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È disponibile in libreria e negli store online “Hilla Von Rebay – La donna dell’arte”, il nuovo romanzo dello scrittore romano Luca Berretta, edito da Morellini.
Il libro racconta la storia colpevolmente poco conosciuta di una donna che ha dedicato la propria vita all’arte, riuscendo a convincere uno degli uomini più ricchi d’America a investire in un progetto e in un edificio che nell’America rampante degli anni ’20 non aveva eguali.
Ma Hilla von Rebay è anche la storia di un amore difficile, tra Hilla e Rudolf Bauer, e di un sodalizio in nome dell’arte tra la stessa Rebay e il magnate americano che causerà non poche invidie e rivalità negli ambienti artistici dell’epoca.
Il romanzo ripercorre così la vita della baronessa dagli studi nella Parigi anni ‘20 della “generazione perduta” di Modigliani e Hemingway fino alla morte avvenuta alla fine ’60 a New York, città che ormai l’aveva accolta da tempo. In mezzo una vita trascorsa tra Berlino e Zurigo dove conoscerà l’arte rivoluzionaria del nascente movimento dadaista.
Nel 1918 è, infatti, una giovane studentessa dell’Accademia Julien, figlia di una severa famiglia tedesca di origine prussiana; i genitori sperano che durante il soggiorno parigino la figlia trovi presto un marito e che abbandoni l’idea inutile e decadente dell’arte. Hilla, tuttavia, è una donna che ama l’avventura e che rifiuta il ruolo di moglie borghese. Ama la filosofia, gli artisti e la vita bohémien di Parigi, Berlino o Monaco.
Grazie al suo instancabile lavoro per l’arte Vasilij Kandinskij (e molti altri) hanno trovato fortuna prima in Europa, poi in America e infine nel mondo.
Sarà l’incontro con Irene e Solomon Guggenheim nel 1927 a cambiarle la vita. Dal sodalizio tra l’artista e l’imprenditore nascerà il Guggenheim Museum di New York.
Hilla von Rebay verrà infine estromessa dal suo stesso progetto. Uscirà di scena in modo silenzioso da un’avventura che nessuno potrà cancellarle dalla memoria. Morirà anni dopo nella più totale solitudine. Solo le parole dell’architetto Wright rimarranno impresse fino alla fine: “Ricordati cara Hilla, che questo museo l’ho costruito per te… Intorno a te”.
Per la collana Femminile singolare di Morellini, un nuovo racconto su una donna modello di emancipazione e di un traguardo in nome della bellezza raggiunto, ma ben presto dimenticato dalla storia.
“Per questo meritava un’opera che parlasse di lei – commenta l’autore – Hilla è d’esempio per tutte quelle persone che hanno un sogno e fanno di tutto per realizzarlo”.
Con questo romanzo Luca Berretta riconosce con uno stile intimo e partecipato a Hilla Von Rebay il posto nella storia dell’arte del Novecento che non le è stato sempre riconosciuto.
Architetto romano. Molti dei suoi lavori sono stati pubblicati su riviste specializzate, ha partecipato a mostre d’architettura e convegni e a concorsi nazionali e internazionali. Il Sig. Ole (Edizioni Minerva, 2017) è stato il suo primo romanzo. Il libro ha vinto un premio al Concorso letterario “Carlo Marincovich” nel 2018.
“Hilla von Rebay” è il suo secondo romanzo storico.
L’opera è stata pubblicata in accordo con l’agenzia EditReal di Michela Tanfoglio.
Verde è il singolo di esordio delle Wasabi, power trio romano tutto al femminile. Il brano riesce a unire uno spirito punk a un insieme di suoni distorti ed elettronici che ne dirottano le sonorità verso il synth pop-rock.
Le Wasabi spiegano così il loro singolo:
Verde rompe l’illusione della speranza come cura e la dicotomica necessità di aggrapparcisi ed essere salvati. Verde è prendere una medicina sapendo che sarà un placebo eppure ingoiare lo stesso.
Il brano nasce cantando in macchina in modo apparentemente insensato, per poi prendere forma grazie a una sovrapposizione di strati: prima una base di pianoforte e voce, poi una batteria folgorante unita a un basso ribelle, infine un synth astrale che avvolge il tutto.
