Cultura

Ci vuole orecchio è un viaggio nel mondo musicale di Enzo Jannacci

Venerdi 2 dicembre, e in replica sabato 3 e domenica 4 dicembre va in scena “Ci vuole orecchio”, un viaggio nel mondo musicale del cantante-chirurgo milanese Enzo Jannacci.
Protagonista un altro milanese doc Elio (voce della storica band Elio e Le Storie Tese) che canta e recita il “poetastro”, come amava definirsi.
Con la regia, e drammaturgia, di Giorgio Gallione e gli arrangiamenti musicali di Paolo Silvestri, in scena ad accompagnare Elio troviamo: Alberto Tafuri al pianoforte, Martino Malacrida alla batteria, Pietro Martinelli al basso e contrabbasso, Sophia Tomelleri al sassofono e Giulio Tullio al trombone.
Enzo Jannacci, il poetastro come amava definirsi, è stato il cantautore più eccentrico e personale della storia della canzone italiana, in grado di intrecciare temi e stili apparentemente inconciliabili: allegria e tristezza, tragedia e farsa, gioia e malinconia. E ogni volta il suo sguardo, poetico e bizzarro, è riuscito a spiazzare, a stupire: popolare e anticonformista contemporaneamente.
Enzo Jannacci è anche l’artista che meglio di chiunque altro ha saputo raccontare la Milano delle periferie degli anni ‘60 e ‘70, trasfigurandola in una sorta di teatro dell’assurdo realissimo e toccante, dove agiscono miriadi di personaggi picareschi e borderline, ai confini del surreale.
“Roba minima”, diceva Jannacci: barboni, tossici, prostitute coi calzett de seda, ma anche cani coi capelli o telegrafisti dal cuore urgente. 
Un Buster Keaton della canzone, nato dalle parti di Lambrate, che verrà rivisitato, reinterpretato e “ricantato” da Elio
Sul palco, nella coloratissima scenografia disegnata da Giorgio Gallione, troveremo assieme a Elio cinque musicisti, i suoi stravaganti compagni di viaggio, che formeranno un’insolita e bizzarra carovana sonora.
A loro toccherà il compito di accompagnare lo scoppiettante confronto tra due saltimbanchi della musica alle prese con un repertorio umano e musicale sconfinato e irripetibile, arricchito da scritti e pensieri di compagni di strada, reali o ideali, di “schizzo” Jannacci. Da Umberto Eco a Dario Fo, da Francesco Piccolo a Marco Presta, a Michele Serra. 
Uno spettacolo giocoso e profondo perché “chi non ride non è una persona seria”.
Ci vuole orecchio di Giorgio Gallione al Teatro Cilea
Uno spettacolo un po’ circo un po’ teatro canzone, dove una band di cinque musicisti, grazie agli arrangiamenti di Paolo Silvestri, permetterà ad Elio, filosofo assurdista e performer eccentrico, di surfare sul repertorio dell’amato Jannacci, nume tutelare e padre putativo di quella parte della storica canzone d’autore che mai si è vergognata delle gioie della lingua e del pensiero o dello sberleffo libertario, e che considera il Comico, anche in musica, non come un ingrediente ciecamente spensierato ma piuttosto un potente strumento dello spirito di negazione, del pensiero divergente che distrugge il vecchio e prepara al nuovo. Sovversione del senso comune, mondo alla rovescia, ludica aggressione alla noia e ai linguaggi standardizzati e che, contemporaneamente, non teme di creare disagio o generare dubbi.
Dichiara Elio:
Ci vuole orecchio” non è un omaggio, ma una ricostruzione di quel suo mondo di nonsense, comico e struggente (…)
È un viaggio dentro le epoche di Jannacci, perché non è stato sempre uguale: tra i brani c’è La luna è una lampadina, L’Armando, El purtava i scarp del tennis, canzoni che rido mentre le canto. Ne farò alcune snobbate, Parlare con i limoni, Quando il sipario calerà. Perché c’è Jannacci comico e quello che ti spezza il cuore di Vincenzina o Giovanni telegrafista, risate e drammi. Come è la vita: imperfetta. E nessuno meglio di chi abita nel nostro paese lo sa.
Così, nel panorama infinito delle figure che abitano l’universo Enzo Jannacci trovano posto anche personaggi dolenti, clown tristi e inadeguati che spesso inciampano nella vita. Lo spettacolo sarà perciò un viaggio in questo pantheon teatralissimo, dove per vivere “ci vuole orecchio” e dove, da saltimbanchi si vive e si muore… Opla!

