Editoriale

Little free library: la cultura a costo zero

Molto spesso si sente parlare della difficoltà che, oggi,  hanno i giovani nell’approcciarsi alla lettura, hobby impegnativo, individuale e faticoso che a lungo termine lascia benefici per la mente e per un bagaglio culturale non a breve termine. Si può tranquillamente affermare che oggi nell’era dei social, delle Serie Tv la nuova generazione è sempre più attratta e, probabilmente, più predisposta ad un apprendimento veloce, in cui l’assimilazione, la comprensione e l’interpretazione sono prima di tutto visive e poi intellettuali.

Un vero e proprio mea culpa è doveroso farlo in generale a tutti: l’Italia nelle diverse classifiche annuali che vengono stilate sui Paesi che leggono maggiormente, si ritrova sempre a far parte tra gli ultimi posti.

Little free library un modo alternativo per incentivare la lettura

Giovane donna seduta in una libreria che legge

Non è un caso che, soprattutto durante il primo lockdown, le attività commerciali legate all’attività editoriale e di commercio relative ai libri abbiano subìto una vera propria crisi anticipata, obbligando molti imprenditori a chiudere i battenti definitivamente. Non è solo colpa di Amazon e della sua politica commerciale altamente competitiva. Il problema è che si legge poco in generale perché questo tipo di attività richiede tempo e concentrazione individuale.

Cosa si può fare per orientare i giovani alla lettura?

Sono in molti che con leggerezza scaricano questo arduo compito alla scuola e, dunque, al sistema organizzato che pecca sempre e non spicca mai. Uno scarica barile, questo, molto semplicistico che aiuta le coscienze di chi qualcosa potrebbe farla davvero per tentare di cambiare queste sorti. Non è plausibile del tutto neanche la “scusa” che dovrebbe essere il contesto familiare. Partiamo dal presupposto che i lavori svolti sinergicamente su diversi fronti sono quelli che riescono ad ottenere maggiori risultati. In breve, più input si ricevono più questi possono rappresentare un modo per stimolare la curiosità di un giovane che, inevitabilmente, è pieno di curiosità verso il mondo e le novità.

Se scuola, famiglia, amministrazioni, librerie e centri culturali ricreativi lavorassero insieme, unendo le forze, forse, qualche seme si riuscirebbe a piantare, facendolo germogliare.

Little free library

Come trasmettere la cultura a costo zero

L’importanza di una little free library

Basterebbe partire dalle piccole cose e dal proprio territorio, iniziando a pensare a semplici catalizzatori d’attenzione che potrebbero colpire l’occhio come la comparsa in vari spazi ricreativi in cui possano essere presenti delle little free library, piccoli contenitori  sparsi in punti diversi di un paese e di un luogo d’attrazione, che contengono libri messi a disposizione per chi ne abbia voglia. Non ci sono leggi ma regole morali e di rispetto civico: chiunque può prendere un libro, leggerlo e restituirlo o lo si può sostituire con un altro.

Le little free library nascono con un codice comportamentale e con un senso civico che si addice più a quei Paesi del Nord Europa che hanno un modus vivendi improntato al rispetto e alla civiltà, caratteristiche che per molti sembrano appartenere più agli alieni che al nostro mondo eppure esistono e vivono insieme a noi.

Queste casette contenenti libri, spesso, si trovano nelle grandi città o in quei luoghi in cui le amministrazioni o centri culturali hanno davvero voglia di prendersi cura della propria collettività anche a costo zero. A volte per fare qualcosa non c’è bisogno di progetti o eventi di ampio risalto che nascono e muoiono nel lasso di tempo della loro durata, senza volerli svalutare. Anche queste tipologie di attività sono importanti e fondamentali per la comunità, soprattutto, quando hanno una cadenza frequente, magari mensile, piacevole per i fruitori. Quest’ultimo elemento verrà valutato dai partecipanti e dalla loro risposta al successivo incontro.

