte, romanzo di Miguel de Cervantes (1605), facendolo diventare una rappresentazione teatrale che ha rimandi all’epoca attuale e all’Irpinia.

La prima del Don Chisciotte si terrà l’11 maggio presso l’Auditorium comunale di Ariano Irpino alle 19:30.

La Fermata si esibisce con il Don Chisciotte

Locandina Don Chisciotte de La Fermata

Don Chisciotte: cosa vuole dirci

Il personaggio di Don Chisciotte e di Sancho Panza rappresentano l’emblema dell’esistenza che, spesso, ci coglie ancora oggi di sopresa.

L’essere umano infatti, indipendemente dall’epoca in cui vive, si trova spesso nel doversi districare nella dura accettazione che le aspettative e la realtà, nella maggior parte dei casi, viaggiano come due parallele, ciascuna ubicata in uno spazio proprio, indipendente l’una dal mondo dell’altro.

Il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes mostra il confine labile che si ha tra mondo reale e mondo fantastico e come la realtà può essere percepita in modo diverso perchè ciascuno, se travolto dalla fantasia o dalla follia consapevole, vede e interpreta secondo ciò che meglio crede.

Compagnia teatrale La Fermata: intervista

Compagnia teatrale La Fermata

Vesti un legno, pare un regno.

Bowienext: il docufilm e il libro sul Duca Bianco

Bowienext è un docufilm di Rita Rocca, giornalista RAI, che nasce come un progetto indipendente volto a differenziarsi dagli altri progetti nati dopo la morte di David Bowie.

Il docufilm, già per il solo fatto di avere come protagonista il Duca Bianco rappresenta una sfida, proprio perché dopo la sua morte si è speculato abbondamente sulla sua figura.

La regista di Bowienext

Rita Rocca

Rita Rocca non ha pensato e realizzato questo lavoro solo con lo sguardo da giornalista ma lo ha fatto anche con gli occhi di chi ama David Bowie e questo connubio ha dato vita ad un progetto diverso dagli altri perché tocca il cuore anche di chi non è appassionato di Ziggy (altro pseudonimo o alter ego utilizzato per chiamare la pop star).

La regista si è servita del web per chiedere ai fan di mandare dei contributi video su David Bowie e pian piano Bowienext si è arricchito così tanto di contenuti da diventare anche un libro firmato dalla regista e da Francesco Donadio, noto critico musicale.

Bowienext: video

Ritratto animato di David Bowie

Bowienext è un modo diverso di conoscere e approcciarsi a David Bowie perché non lo si guarda con gli occhi della star ma con quelli delle persone che hanno avuto modo di conoscerlo direttamente o di lavorarci insieme o, ancora, con gli occhi di chi ha subìto il fascino magnetico di questo personaggio controverso.

Per usare le stesse parole della regista presenti all’interno del libro:

Non era mai successo in quarant’anni che seguivo la sua musica. Da quella prima volta che il Duca mi apparve nel 1977 alla televisione italiana, così distante e irrangiungibile per me, non avevo osato mai nemmeno sognarlo. Eppure, ora che la sua presenza su questa terra era finita, David diventava per me improvvisamente umano, tanto da poterci parlare, ridere, scherzare. Tanto da poterlo toccare.

Wine Business ancora pochi giorni a disposizione per iscriversi

Wine Business  è un corso di perfezionamento universitario e di aggiornamento culturale organizzato dall’Università degli studi di Salerno che ha come scopo quello di formare figure professionali esperte in economia, amministrazione, management, marketing e comunicazione delle iniziative imprenditoriali nel settore vitivinicolo.

Wine Business inizierà presso il campus di Fisciano il 7 giugno, i giorni per iscriversi ormai sono agli scoccioli: la scadenza è prevista il 17 maggio.

Wine Business: corso

Wine Business

Wine Business: come si svolge il corso

Wine Business ha una durata complessiva di 100 ore che si sviluppa in 20 lezioni, ciscuna della durata complessiva di 5 ore.

Ogni lezione vedrà la partecipazione di un docente o un’azienda vitivinicola che illustrerà la propria esperienza lavorativa ed il proprio modus operandi.