Terre mosse e rimosse al Circolo del Nuoto di Avellino

Terre mosse e rimosse. Il Circolo del Nuoto di Avellino, dal 23 al 25 novembre, ricorda il terremoto del 23 novembre 1980 con la mostra fotografica Quaranta e non vederli di Luca Daniele (in esposizione per 3 giorni), la presentazione del volume Quaranta e non vederli di Luca Daniele (a cura di Antonello Plati) e la proiezione del docufilm La legge del terremoto di Alessandro Preziosi.

Una «tre giorni» per ricordare il terremoto del 23 novembre 1980. Terre mosse e rimosse, dal 23 al 25 novembre, al Circolo del Nuoto di Avellino sarà un’occasione di confronto sulla questione irrisolta del sisma del 1980. Mercoledì 23 novembre, alle 19, il primo appuntamento con la presentazione del libro fotografico di Luca Daniele, Quaranta e non vederli (2021, De Angelis Art, 120 pag.) e con l’inaugurazione dell’omonima mostra fotografica. Moderati da Gianni Colucci (giornalista de Il Mattino), interverranno Mario Fabbroni (giornalista de Il Messaggero), Marina Brancato (antropologa), Luca Sessa (economista), Francesco Della Calce (critico cinematografico), Michela Mancusi (membro della Commissione cinema ministeriale), Antonello Plati (giornalista, collaboratore de Il Mattino) e Luca Daniele (fotografo documentarista). Introdurranno i lavori Giovanni Porcelli, presidente del Circolo del Nuoto di Avellino, e Marcello Sfera, consigliere del Circolo del Nuoto di Avellino. Mentre la mostra fotografica sarà visitabile anche giovedì 24 novembre, il giorno dopo, venerdì 25 novembre, alle 19, 30, è in programma la proiezione del docufilm La legge del terremoto dell’attore e regista avellinese Alessandro Preziosi.

Terre mosse e rimosse al Circolo del Nuoto di Avellino

Spiega Michela Mancusi:

C’è una condizione di sospensione irremovibile che il terremoto trascina insieme alle sue macerie.

Il “terremoto dentro”, residuale, silenzioso e dolente, rimosso e taciuto. Non è la scossa, non è la paura, non sono quei novanti secondi di sgomento e distruzione.  Ma è la traccia profonda che il sisma ha impresso nel tessuto identitario di ognuno di noi finendo per plasmare il nostro stare al mondo, determinando talvolta l’attaccamento morboso alle radici.

Un sentimento sedimentato nella memoria della terra genitrice che ha a che fare con la ferita mai sanata, con un’improvvisa eclissi di tristezza, con quel senso di fragilità e perdizione che attraversa il nostro vissuto e fa di noi dei cittadini mai riconciliati, mai pacificati con il passato e il presente, fa di noi dei terremotati invisibili.

Ecco perché “Terre mosse e rimosse” non celebra una ricorrenza ma racconta il terremoto che non si vuol vedere a partire dalla mostra Quaranta anni e non vederli le cui fotografie rappresentano la necessità di guardare negli occhi una realtà non lontana eppure drammaticamente ferma e non dissimile dalla rappresentazione mediatica di quaranta anni fa. Negli scatti di Luca Daniele non c’è solo la denuncia ma anche il ritratto di un’umanità luminosa raccontata nel quotidiano. La fotografia degli autori nel suo ruolo documentaristico e nel valore sociale è sempre pervasa da un irrinunciabile rispetto per la verità coltivato mettendosi entrambi al servizio delle storie raccontate, chi con la scrittura, chi con lo sguardo.