Le little free library sono un’arma a doppio taglio perché qualora venissero proposte in comunità che a civiltà e senso civico di base risultano essere molto carenti, ci si potrebbe trovare di fronte ad atti vandalici, che farebbero da specchio all’intera comunità di un luogo, a meno che queste non vengano sorvegliate per evitarne la distruzione o il saccheggio. Bisogna rischiare soprattutto quando si va fieri della propria comunità e della propria città perché una little free library potrebbe dare la risposta sperata.

La popolazione di un luogo riflette completamente l’amministrazione che la gestisce.

Little Free Library a Roccamonfina

Little Free Library a Roccamonfina

Pro e contro

Ad esempio, la little free library pensata e voluta da Giovanna Prata, assessore alla Cultura nel Comune di Roccamonfina è un gesto forte, pieno d’amore verso i cittadini della sua comunità.

Tale gesto, infatti, ha dimostrato da parte dell’Assessore, voglia di trasmettere cultura attraverso un regalo permanente e gratuito offerto alla sua comunità. C’è bisogno di conoscenza sui nuovi modi per poter fare cultura altra, creando una curiosità e stimoli in chi deciderà di fare una passeggiata nel parco che, magari preso dalla noia, forse un libro lo sfoglierà. Questo lo sanno molto bene i giovani che hanno studiato fuori dal proprio territorio, assorbendo le novità culturali metropolitane e che sono stati sempre sensibili alla cultura non statica.

Le little free library accendono un’idea per trascorrere un momento piacevole in uno spazio verde collettivo magari ben tenuto e incentivando la valorizzazione dello stesso senza fare cose plateali o sfarzose. La semplicità, quella non enfatizzata perché fatta col cuore, resta sempre la qualità più apprezzata perché sincera, dritta e schietta.

L’Assessore, inoltre, ha dimostrato di nutrire ampia fiducia, conoscenza e rispetto nei confronti della sua comunità che evidentemente merita questo semplice gesto stracolmo di contenuti. Un regalo a costo zero ma extralusso per quei luoghi che non hanno il senso civico e il rispetto per gli spazi pubblici.

Ci auguriamo che anche in Irpinia possano spuntare all’improvviso delle little free library, magari davanti a spazi verdi praticabili e utilizzabili ma ci auguriamo che abbiano, soprattutto, lunga durata.

Un anno di pandemia e la sua guerra silenziosa

Ci ritroviamo oggi esattamente come un anno fa: immobili.

Dopo un anno trascorso tra distanziamento, isolamento, paura di essere contagiati e privati di qualsiasi libertà che non sia stata legata all’attività lavorativa di ciascuno, per chi il lavoro lo ha ancora, non vi è nessun cambiamento tangibile e concreto che possa farci pensare ad un cambiamento dello stato di cose attuali, così come lo era ieri.

Restiamo ancora distanziati, ancora privati della nostra libertà individuale, a volte mi chiedo se, quando passerà tutto perché dovrà passare, ci ricorderemo ancora come si decide autonomamente per ciò che sia meglio per noi e se saremo ancora in grado di farlo con la stessa naturalezza di un tempo, quello pre pandemia.

Riusciremo a tornare alla vita e alle nostre attività che all’improvviso ci sono state tolte? Le nostre priorità e i nostri piaceri sono davvero rimasti immutati dopo tutta questa stasi? I nostri valori sociali, il nostro concetto di benessere psicologico è sempre lo stesso o ha subìto dei cambiamenti?

Tutto procede a rilento: i vaccini, i sussidi, le iniziative per poterci risollevare economicamente e la possibilità di potersi incontrare, per vivere una giornata senza dover pensare al distanziamento, senza avere paura di parlare ad una certa distanza, che prima non era altro che una forma di confidenza e di condivisione ma, soprattutto, senza dover avere costantemente lo scorrere del tempo sotto controllo.

Un anno di pandemia: le conseguenze di una guerra silenziosa

La guerra silenziosa del Covid a distanza di un anno

In molti hanno descritto la pandemia e le sue conseguenze come un ritorno alle cose semplici. Un ritorno alla semplicità non è quello di stare chiusi in casa ad impastare pizze o a guardare serie Tv, evitando il resto.