Ad affiacare ciascuna di queste figure ci sarà un degustatore o un assaggiatore o un sommelier con lo scopo di guidare i corsisti ed illustrare i percorsi e le degustazioni di abbinamento cibo-vino.

La quota d’iscrizione al corso è di 600,00 euro.

Per informazioni ed iscrizioni è possibile contattare:

www.winebusiness@unisa.it

www.winebusiness.unisa.it

www.facebook.com/winebusiness

L’AXRT Contemporary Gallery insieme a Zigarte invitano i bambini a fare arte

L’AXRT Contemporary Art e l’associazione culturale Zigarte hanno organizzato dei laboratori per bambini per avvicinarli al mondo di Andy Warhol e alla Pop Art.

Zigarte: intervista

Zigarte incontra i bambini

L’atelier Andy Superstar, ideato e diretto da Marianna Calabrese, esperta nella gestione dei beni e delle attività culturali e presidente di Zigarte, vuole incoraggiare l’avvicinamento dei bambini all’universo Arte.

In accordo con chi sostiene che si dovrebbe “educare alla bellezza” (in senso artistico) fin dalla tenera età poiché in quegli anni si è particolarmente sensibili a tutto ciò che è bello, andrebbe sostenuto un cambiamento di atteggiamento degli adulti verso i più piccoli, volto a favorire gli strumenti che alimentano la creatività (libertà, sogni e speranze) rispetto a quelli che la demoliscono (divieti e proibizioni).

Michelangelo Belviso: intervista

Michelangelo Belviso interpreta Andy Warhol

I bambini, inoltre, quando coinvolti in attività considerate per “grandi” ci stupiscono sempre nel mostrare curiosità per la scoperta, nonché capacità di adattamento verso situazioni ritenute difficoltose alla loro età.

La Fermata festeggia il suo primo compleanno portando in scena il Don Chisciotte

La Fermata festeggia il suo primo anno portando in scena il Don Chisciotte al Cine-Teatro_Auditorium comunale di Ariano.

La Fermata si esibisce con il Don Chisciotte

Locandina Don Chisciotte de La Fermata

Ho letto tante storie di cavalieri erranti, di imprese e di vittorie dei giusti sui prepotenti per starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanza come un vigliacco ozioso, sordo ad ogni sofferenza. Nel mondo domina l’ingiustizia, ma di eroici cavalieri neanche l’ombra; proprio per questo, Sancho mio, c’è bisogno d’un sogno matto e un po’ di poesia.

Le foto utilizzate per la realizzazione del video sono di Pellegrino Tarantino.

Formidabili quegli anni di Roberto Vecchioni è un messaggio di rivolta pacifista

Formidabili quegli anni è il nuovo singolo di Roberto Vecchioni, è la conferma di un artista che ama parlare ad un pubblico giovane, sia come docente che come scrittore e musicista.

Il brano diffuso in radio lo scorso 3 maggio insieme al lancio del video diretto da Raffaello Fusaro e prodotto da Danilo Mancuso per Dme è già presente nell’album L’Infinito, uscito lo scorso novembre, diventato Disco d’Oro ma che ha avuto la particolare propensione al rifiuto di piattaforme digitali (rarissimo al giorno d’oggi).

Già sapere che questa particolare forma di protesta mediatica (o non mediatica) abbia ottenuto dei riscontri positivi sugli ascolti, che intanto sono arrivati ed hanno premiato, significa che in giro esiste ancora una fetta soddisfacente di cultori – musicali e non- che continua ad apprezzare forme di diffusione oggi definite desuete ed antiquate.

Roberto Vecchioni spiega a Repubblica, giustificandosi quasi e rivolgendosi nell’umiltà che ha fatto grandi i miti del passato, che il brano è uno “scippo” a Mario Capanna, uno dei principali protagonisti della rivolta studentesca del ’68, ma che non è qualcosa di nostalgico.

La politicizzazione del '68

foto d’epoca del ’68

Il videoclip, su cui ci soffermeremo insieme al testo emozionante, intanto si apre con le immagini di contestazione proletaria e studentesca dell’epoca, situazioni che oggi sembrerebbero distopiche e quasi sfiancanti al solo pensiero, abituati come siamo a colpi di click o di like e unlike su social traboccanti di tutto, e forse di nulla.