Il docufilm di Preziosi, invece, è un viaggio visivo, storico, ma soprattutto emotivo dentro uno dei cuori della storia fisica e psichica del nostro paese, i terremoti, appunto. Se l’Italia è un corpo, il terremoto è un colpo al cuore. Preziosi, interprete amato delle nostre scene che cura regia e dà voce e presenza d’attore al film, è stato giovanissimo testimone del sisma in Irpinia, nel 1980. Il suo viaggio ci porta nel Belìce, colpito nel 1968, poi in Friuli, ad Assisi, l’Aquila, Amatrice. Sismi, ma anche esperienze, umanità, ricostruzioni. Insieme a straordinari documenti d’archivio (tra gli altri dell’Archivio Luce, delle Teche Rai, dei Vigili del Fuoco), testimonianze d’eccezione e toccanti (come quelle di Erri De Luca, Francesco Merlo, Giulio Sapelli, Vittorio Sgarbi, Mario Cucinella, Pierluigi Bersani, Angelo Borrelli, Grazia Francescato), passaggi e riprese in luoghi di forte valenza simbolica come il cretto di Gibellina eternato dal genio di Alberto Burri, e uno sguardo sofisticato e insieme commosso, il film disegna una mappa sorprendente di qualcosa che ci tocca da sempre, nel profondo.

E proprio oggi, mentre fronteggiamo altre drammatiche emergenze, evocare che cosa ha significato e cosa significhi il terremoto dell’Irpinia, testimoniare il disagio e la rabbia, ma anche la forza e l’ostinazione, con l’immediatezza delle immagini del presente può fornirci importanti indicazioni per guardare al futuro con maggiore consapevolezza e aiutarci a mettere radici senza rimuovere le ali.

Ritornano le visite teatralizzate al Teatro San Ferdinando

Ritorna al San Ferdinando la performance itinerante tra apparizioni, citazioni e fantasie per far vivere e raccontare il Teatro San Ferdinando dal 26 novembre al 18 dicembre

Con gli attori diplomati alla Scuola del Teatro di Napoli, Triennio 2019 -2021:
Pasquale Aprile, Francesca Cercola, Chiara Cucca, Matteo De Luca, Valentina Di Leva, Manuel Di Martino, Miriam Della Corte, Enrico Disegni, Giulia Ercolini, Eleonora Fardella, Angelica Greco, Valentina Martiniello, Simone Miglietta, Gianluigi Montagnaro, Gianni Nardone, Giulia Piscitelli,
Federico Siano, Salvatore Testa, Antonio Turco.

Un percorso, inedito e originale, per raccontare e far scoprire il Teatro San Ferdinando coinvolgendo i diversi spazi, dal Foyer al sotto palco, fino al camerino di Eduardo. Una vera e propria performance artistica itinerante che parta dai luoghi per raccontare il rapporto inscindibile che lega il teatro San Ferdinando, il suo fondatore Eduardo e la città.
L’itinerario prevede anche la visita dell’esposizione permanente dedicata all’Attore Napoletano; un vero e proprio museo, allestito e curato da Giulio Baffi, che racconta la storia del teatro dal café-chantant all’avanspettacolo, dalla sceneggiata alla commedia fino al teatro sperimentale d’avanguardia attraverso circa 400 cimeli come fotografie d’epoca, manoscritti di Eduardo De Filippo, copioni di Antonio Petito, materiali, costumi e oggetti di scena attinti da collezioni private e appartenuti ad autori-attori del leggendario mondo teatrale napoletano: la mantellina di Pupella Maggio, una giacca di scena di Massimo Troisi, uno smoking e un paio di occhiali autentici di Peppino De Filippo, oggetti di Titina De Filippo, Nino Taranto, Luisa Conte, Isa Danieli, Lina Sastri, Concetta Barra, Mario Merola e tanti altri.