Si presentano così:
Noi siamo wasabi, una radice made in Rome difficile da mandare giù eppure purificante.”
Così almeno intendiamo la nostra musica, che passa per il dolore per arrivare al benessere, facendo muovere il corpo e liberando l’anima.
Lexie vuole graffiarvi col suo basso acido e prorompente, Simo vuole farvi scatenare con la sua batteria scintillante e decisa, Claire vuole trasportarvi in un’altra dimensione con il suo synth etereo e malinconico, con l’intenzione di abbracciare insieme il caos del multiverso e farvi abbracciare da esso stesso, in una danza senza fine.
Le nostre canzoni nascono da situazioni vissute ma trasformate, che prendono le emozioni da immagini, persone e le rendono altro ancora.
Dalle iniziali note di un pianoforte, tutto si realizza grazie all’elettricità e all’energia del ritmo, per poi unirsi a parole che derivano direttamente dalla parte latente dei nostri sogni.
Musica verde che brucia per pulire e purificare.
La radice-trio Wasabi si forma sotto il terreno della pandemia, dove cresce diramandosi nel rumoroso silenzio di un box segreto.
Sotto gli effetti psicotropi del Synth-Pop/Rock, usato come fertilizzante e forma espressiva, il trio al femminile lacrima suoni e parole attraverso una musica dirompente.
Il primo EP “Verde”, registrato presso il VDSS Recording Studio, è di prossima pubblicazione.
Alfonso Silba, avellinese di nascita e sardo d’adozione, inaugura il 2 novembre 2022 alle 17:30 una mostra sui 700 anni di Dante Alighieri, esposta al Museo Irpino fino al 18 novembre 2022.
L’inaugurazione avverrà presso l’Auditorium Sala Blu ed interverrà l’artista, la dott.ssa Giovanna Silvestri, coordinatore del Museo Irpino e della Biblioteca Provinciale e Gabriele Agus, critico e storico di Orosei, paese d’approdo di Alfonso Silba in Sardegna.
La mostra segue la rappresentazione dei canti danteschi che più hanno affascinato Silba, tra simbolismi religiosi e miti pagani, presentati in opere che vanno dagli anni Settanta del Novecento agli anni Venti del Duemila, spaziando tra varietà di tecniche, di materiali e di colorazioni, ma tutte accumunati dal potere rappresentativo e suggestivo che caratterizza l’opera dell’artista avellinese.
Scrive Luciano Piras nella prefazione del catalogo della mostra:
L’allegoria scritta in terzine, qui prende forme e colori. La visione immaginifica assume contorni precisi che lasciano aperti il sogno. È il regalo che ci fa Alfonso Silba: porta ognuno di noi dentro questo percorso fantastico, questo pellegrinaggio ultraterreno che non finisce mai. Ancora Tiberio Fusco, nel testo introduttivo al catalogo, sottolinea come Silba ha osservato molto le bellezze della natura trasferendole nell’aldilà Dantesco.
Alfonso Silba, classe 1945, è pittore e scultore di origine campana, particolarmente legato alla cultura e alla vita di Orosei, paese della Sardegna dove si trasferì a 20 anni. Nel 2019 ha festeggiato 50 anni di carriera, nei quali ha esposto numerose mostre in giro per l’Italia, raccontando miti, leggende, culture e storia della Sardegna e della vita umana in generale, portando con sé un messaggio di amore verso la cultura e verso la profondità dell’animo umano.
Tra le sue opere si possono citare sculture, altorilievi, opere bronzee e opere pittoriche, esposte anche a Dallas, Amburgo e Venezia, nonché in collezioni private. Tra le più monumentali si collocano i portali bronzei con altorilievi per la Parrocchiale di San Giacomo Maggiore a Orosei.
Durante la mostra, saranno disponibili copie in tiratura limitata del catalogo “E torneremo a riveder le stelle” a cura di Gabriele Agus in collaborazione col Centro Studi G. Guiso di Orosei.
Radici è il terzo singolo dell’artista marchigiano Ferretti prodotto da Andrea Mei disponibile in radio e sugli stores digitali per Altafonte Italia dal 21 ottobre. Un brano tra cantautorato e rock in cui si esplora l’essenza dell’essere umano attraverso l’analogia con le piante.