Vivere all’insegna della semplicità significa vivere a cuor leggero, scegliere di trascorrere il proprio tempo con chi si vuole, senza stress. Vivere in modo semplice significa spendere gran parte del proprio tempo lavorando con la certezza che il tempo libero che si ha a disposizione, anche se poco, lo si possa impiegare nel fare qualcosa che ci faccia stare bene davvero e senza compromessi.

Sono ritornati in voga gli sport individuali perché sono gli unici che si possono praticare, per tutelare la nostra salute. Lo sport però è nato come forma aggregativa e sociale. Allo stesso modo sono nate tutte quelle attività culturali e creative che necessitano di collettività, unione, scambio e condivisione.

I nostri sorrisi sono nascosti ancora dietro mascherine che non lasciano trasparire socialità.

Un aspetto, questo, molto importante per il singolo e per la collettività che al momento sembra non interessare nessuno.

Pensiamo per categorie e forse lo abbiamo sempre fatto ma mai per categorie umane. Non c’è ora chi patisce di più e chi meno, non dipende dal tempo che prima abbiamo avuto a disposizione e non dipende soprattutto dall’età biologica di ciascuno.

Non ci sono categorie umane per questa guerra silenziosa se non per avere precedenza per vaccinarsi che, a breve, creerà altre categorie umane per chi potrà decidere di partecipare alla vita perché vaccinato e chi no perché ancora non è arrivato il suo turno.

Questa guerra silenziosa causata dalla pandemia ci tocca tutti allo stesso modo.

Il secondo anno de Il Plurale

Siamo arrivati al secondo anno di vita de Il Plurale. Quest’anno abbiamo deciso di festeggiarlo perché se esistiamo è soprattutto per voi che ci seguite e ci rendete partecipi dei vostri progetti e delle vostre iniziative. Quindi il video in home rappresenta un augurio per tutti voi.

Più che un’autocelebrazione, questo, è un modo per ringraziarvi e per ricordare insieme a noi questo anno che sta per terminare e che non dimenticheremo facilmente.

Il 2020 ci ha cambiati, ci ha limitati ma al tempo stesso ci ha fortificati perché mostrando la nostra fragilità e dovendone fare i conti, prevalentemente con noi stessi, l’unica alternativa possibile a nostra disposizione è stata quella di combattere, ciascuno per come ha potuto.

Questo anno per il mondo della cultura, non è stato un periodo semplice, e il non poter partecipare o organizzare eventi aggregativi ha dato il colpo di grazia all’abbrutimento dell’anima.

La cultura esiste perché è il nutrimento essenziale per l’essere umano e nonostante gli sforzi di qualcuno, che ha deciso di organizzare eventi o incontri online, la cultura si fa dal vivo perché ha bisogno del calore umano e della presenza.

Il 2020 probabilmente ci ha insegnato a non dare nulla per scontato e ad apprezzare la libertà e le piccole cose che nella normalità ci sembravano insignificanti ma che, con il senno di poi, abbiamo compreso essere fondamentali.

Ci siamo resi conto dell’importanza dei piccoli gesti, come gli abbracci che ancora non riusciamo a poter dare liberamente o all’importanza di trascorrere una serata, facendo ciò che più ci piace ma all’aperto e in mezzo alla gente.

Probabilmente ci siamo resi conto che noi non siamo solo macchine produttive per il sistema economico e politico ma anche tanto altro che per la società non conta ma per noi, invece, sì.

Mi sento proprio di scrivere che davvero ciò che più conta è quello che è invisibile agli occhi ed è per questo motivo che nonostante tutto dobbiamo ricordare questo 2020 come un anno che ci ha insegnato molto. Ora tocca a noi decidere se abbiamo appreso e accolto la lezione oppure no.

Un abbraccio virtuale a tutti da Il Plurale!

Covid-19: la paura e l’ignoranza

Il Covid-19 ha cambiato, trasformato e plasmato le nostre vite perché siamo limitati nella nostra libertà e nei rapporti interpersonali. L’ansia di dover combattere con questo virus che non ha un volto a noi percepibile alimenta la paura verso qualcosa che è più forte di noi e non siamo abituati a toccare la nostra inconsistenza e fragilità in questo modo così spietato, crudo e brutale.