Antonello Cossia afferma:

Esistono luoghi in particolare in cui l’energia delle persone che li ha attraversati nel tempo, vi resta imprigionata, impregnata nelle mura, donando a quegli spazi una particolare atmosfera intensa, rendendoli elettrici e carichi di suggestioni.
Il teatro più di ogni altro spazio architettonico è quello che più contiene in sé l’idea di questa magia della sospensione, della sensazione che il tempo sia fermo seppure in continuo movimento e progressione…

le visite teatralizzate al Teatro San Ferdinando

Teatro San Ferdinando: calendario prossime visite

sabato 26 novembre: ore 11 e 12,15
sabato 3 dicembre ore 11 e 12,15
domenica 4 dicembre ore 11
sabato 10 dicembre ore 12,15
domenica 11 dicembre ore 11
sabato 17 dicembre ore 11 e 12,15
domenica 18 dicembre ore 11

“6.9”è la performance artistica di Andrea Matarazzo

In occasione dell’anniversario del terremoto che colpì l’Irpinia il 23 novembre 1980, Laika project proporrà alla città di Atripalda “6.9”, una performance artistica di Andrea Matarazzo. L’artista riprodurrà in modo originale quei tragici novanta secondi utilizzando un carboncino che si consuma sulla carta per l’intera durata del terremoto. Il foglio bianco, quindi, si trasformerà nel medium che connette terra e foglio, come un sismografo.

L’emozionante evento – patrocinato dal Comune di Atripalda e reso possibile anche grazie alla collaborazione del Collettivo Amataria e di Mood Records Srl – si svolgerà il 23 novembre, alle ore 19:34, a Piazza Di Donato (alle spalle della cattedrale di Sant’Ippolisto).

"6.9"è la performance artistica di Andrea Matarazzo

Andrea Matarazzo: chi è?

Andrea Matarazzo è incisore e performer. Dopo il Diploma Accademico di II livello in Grafica d’Arte, partecipa a numerosi premi di grafica e incisione, come il Premio Nazionale delle Arti di Torino, la XIII Biennale di Grafica e Arti di Castelleone e il III Concorso Xilografia Ugo Maffi Città di Lodi. È tra i vincitori della terza edizione de “I giardini di Via Caravaggio” allo YAG Garage di Pescara. Dal 2019 è membro del collettivo Regno di Amataria insieme ad altri artisti e performer irpini.

L’ultimo abbraccio di Gian Ettore Gassani

L’ultimo abbraccio di Gian Ettore Gassani da martedì 22 novembre in libreria!

Dimitri Wozniak a cinquantotto anni è un uomo solo che vive giornate troppo lunghe a Pozen, una cittadina dal nome immaginario sulle sponde del Dnipro. Il 22 dicembre 1987 riceve una lettera dall’amata sorella Maria, che vive a Vladivostok e che non vede da trent’anni. All’interno della busta trova una piccola foto in bianco e nero che li ritrae insieme, adolescente lui e bambina lei, sorridenti. È l’unica immagine della sua vita “prima”, della sua vita felice.

Tutto il resto è andato perduto. È qui che inizia l’epifania di Dimitri: una rassegna di ricordi che parte nel lontano 1940, anno della scomparsa dei genitori e della segregazione nell’internat, l’orfanotrofio, con la sorellina, per arrivare fino al tempo presente.

Quel luogo tornerà prepotentemente nel suo quotidiano, insieme a una quercia magica capace di unire i destini dell’adulto Dimitri e di cinque orfanelli incontrati sulla lunga e tortuosa strada che è la vita.

L’ultimo abbraccio di Gian Ettore Gassani

Gian Ettore Gassani è un avvocato cassazionista con studi a Milano e Roma, presidente nazionale dell’Associazione avvocati matrimonialisti italiani, esperto di Diritto delle relazioni familiari, Diritto internazionale della famiglia e Diritto penale della famiglia. È autore di testi tecnici e dei saggi Dietro un uomoI Perplessi SposiVi dichiaro divorziati, C’eravamo tanto armati e La guerra dei Rossi. È opinionista televisivo e delle maggiori testate nazionali.

Slevin Flow è il nuovo Ep del rapper Layz

Slevin Flow, il nuovo Ep del rapper Layz disponibile dall’11 novembre, arriva a seguito del disco “Lazzaro” (2021) e del rilascio di una serie di singoli nel corso del 2022, alcuni dei quali entrati in rotazione radiofonica anche su RTL Bro & Sis e Radio 2 Indie.