Ferretti:
Apro gli occhi. Stamattina nell’aria si respira qualcosa di diverso. La natura intorno a me sembra essersi risvegliata da un lungo letargo. Esco a fare due passi, non c’è nessuno, eppure mi sento così osservato. “Le fronde che gesticolano cercano attenzioni” e mi coinvolgono in un rituale a cui, inconsapevolmente, appartengo da sempre. Non appena realizzo quanto questo scambio mi abbia sempre influenzato, la terra richiama a sé le proprie radici, che risprofondano tra i frantumi delle zolle umide. Ancora per un attimo resto seduto ai piedi di una pianta, che ora so non essere poi così lontana.
Ferretti, all’anagrafe Mattia Ferretti, ha quasi 25 anni e vive a Mogliano, in provincia di Macerata, nelle Marche. Dopo il liceo ha iniziato a studiare recitazione, rimbalzando tra Ancona e Roma; quindi la sua è una formazione attoriale, almeno in principio.
Nel 2019 si è finalmente avvicinato alla musica, dopo aver rimandato per anni una passione figlia dei compulsivi ascolti adolescenziali, iniziando a comporre brani inediti e cercando di portare all’interno del linguaggio rap e cantautorale l’esperienza teatrale.
Un percorso fatto di incontri con molti musicisti lo hanno portato, nell’aprile del 2021, a collaborare con il produttore Andrea Mei, (ex Gang & Nomadi, che attualmente produce e segue dal vivo l’ex cantante dei Nomadi Danilo Sacco) che una volta ascoltato il suo materiale ha deciso di produrlo. Nasce così “Ferretti”: un primo progetto di inediti che vede come centrali la scrittura e la matrice recitativa e si prefigge di mescolare canto, rap e rock, il tutto accompagnato da una band molto essenziale.
Io sono Ferretti, che poi sarebbe il mio cognome, ho quasi 25 anni e vengo dalle campagne marchigiane, più precisamente da Mogliano, Macerata. Quando tutti cercavano un nome d’arte, io cercavo un buon motivo per non averne uno: perché quello che scrivo e che canto è esattamente ciò che rappresenta la persona che sono. Qui dalle mie parti no, non c’è città, che possa un po’ svagarmi dallo stare al bar, che possa trasformare tutta questa noia, in slancio vitale o sensibilità. La provincia è come una pentola di fango che ti inghiotte, ma se impari a nuotarci dentro, è possibile anche ‘cucinarci’ qualche cosa di buono.
Storie che s’incontrano, Antonino Cannavacciuolo e Livia Iaccarino raccontano il legame umano con la famiglia Casolaro.
La Campania “stellata” al centro del premio “Miglior Servizio di Sala” nell’ambito della Guida Ristoranti d’Italia del Gambero Rosso 2023.
La Campania è sempre più ai vertici, nel firmamento dell’alta ristorazione dove la cucina raffinata e di alta qualità si fonde al grande patrimonio agroalimentare, alla competenza e alla creatività del “savoir faire” campano, non a caso è tra le regioni con il maggior numero di ristoranti stellati in Italia. Ma non solo, a caratterizzare il successo di chef, ristoratori e operatori del settore di questa regione è qualcosa di più profondo, si tratta del valore della cifra umana, fatta di legami sinceri, con le origini così come le persone, e un sacrale rispetto della famiglia.
Il premio “Miglior Servizio di Sala” nell’ambito della Guida Ristoranti d’Italia 2023– Gambero Rosso ne è un esempio. Durante la premiazione, in primo piano appunto la Campania, al centro l’eccellenza in tutte le sue forme, ma soprattutto la forza dei rapporti genuini consolidati nel tempo.
A consegnare il premio Maria Vittoria Casolaro e Vittorio Casolaro, della “Casolaro Hotellerie” realtà storica napoletana e riferimento del settore Horeca, i premiati due colonne portanti della gastronomia italiana, anch’essi campani: Livia Iaccarino del Don Alfonso 1890, una delle più grandi donne di sala italiane, e Villa Crespi (Orta San Giulio), il ristorante di Antonino Cannavacciuolo, tra gli chef più talentuosi e amati.