Siamo abituati a manipolare il mondo, cambiandolo per come ci può essere più congeniale. Lo abbiamo sempre fatto e continueremo a farlo ma, fino a quando non sarà possibile fare il vaccino, dobbiamo continuare a confrontarci con questa impotenza e fragilità.

La paura non è un sentimento costruttivo quando ci si lascia avvolgere completamente da questo senso di smarrimento ma deve essere accompagnata da pensieri costruttivi e pensanti. La paura, ad esempio, dovrebbe essere uno sprone per cercare di adottare comportamenti responsabili in modo da affrontare più serenamente la nostra vita e il nostro tempo perché inevitabilmente fluiscono e passano. Con questo non dico di vivere la vita con leggerezza, facendo finta che il Covid-19 non esista ma dico semplicemente di sfruttare la paura e trasformarla in qualcosa di positivo.

Covid-19 e la paura

Covid-19 e la paura

La paura non costruttiva aiutata dalla comunicazione, ad esempio, ci sta portando a perpetrare una caccia agli untori come se sapere il nome di un caso positivo possa far sparire il virus o migliorare la situazione attuale. Questo sta innescando un volano deleterio che porta molti ad aver paura di dire che si è stati positivi o che ancora lo si è, ad avere vergogna di uscire nonostante si sia ritornati negativi e ciò non serve a nulla se non ad inasprire ulteriormente questa situazione che è già di per sé infelice.

Tutto ciò che ho appena descritto parte da un’ignoranza di fondo, da una mancanza di empatia e di solidarietà che dovrebbe ricordarci, in un certo qual modo, che nonostante tutto siamo esseri umani che vivono all’interno di uno spazio che si chiama mondo ma anche comunità.

Conoscere l’identità di una persona che è stata positiva non vuol dire che questa persona debba essere messa in isolamento a vita dalla comunità qualora questa esca quando il pericolo è passato. Fare il mormorio e il gossip rurale che tanto piace, in questo caso, è semplicemente stupidità celata da finta curiosità e apprensione.

A chi si sente in colpa nell’aver preso il Covid-19 senza aver vissuto con leggerezza mi sento di dire che non c’è nessuna colpa perché potrebbe accadere a tutti, anche a coloro che credono di essere i più attenti al mondo e che credono di stare sul piedistallo e puntare il dito in queste situazioni.

Questo periodo dovrebbe insegnarci ad essere persone migliori proprio per il fatto che è palese che non siamo altro che una parte infinitesimale di un mondo e di un universo che può molto di più rispetto a noi.

Rispettiamo il distanziamento, stiamo attenti ai nostri cari o chi potrebbe essere più fragile ma restiamo esseri pensanti e soprattutto umani.

Matteo Salvini ad Ariano Irpino: la pseudodemocrazia dei giorni nostri

Prima di addentrarmi nel pieno della questione e dei problemi che si sono palesati oggi mi sembra doveroso e opportuno scrivere e spiegare l’uso proprio di tre parole che spesso usiamo e abusiamo e di cui strumentializzamo il loro significato, dimenticandoci l’originale.

Le parole in questione sono tre: democrazia, libertà di pensiero e manifestazione. Queste elencate, oltre ad essere parole presenti nel nostro vocabolario comune, sono termini che hanno valenza giuridica perché sanciti dalla nostra Costituzione.

Il Principio di democrazia lo troviamo nell’articolo 1 della Costituzione che come molti sapranno serve a stabilire che l’Italia è una Repubblica democratica in cui la sovranità appartiene al popolo. Vivere in uno Stato democratico significa che in un determinato Paese deve essere ed è garantita  l’uguaglianza e dove vengono garantiti i diritti fondamentali e inviolabili dell’uomo. Questi diritti devono essere garantiti al cittadino in quanto singolo e all’interno di manifestazioni sociali, come quelle politiche o di associazioni.