Il titolo dell’EP, un lavoro di 6 tracce che nasce dalla passione di Layz per il Cinema, deriva dal nome del personaggio del film “Slevin – Patto Criminale” che viene citato anche nella traccia intro “Shmoo”, singolo che accompagna l’intera release.

Il videoclip del brano, per la regia di Daniel Mercatali (SC Movie Production), che si apre con l’artista che sta guardando il film “Patto Criminale”, è girato in un limbo bianco in cui il rapper si diverte a giocare con i vari oggetti che vengono citati all’interno del pezzo.

Ogni traccia che va a comporre “Slevin Flow” è ispirata ad un film diverso in cui le esperienze dell’artista si mescolano con alcuni fatti o personaggi del film a cui fa riferimento creando un unico disegno dalle tinte surreali e a tratti ironiche.

Un viaggio immaginifico attraverso incubi e città fantasma avvolte nella nebbia che porterà Layz a confrontarsi con quel disagio dilagante dato da aspettative deluse, follia, disperazione e da una vita che rischia di diventare sempre più uguale a se stessa. L’artista lascia però intravedere una speranza: é sempre possibile cambiare le cose a partire dall’interno, in una modalità apparentemente silenziosa, invece di arrendersi ad un destino segnato dalla monotonia e dalle abitudini.

Dal punto di vista del sound, ogni canzone vive sul proprio pianeta, legato al film a cui è ispirata. L’ep spazia in una vastità di influenze rimanendo comunque fedele al suo genere: basi oniriche e rarefatte si uniscono a suoni contemporanei con batterie di chiaro stampo Trap come in “Shmoo”, per esplorare suoni più classici e crudi, fino a melodie che strizzano l’occhio al pop come in “Che finale”, la traccia che chiude il lavoro.

Slevin Flow è il nuovo Ep del rapper Layz

“Slevin Flow” Traccia per traccia:

1 – “Shmoo

E’ la traccia intro dell’EP in cui ogni barra cita un film diverso. Il titolo è ispirato al personaggio immaginario del film “Slevin – Patto criminale” che dà il nome all’Ep stesso. Lo Shmoo è un creatura in grado di assumere qualunque sapore ogni uomo desideri. Layz crea, in maniera ironica, il parallelismo tra lo Shmoo e il mercato discografico che richiede ad ogni artista di assumere il “gusto” desiderato dalle persone. La traccia è prodotta da KD-ONE.

2 – “Dentro me

Dentro me” è ispirata al film d’animazione Nightmare Before Christmas. L’artista descrive un disagio dilagante e crescente nella città in cui è nato, dove ogni cosa è sempre uguale a se stessa e gli stimoli vengono meno. Alla base il desiderio di cambiare aria, di vivere nuovi posti e di conoscere persone e abitudini nuove, così come “Jack”, protagonista del film sopracitato. La traccia è prodotta da AREL BEATS.

3 – “Disturbato

La terza traccia prende ispirazione da Silent Hill. Layz ha dichiarato poi di essersi ispirato più al gioco che al film che, secondo l’artista, non è altro che la metafora delle nostre paure più recondite, consapevolezza sulla quale gira l’intera canzone.

Nel brano Layz descrive nei minimi particolari un incubo che lo vede protagonista in una città deserta e nebbiosa, proprio come quella del videogioco. La traccia è prodotta da KD-ONE.

4 – “V

V” è la traccia “politica” dell’EP. Il testo descrive fedelmente il film “V per Vendetta” con i momenti e le frasi più significative, andando a creare un parallelismo con la società odierna che, secondo Layz, è molto vicino a quello che viene descritto nell’opera di Alan Moore. Questa traccia è prodotta da PROMO L’INVERSO.

5 – “Leonardo Notte

Leonardo Notte” è la traccia con i suoni più vicini a quelli che sono in voga in questo momento nel mercato del rap. Nonostante questo, il rapper non rinuncia al suo stile e al suo modo di stare sopra alla base. Il titolo del brano è il nome del protagonista della serie 1992, 1993 e 1994 un personaggio che fa le sue “mosse” restando nell’ombra e influenzando la situazione dall’interno, allo stesso modo in cui Layz si approccia al rap.
La traccia è ancora una volta prodotta da KD-ONE.