Ma qui non si tratta di leggere o ascoltare o vedere qualcosa che viene spazzata via in un millisecondo dal prossimo post, perché ciò che abbiamo davanti possa insegnare ( e su questa qualità ci ritorneremo) a chi si sofferma che è importante, attraverso la forma d’arte che si definisce canzone (in francese chanson è quanto di più bello ed antico, quindi prezioso, il motivo in cui si possano abbinare musica e poesia) che la cultura spesso viene meglio recepita nelle forme di rarissima semplicità, dove più debole sarà il contesto didattico e più forte avverrà l’infatuazione alla materia.

Le immagini (e si sa che video killed the radio star) del video si alternano tra quelle che inquadrano una scena ricostruita di quei giorni e quelle di un Roberto Vecchioni docente universitario (l’Ateneo e la biblioteca sono quelli di Pavia) mentre parla, ed in realtà canta agli studenti le gesta di un mondo ideologico che oggi non ci può appartenere, perché per quanto volessimo distanziarci, la politica è tutto ciò che ci circonda, in ogniddove, in quanto dal greco pòlis, ossia la città intesa come Stato e come indicazione di tutte le attività sociali.

E non importa se nella realtà dei fatti oggi chi parla o interviene a proposito del ’68 sia un nostalgico o un antiquato, perché, come dice il cantautore nel suo testo (mentre nel video addita i suoi ascoltatori) e la libertà che avete /  mica c’erano a quei tempi / noi ci siamo fatti il culo / tocca a voi mostrare i denti, e ciò non significa “vedi quanto sono stato bravo”, ma al contrario esalta la capacità di una mente giovane in un mondo ancora coadiuvato da una classe tramontata e forse sbagliata –anche ideatrice del ’68- , e allo stesso tempo sono proprio i protagonisti di quel periodo a scuoterli, a smuoverli a dare un cenno di assenso.

E poi ancora: formidabili quegli anni / incredibile sognare che non dormi / in un fiume straripante di parole / ammassati nelle aule delle scuole.

La condivisione, dunque, e non quella mediatica / social a cui siamo abituati oggi e poi ce ne sbarazziamo appena ne arriva un’altra, ma dove il raggruppamento, dove le assemblee, dove i naturali scontri verbali e le incomprensioni sono la linfa di un’interazione del tutto normale, un qualcosa che ha dato vita alle comunità , alle città, agli stati, con tutti i loro problemi, ma con tutte le loro fazioni ricche di opportunità sociali, dove la ricerca di una soluzione professionale forma l’uomo e indirizza al rispetto del prossimo.

68: foto d'epoca

Manifestazioni del ’68

Quanto siamo cresciuti cinquant’anni fa e rispetto ad essi?

La reazione ad una forma di autoritarismo troppo incombente, che strideva con la rosa colorata della gioventù dell’epoca, quest’ultima progredita moltissimo demograficamente, in quanto figlia del boom economico post bellico degli anni ’50, che avrebbe creato però, ahinoi, ancora più distanza tra chi deteneva il potere e la sudditanza, la realtà operaia, quest’ultima a stretto contatto con la povertà.

A differenza di oggi, dove una crisi che dura da più di un decennio ha ridotto le nascite, ha allargato nuovamente e di gran lunga il divario tra le classi sociali, e dove la speranza è rivolta anche all’integrazione e all’accettazione di chi si è spostato dal proprio Paese e ha scelto l’Italia, perché il futuro sta nelle nuove generazioni, e non importa quale siano la provenienza ed il colore.

E se passi un solo giorno / senza farti una domanda / senza un grido di stupore / l’hai mandata al Creatore; una frase, una proposta al pensiero filosofico che ha spinto intere giovani generazioni al confronto con sé stessi e poi con i propri padri, così il grande giurista e poi romanziere postumo Salvatore  Satta, proprio nel marzo del ’68 rispose così ad un’intervista di Panorama: “Hegel diceva che sono i figli che fanno i padri. Finché non si riconosce questo è inutile parlare di dialogo, di scambio di idee”.