La libertà del cittadino viene sancita sempre all’interno della Costituzione italiana negli articoli 13-54 e precedentemente sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Tra i diritti fondamentali più importanti c’è il diritto alla vita e alla salute, la libertà di pensiero, di parola e di stampa e quella di poter praticare liberamente la propria fede religiosa e politica. La Costituzione prevede dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale che vengono rappresentati in libertà riconosciute  a patto che non si trasformino in egoismo dei più forti a danno dei più deboli.

All’interno dell’articolo 17 e 21 della Costituzione si parla della libertà di pensiero e della libertà e del diritto di poter manifestare.

L’articolo 17 della Costituzione afferma:

I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi.

Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.

Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.

L’articolo 21 invece stabilisce:

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Detto e stabilito questo, non da me ma dalla nostra Costituzione, andiamo ad analizzare l’episodio di oggi.

Partendo dal presupposto che ci troviamo in Irpinia che tra i diversi problemi “vanta” quello dello spopolamento. Stamattina in previsione dell’arrivo di Matteo Salvini sono stati chiusi alcuni accessi pubblici e limitata di conseguenza la viabilità cittadina probabilmente per la paura che potesse svolgersi un’insurrezione popolare con quattro anime presenti (circa 200) o che volassero pomodori come è successo a Torre del Greco dove il leader leghista è stato costretto a risalire in auto e annullare il comizio.

Altro elemento sconcertante e surreale è stata la presenza della Polizia di Stato in numero proporzionale maggiore rispetto ai presenti.

Vi mostriamo una foto di stamattina, scattata da un manifestante, per farvi comprendere visivamente lo stato delle cose che si sono verificate. Questa puntualizzazione non significa che la presenza delle Forze dell’Ordine non doveva esserci a tutela dell’ordine pubblico in primis  ma sembra un’esagerazione che purtroppo a mio avviso è la conseguenza della pseudodemocrazia dei nostri giorni.

La copiosa presenza della Polizia stamattina ad Ariano Irpino per l'arrivo di Matteo Salvini

Manifestantri contro Salvini in netta minoranza rispetto alla Celere presente

Mi spiego meglio, partendo dal presupposto che la violenza umana che sia fisica o verbale non trova giustificazione dal mio punto di vista e soprattutto non la inglobo in un colore politico specifico o ideologia specifica. Dunque che comportamenti poco tolleranti possano sfociare in altro richiede la presenza di chi ha le competenze per poter gestire eventuali disordini è d’obbligo.

Detto ciò da qui a schierarsi impedendo un movimento di manifestazione mobile lo trovo vergognoso, ridicolo ed esagerato tanto è vero che non si è creato alcun disordine e non sono volati né pomodori  né si sono verificati episodi spiacevoli.

La città del Tricolle bloccata per l'arrivo di matteo Salvini

Paura del premier leghista dopo l’episodi a Torre del Greco

Mi sembra doveroso fare un’altra precisazione il diritto di manifestare non implica e non deve contenere in sé la voglia di tappare la bocca all’altro perché diventa un atteggiamento antidemocratico, qualora lo scendere in piazza porti con sé questo intento.

Manifestare significa palesare un dissenso, un diverso pensiero e non limitare la parola altrui. Nelle manifestazioni ci siamo sempre trovati di fronte e a chi era a favore di determinate ideologie e a chi era contro ma è normale e giusto che sia così.

La pseudodemocrazia di oggi sembra aver perso di vista il limite esistente per legge tra la propria libertà e quella altrui e la presunzione di avere ragione ha preso il posto del confronto critico che non include assenso e necessariamente condivisione.

Matteo Salvini rappresenta la pseudodemocrazia e ci mostra uno spaccato sociale di come siamo, a prescindere da questo singolo evento. Siamo disabituati al confronto, disabituati al ragionamento costruttivo, nichilisti socialmente e ideologicamente, troppo presi dal nostro mondo virtuale e quando ci scontriamo con la realtà reale diventiamo disadattati sociali.

Questo è quello che è accaduto oggi al leader leghista.