6 – “Che Finale

Che Finale” è la canzone più pop dell’intero progetto con il titolo che gioca anche sul fatto che si tratta dell’ultima traccia dell’EP. Ispirato al libro e al film “Io Non Ho Paura”, Layz descrive l’inizio e la fine delle cose, di come per paura di affrontare un’esperienza, o che un rapporto possa finire non si intraprendono alcune strade, rinunciando molto spesso a opportunità di crescita. Anche questa produzione è affidata a KD-ONE.

Il regno delle donne L’ultimo matriarcato di Ricardo Coler

Il medico argentino Ricardo Coler viaggia nella provincia cinese dello Yunnan fino alle remote sponde del Lago Lugu per conoscere i Mosuo, una delle piú pure culture matrilineari al mondo.

In questa regione appartata vive una comunità matriarcale, nella quale le donne amministrano l’economia, il lavoro e la vita famigliare, non hanno compagni fissi, ignorano il legame matrimoniale e la figura paterna.

Il regno delle donne L'ultimo matriarcato di Ricardo Coler

In famiglie dominate esclusivamente da madri e nonne, lo scrittore incontra uomini che ai privilegi femminili si sono felicemente adeguati, con poche responsabilità, nessuna iniziativa o spinta alla competizione, e molto tempo per giocare a mahjong, oziare e fumare in riva al lago. Un mondo in cui i dissidi sono guardati con imbarazzo, la violenza è praticamente sconosciuta e la vita prende una piega impensabile.

Rispetto alle donne Mosuo è sempre circolata la diceria di una grande disinvoltura sessuale, cosa che buona parte del milione di turisti dell’ultimo anno ha di certo considerato nello scegliere come meta il Lago Lugu. Per non deludere i turisti, arrivarono prostitute da altre parti della Cina. Giunte al lago, si vestivano con l’abito tradizionale del villaggio e intrattenevano chi era venuto in cerca di quel che loro potevano offrirgli, ma che nulla aveva a che vedere con la realtà. Tutta la comunità in principio si mobilitò per farle andare via, e quelle se ne andarono. Ma poi sono ritornate.
È un peccato che con ogni pullman che arriva al villaggio si perda qualcosa della cultura mosuo, quest’esempio unico di come il femminile – non le donne, ma il femminile – possa costruire tra le persone relazioni tanto diverse da quelle che conosciamo.

Ricardo Coler (Buenos Aires, 1956) è un medico, fotografo e scrittore argentino. I suoi reportage antropologici e di viaggio sono stati pubblicati con successo in molti paesi. Con nottetempo ha pubblicato Eterna giovinezza (2011) e Il regno delle donne (2013).

In difesa dell’albero di Francis Hallé

In difesa dell’albero di Francis Hallé, è un ritratto potente di questi esseri discreti e sorprendenti. Così diversi da noi, ma nostri compagni fin dalle origini ed essenziali per la nostra sopravvivenza.

Comparsi sulla Terra 380 milioni di anni fa, gli alberi vengono da molto lontano. L’Homo sapiens ha 200.000 anni e la sua storia si intreccia fin dalle origini, attraverso i Primati arboricoli, a quella di questi fenomenali abitanti del nostro pianeta che di tanto lo hanno preceduto.

In difesa dell'albero di Francis Hallé

Potenzialmente immortali, dotati di incredibili risorse di rigenerazione e resistenza, specializzati in comportamenti sorprendenti e detentori di svariati primati tra le forme di vita, gli alberi sono superorganismi al tempo stesso individuali e collettivi, e basta osservare una foresta per intuire la singolare proliferazione di forme, funzioni e interrelazioni di cui sono capaci.

Negli ultimi quarant’anni le conoscenze sull’albero hanno fatto grandi progressi,
che però, pubblicati in riviste scientifiche per la maggior parte sconosciute al pubblico, sono rimasti accessibili solo agli specialisti. È ora di ammettere che l’albero non è appannaggio esclusivo di nessuno, che merita di essere riconosciuto come patrimonio comune dell’umanità tutta e che il sapere intorno a esso dev’essere
collettivo. Obiettivo principale di quest’opera: rendere note le nuove acquisizioni
scientifiche al grande pubblico. Ma che cosa ci evoca la parola “albero”?
Di fronte a un albero, ognuno di noi vede realtà diverse, ciascuno la propria, in funzione di ciò che noi stessi siamo.