Un momento bello ed emozionante in cui è stata ricordata la storica amicizia tra le famiglie Iaccarino e Casolaro che va avanti da oltre 50 anni, e dove lo chef Cannavacciuolo ha raccontato della sua prima fornitura da Casolaro, quando aprì il ristorante Villa Crespi.
Afferma Livia Iaccarino:
È bellissimo ricevere riconoscimenti dopo una vita dedicata alla sala sto in sala da 49 anni e non sono stanca e questo è molto bello perché amo quello che faccio -Vittoria (Maria Vittoria – ndr) la conosco da quando aveva 4 anni, le nostre famiglie sono legate da una storia antica che parte dall’amicizia con i suoi genitori.
Anche lo chef Antonino Cannavacciuolo commenta il premio:
Questo momento mi sembra un libro scritto. Il Don Alfonso è stato il mio primo ristorante stellato nel 1996, mentre Casolaro Hotellerie mi ha permesso di arredare la cucina di Villa Crespi al momento dell’apertura.
Stare oggi tra Casolaro e Livia Iaccarino è quasi come chiudere un cerchio.
Una vittoria tutta campana, che conferma il valore dell’alta cucina regionale. Una cucina che si è saputa adattare alla modernità grazie a chi ha saputo tramandare il retaggio di una tradizione secolare. Non si tratta solo di buoni ingredienti, di capacità e di creatività. È qualcosa di più, fare ristorazione è saper raccontare una storia, di amicizia, di famiglia, di tradizione tenendo fede ogni giorno al richiamo delle proprie origini.
Il 3 e 4 novembre partono i casting per l’ammissione all’anno accademico 2022\2023 di Joseba Academy, la struttura di alta formazione sita nel cuore della capitale, presso i prestigiosi studi Joseba.
La direzione artistica dell’Academy è affidata al Maestro Enzo Campagnoli. Il progetto nasce dalla collaborazione con la “Joseba Publishing” nota etichetta discografica, diretta da Gianni Testa.
Il progetto di formazione è strutturato inizialmente in tre trimestri di alta formazione che si svilupperanno nei fine settimana a partire dal mese di novembre a finire nel mese di luglio, a questi trimestri se ne aggiungeranno altri.
Una parte dei docenti scelti saranno: il Maestro Enzo Campagnoli, Gianni Testa, Dada Loi, l’avv. Leopoldo Lombardi, Luca Notari, Mariapia Liotta, Alma Manera, Giovanni Segreti Bruno, l’avv. Claudia Barcellona, Ennio Zanini, Silvana Matarazzo, Francesca Ficara, Giovanni Germanelli, Marco Vito, Ciro Barbato, Loretta Martinez, Luca Pitteri, Maurizio Caridi, Serena K Baldaccini, Samuel Montegrande, Ivan Lazzara, Gianna Martorella, Daniela Fazzolari, Andrea Amati, Massimo Bonelli e tanti altri illustri colleghi.
Incontro durante l’anno accademico con il Prof. Ugo Cesari, (Foniatra di fama internazionale) con sedute di Logopedia in sede a cura del Dott. Emanuele D’Onofrio.
Oltre ai docenti sopra citati si terranno incontri con delle vere e proprie “STAR” del panorama artistico, musicale, televisivo e cinematografico di dichiarata fama.
A conclusione del primo trimestre, si realizzerà un brano scritto insieme agli allievi per il progetto “un inedito sotto l’albero” seguito dal videoclip ufficiale in collaborazione con un noto autore di fama internazionale. Il brano sarà distribuito su tutte le piattaforme digitali.
Alla fine dell’anno scolastico alcuni allievi verranno scelti per un percorso discografico, televisivo o cinematografico. Il ventaglio di opportunità, grazie a questo nuovo progetto firmato Joseba Academy, è molto ampio.
La casa editrice Saggese Editori presenta il nuovo progetto editoriale ideato e scritto dalla giovane autrice salernitana Annarita Caramico.
Dopo i libri della collana nazionale ”Il segno opposto” di Stefano Ferrara e “La casa in cima alla collina” dell’autrice toscana Valentina Testi, la casa editrice è pronta ad accogliere una nuova pubblicazione, che sarà disponibile presso i circuiti Mondadori, Feltrinelli e tutte le librerie autorizzate oltre che tramite il sito e-commerce sul sito.
Nei prossimi giorni, verrà ufficializzata la prima data di presentazione al pubblico.