Sì, perché noi non siamo della razza / di chi frigna e si dispera / come zombie di un passato / che sembrava primavera ma ci accorgiamo, affranti, che la sorpresa di una meraviglia oggi non ci scomoda più mentre allora, rispetto ad oggi ci sembrano quasi formidabili, quegli anni, formidabili quei sogni nei miei sogni / la malinconia bevuta agli occhi insonni / formidabili quei giorni nei miei giorni, e chi ci sta tenendo una simbolica lezione su quanto sia stato determinante quel periodo è perché ancora oggi esistono risultati che hanno scatenato una sensibilizzazione alla cultura, dove si combattevano l’ozio ed il sonno per correre al cinema ed arricchirsi con film come 2001: Odissea nello Spazio e Il laureato, o magari per tuffarsi tra le pagine de Il lamento di Portnoy, o per aggregarsi, semplicemente, parlando delle proprie esperienze, dell’arte intesa come pensiero politico.

Aggregazioni che hanno dato vita alla combattiva ossessione di scrittori come Paul Auster , Ian Mc Ewan e Stephen King, ma anche alla formazione di registi come Nanni Moretti e Carlo Verdone, oltre che a personalità influenti nel mondo del giornalismo come Paolo Flores D’Arcais e Paolo Mieli; alle architetture di Renzo Piano che distrussero gli stereotipi, come il Beaubourg.

E si pensino anche agli scontri con Pier Paolo Pasolini, che con un film come Porcile sottolineava la distanza tra padri e figli, e che con la poesia Il PCI ai giovani s’inimicò gli studenti di Sinistra; si provi solo ad immaginare Alberto Moravia, un pilastro della letteratura mentre, ne L’espresso, veniva dato in pasto a ragazzi universitari protagonisti della contestazione, dove una nuova idea di movimento marxista-leninista prendeva forma e poneva differenza con una Sinistra “destrorsa”.

Per non parlare di una re-definizione di gruppi pop rock come Street fighting man dei Rolling Stones e Revolution dei Beatles, oppure della nascita del concept Storia di un impiegato di De Andrè o La Locomotiva di Guccini.

La Locomotiva di Francesco Guccini: il video

Non mi passi per la testa / che si celebri il terrore / noi siam quelli della festa / con il vino ed altre sole fa venire in mente lo studio di Enrico Deaglio, anch’egli ex studente contestatore,  direttore di Lotta Continua tra il 1977 ed il 1982, che nel suo libro Patria 67 – 77 ha analizzato il decennio che ha cambiato la storia moderna italiana, dove si pongono le differenze tra movimenti studenteschi ed operai in confronto agli anni di piombo che ne seguirono ma che si legarono a tutt’altra concezione ed azione politica, volta al terrore, agli omicidi, agli attentati. Tutt’altra cosa.

Insomma, “noi siamo quelli della festa dell’Unità”, sembra voglia dirci, e diciamolo pure, senza nascondere le varie ideologie intese nello stesso partito, che un movimento socialista come quello di quegli anni forse non si vedeva dai tempi dell’Unità d’Italia.

All’amore di ragazze travolgenti / cavalieri sopra nuvole incoscienti, quindi le azioni femministe, la libertà sessuale intesa dal lato delle donne, la liberazione di una società patriarcale, le unioni delle ragazze con i ragazzi sotto un’unica bandiera, mano nella mano a sorreggersi sia nella lotta che negli affetti.

Da qualche parte si è letto che ai tempi della Comune, a Parigi, si sparava agli orologi, come azione simbolica a fermare il tempo e a lasciare che quella gioia di comunione condivisa durasse incosciamente per sempre, così come in questo brano Vecchioni pare voglia fermare la folle corsa di questi tempi affinché ci potessimo obbligare a delle soste, segnarle come pietre miliari, e consegnarle alla Storia come esempio benefico di aggregazione, rivolta ai posteri come un valido esempio di noi stessi: la malinconia passata agli occhi svegli / gli orologi segnan l’ora che son fermi.

Carmine Maffei

Scroll to top