Cercherò di evitare qualsiasi antropomorfismo, quella vecchia tendenza che risale
alle origini della letteratura: Esopo, Joachim du Bellay, Jean de La Fontaine, Micheclet, Hugo, Tolstoj, Queneau, Brassens, tutti hanno fatto i ventriloqui per far parlare
gli alberi, prestando loro una forma umana e sentimenti che ci appartengono.

Francis Hallé ne è ammirato e consegna al lettore un ritratto potente della profonda “alterità” – ancora in parte misteriosa – di questi esseri discreti e così diversi dall’uomo, al quale hanno dato tanto ricevendo molto poco in cambio. ù

Compagni nascosti della nostra quotidianità e della nostra storia, indispensabili alla sopravvivenza del pianeta e della nostra specie fra le altre, in questo libro gli alberi riconquistano tutta la loro essenziale centralità – sempre più a rischio – negli equilibri complessi della vita sulla Terra.

Francis Hallé

Francis Hallé: biografia

Francis Hallé, professore emerito all’Università di Montpellier, è uno tra i più noti botanici contemporanei. Specializzato nell’architettura arborea e nell’ecologia delle foreste pluviali tropicali, è un fervente difensore delle ultime foreste primarie. Tra i suoi libri, ricordiamo Éloge de la plante (Seuil, 1999), Architecture des plantes (jpc, 2004), Aux origines des plantes (Fayard, 2008) e Plaidoyer pour la forêt tropicale (Actes Sud, 2014). In Italia sono stati tradotti Ci vuole un albero per salvare la città (Ponte alle Grazie, 2018) e Atlante di botanica poetica (L’ippocampo, 2019).
In difesa dell’albero ha vinto il Prix Redouté 2006.

Da 1 a 10 è l’esordio di De La Roix

Orangle Records presenta da 1 a 10, singolo d’esordio dell’artista barese  disponibile in radio dal 16 novembre, distribuito sulle piattaforme digitali da Universal Music Italia.

Dolcemente e con sonorità malinconiche che richiamano la musica pop, il brano è introdotto da una confessione di De La Roix, figlia di una precisa presa di coscienza della propria natura, dei risvolti relazionali che ne derivano, ma soprattutto del desiderio di un cambiamento profondo che resta tuttavia inespresso ed inesprimibile perché contrario alla natura stessa dell’autore.

De La Roix

La forza di questo scontro interiore distrugge la dimensione introspettiva della strofa ed irrompe nel ritornello, liberando un flusso di musica elettronica su cui si scatenano delle incursioni metal. Un flusso dal quale emerge la domanda che ispira il titolo del brano: da 1 a 10 dimmi quanto.

 De La Roix si descrive così:

                                        

Nasco come ghost producer e arrangiatore per artisti della scena underground, dopo aver sperimentato in generi come Rap, Rock, Pop e Indie ho deciso di sperimentare la scrittura raccontandomi e parlando del mondo che mi circonda.

De La Roix è un progetto che nasce dalla mia voglia di liberarmi di qualsiasi vincolo di genere musicale e rimbalzare da uno all’altro con l’obiettivo di avere un sound originale e diverso.
De La Roix nasce dal pittore francese Delacroix precisamente dal dipinto “La libertà che guida il popolo” un’espressione del concetto di libertà e di cambiamento.

Il Primo Giorno è il nuovo Ep di Andrea Biagioni

Il “Primo Giorno” è una raccolta di soli tre brani “nudi” registrati in diretta chitarra e voce per cercare di non perdere quell’immediatezza e onestà che va oltre anche agli errori e alla maniacale perfezione della musica dei giorni nostri.

In questi due anni e mezzo di pausa Andrea Biagioni ha continuato la ricerca artistica che aveva cominciato con il precedente disco andando ancora più a fondo nella propria persona e nell’esigenza espressiva spogliandosi di sovrastrutture musicali e non.