L’opera di promozione e divulgazione del romanzo proseguirà attraverso i canali ufficiali di Saggeseeditori.it e sui più importanti canali di distribuzione libraria.
Annarita Caramico nasce a Salerno nel 1990.
Dopo essersi laureata in Giurisprudenza, si trasferisce a Torino per frequentare la Scuola Holden e perseguire il sogno di diventare una scrittrice. Qui si diploma nel 2019 in Storytelling & Performing Arts e inizia a lavorare a “È malacqua”, il suo primo romanzo. Pubblica due raccolte di poesie: nel 2016 In un giorno di pioggia e nel 2018 Il pianto delle balene. Accanita divoratrice di libri, nostalgica dell’Australia, è appassionata di viaggi e mamma di Emma.
Annarita Caramico presenta così il suo libro:
Questa storia è da sempre dentro di me, aspettava solo che io fossi pronta a raccontarla. Ho voluto scrivere di qualcosa che conosco nel profondo: la famiglia, i legami forti tra donne simili e diverse al tempo stesso, la mia città. Il mio desiderio era ed è quello di descrivere episodi di vita quotidiana e familiare, sentimenti universali ma anche particolari. La mia più grande speranza è che tra le pagine di questo romanzo ognuno possa riconoscere una parte di sé, un’emozione che ha già sentito sulla propria pelle o un sentimento che si augura di provare e riesca a meravigliarsi di quanto possa essere bella e complicata la vita.
Agata, Allegra, Alice e Anna, rispettivamente nonna, madre, zia e nipote, sono quattro donne unite dallo stesso sangue e da una vecchia maledizione dei primi del Novecento.
Dagli anni Sessanta a Salerno alla Torino dei giorni nostri, ad accomunarle è l’impossibilità di vivere appieno la loro vita e l’amore. Agata ha sedici anni ed è di buona famiglia. Si innamora, ricambiata, del bagnino dello stabilimento che frequenta, ma la sorella e le pressioni sociali la portano a rinunciare al suo sogno di adolescente. Lo stesso capita a sua figlia Allegra: conosce e si innamora di Carlo, un musicista squattrinato. Al contrario della madre e nonostante la sua opposizione, Allegra lotta per i suoi sentimenti.
Alice è la studiosa della famiglia e pare non interessarsi all’amore fino a quando, durante il dottorato, non si invaghisce di un uomo sposato. Anna vive da freelance a Torino, dove per caso incontra Edoardo su un tram. Le cose tra loro sembrano andare bene, ma è ancora tormentata dal ricordo del suo ex, Daniele. Quattro storie di passioni e rinunce, saggezza e coraggio, legate a doppio filo da un destino che si trasmette di madre in figlia. Che sia davvero colpa della maledizione?
Non è vero che mi manca, singolo di esordio de La Fine del Mondo, progetto artistico del cantautore romano Francesco Lombardi.
Il brano è uscito sulle piattaforme digitali e in radio dal 19 ottobre. Il protagonista del video è un “arrogantissimo” maialino portamonete che, con sguardo giudicante, osserva gli interpreti tra odio e amore: “Niente è stato risolto, ma niente importa più” dichiara La Fine Del Mondo.
Queste le parole dell’artista sul brano:
Non è vero che mi manca nasce dal tentativo di sublimare un calcio sui denti con la tecnica di un pre-liceale. Dopo un ascolto compulsivo di ‘Ahi Maria’ di Rino Gaetano accompagnato da diverse birre, ho pensato che potesse essere una buona idea vivere nella negazione e raccontare una storia. Ovviamente non è servito a granché, ma non sono mai stato troppo sveglio.
La Fine Del Mondo è il mio Tyler Durden musicale, purché a guardarmi le spalle ci siano Andrea, Claudio, Gianmarco e altra gente a cui devo più di quanto do.
Ho una passione viscerale per tutto ciò che mi fa male fisicamente e mentalmente, tipo Battiato, il gin tonic o l’amore che strappa i capelli. Mi terrorizza il concetto di tempo illimitato, universo infinito e l’immensamente grande o l’infinitamente piccolo.
Tutte queste cose le metto nelle mie canzoni. Infatti, il mio primo singolo è Non è vero che mi manca. Come si deduce, è ironico.