Sono musicalmente nato chitarra e voce e così ricomincio oggi…
Il primo giorno di un nuovo viaggio…

Non so se definire Due Minuti una “canzone” o un semplice Pensiero/Riflessione musicata…

Due Minuti è nata così, come nascono le canzoni semplici su una nota del cellulare, senza cambiare niente dalla prima stesura ad oggi, senza un foglio di carta per scrivere e cancellare gli errori.

Cantata la prima volta quando l’ha composta e la seconda quando l’ha registrata in studio, Andrea Biagioni racconta di averla scritta in un momento molto complicato della propria vita, dove lo spavento e l’incertezza sono state un sentimento prevalente dentro l’artista per mesi.

Mia madre aveva dei problemi di salute, la vedevo spaventata e cercavo di rassicurarla trovando non so dove la forza per farlo… La vedevo coprirsi perché stava cambiando giorno giorno e lei non si riconosceva più. Stavano cambiando tante cose ma l’unica che è sempre rimasta in piedi forte come uno scudo medioevale è l’amore… Ho cercato di descrivere tutto con questo brano”. Ma mi ricordo come fosse adesso che l’unica cosa che spegneva il male che provavo nel petto era ascoltare quella nota registrata sul telefono…

L’ALTRA PARTE DI ME

L’altra parte di me è una canzone nata due anni fa nel periodo del primo lock down dove smisi di suonare per due mesi perché furioso di aver perso il primo disco (in pieno tour e promozione in quel periodo) perché stroncato dal disastro globale.

Dopo questa pausa ricominciai poco a poco a suonare e scrivere alternando con la potatura degli ulivi e il lavoro d’agricoltore (in piccolo). Ripensandoci oggi, è stata una grande fortuna poter permettermi una pausa così profonda per fare un vero e proprio “reset” e ripartire con una consapevolezza diversa, scrivendo testi ancora più’ a fuoco.

“L’altra parte di me” è una ballata semplice, con un arpeggio incalzante che descrive a posteriori, con dolcezza, lo stupore nel sentirsi denudati in un istante di fronte ad una persona sconosciuta che nello stesso momento ti sembra di averla sempre avuta accanto.

PRIMO GIORNO

Primo Giorno” il brano che da il nome all’ Ep, é un viaggio nei pensieri dell’adolescenza quando la mia vita da studente si alternava tra scuola e amore. La scuola, non mi vergogno a dirlo, è sempre stata poco interessante per me e facevo molta fatica. Era una vera e propria battaglia giorno per giorno tra la pressione della famiglia, che giustamente teneva che andassi bene in tutte le materie, ed io che passavo 6 ore al giorno a suonare e le mattinate a guardare i giornali di chitarre a lezione… Un disastro.

Mi ricordo però la novità di quel periodo, era tutto da scoprire e forte. Erano gli anni in cui ti perdevi con il gruppo di amici sbagliati e avevi amicizie che credevi facessero il tuo bene. L’amore di cui avevi sempre sentito parlare diventava realtà sulla tua pelle.

Cominciava la vita vera.

Andrea Biagioni

Andrea Biagioni: chi è?

Semifinalista di X Factor Italia 2016, dove presenta l’inedito “Il Mare Dentro” nel team di Manuel Agnelli che lo vorrà poi come opening in diverse date del tour degli Afterhours di quell’anno.

Successivamente è concorrente al Festival di Sanremo 2018 nella categoria Giovani dove presenterà il brano “Alba Piena”, seguito poi, a ottobre 2019, dalla pubblicazione discografica del primo album “Pranzo Di Famiglia“, supportato con un lungo tour chitarra e voce nei piccoli posti intimi in giro per l’Italia fino all’estate del 2021.

Dall’autunno 2021 riprende a scrivere nuova musica che lo porta all’uscita dell’Ep “Il Primo Giorno” (Amor Fati Dischi / Ingrooves) il 18 novembre 2022.

L’Ep è composto da 3 tracce chitarra e voce che riportano Andrea Biagioni alla propria essenza musicale.

Un Ep dove si spoglia di tutto e racconta in musica i suoi pensieri più profondi che hanno caratterizzato alcuni momenti recenti della propria vita.

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