Troppo preso Matteo Salvini dalla sua propaganda social si ritrova ad avere difficoltà nel confrontarsi e relazionarsi con chi la pensa in modo diverso dal suo. Il leader leghista per poter fare il politico e non il politicante social dovrebbe confrontarsi anche e, soprattutto, con chi la pensa diversamente.

Accettare e mostrare ai suoi seguaci che non riceve solo consensi invece di bloccare forme di espressioni sociali che sono diritti inalienabili sarebbe un grande atto di normalità perché  le informazioni politiche e i dissensi occultati palesano poca professionalità e serietà.

Un politico che si rispetti dovrebbe tenere in maggior considerazione chi non è d’accordo col proprio pensiero perché potrebbe e rappresenta uno sprone per capire quali sono le reali necessità di un popolo e magari creare più consensi e non popolarità social come fanno le influencer.

Altro aspetto non meno importante è l’importanza del gesto del manifestare che deve essere tramandato di generazione in generazione come lo è stato per noi e come è stato fatto con noi.

La nuova generazione deve comprendere e avere la libertà e la possibilità di manifestare in strada e non scrivendo un commento o lasciando una emoticon sui social.

Impressioni da Covid-19

Sicuramente non dimenticheremo più questo periodo legato al quasi inizio del 2020. Le speranze in progress, per il nuovo anno, non hanno avuto neanche il tempo di prendere una forma nella nostra mente, che si sono trasformate in speranze di ritornare alla vita che abbiamo lasciato con disprezzo, sentimento con cui si saluta ogni anno che trascorre.

Abbiamo assaporato e scoperto il vero significato che ha la parola noia, siamo stati costretti a fermarci eppure, spesso, auspicavamo una stasi, per avere del tempo per noi. È accaduto ma non era come ce lo aspettavamo.

Probabilmente da questi mesi trascorsi come un unico giorno infinito abbiamo compreso il reale significato che ha la parola libertà, abusata e mai vissuta pienamente. E forse inizieremo a concepirla e a viverla nel modo in cui avremmo dovuto fare già prima.

Abbiamo scoperto che la libertà, un diritto che democraticamente abbiamo sempre assorbito come un diritto inalienabile, in fondo, così scontato non è. Siamo liberi ma questo privilegio ci può essere tolto, per cause di forza maggiore e trasformarci da esseri indipendenti a soldatini che non hanno più possibilità di scelta.

Questa parantesi non è una critica alle imposizioni cui abbiamo dovuto sottostare e a cui sottostiamo ma è uno spunto di riflessione che, forse, dovrebbe renderci più consapevoli di ciò che siamo e di ciò che rappresentiamo. Queste parole non sono spinte dalla speranza di poter diventare migliori ma dalla speranza di prendere coscienza e consapevolezza, per poter vivere ogni giorno apprezzando tutto ciò che prima davamo per scontato.

Abbiamo vissuto con la paura del contagio e questa paura non è terminata e non diminuirà con la fase 2. Abbiamo vissuto con l’angoscia di poter contrarre il virus, questo essere invisibile che si insinua silenziosamente con il suo tempo di incubazione e che, nella peggiore delle ipotesi, ci avrebbe potuto portare e potrebbe portarci alla morte o a quella dei nostri cari. Nella migliore delle ipotesi, controllando uscite, gesti e utilizzando tutte le precauzioni possiamo evitarlo, ritendendoci dei graziati in virtù di fattori che, tutt’oggi, sono diversi, ipotizzabili e variabili.

Abbiamo scoperto l’introspezione e l’obbligo di fare i conti con ciò che siamo realmente, confrontandoci direttamente con noi stessi. Per quante siano state le distrazioni offerte dal web, dalle video call con gli amici e dai mille palliativi e strategie che abbiamo adottato per far trascorrere più velocemente il tempo, queste ore non passavano mai e ci riportavano sempre a doverci guardare dentro o a pensare a quello che siamo stati, che siamo e che vorremmo diventare in futuro.

Ci siamo abituati allo scorrere del tempo lento e monotono, rassegnandoci.

Abbiamo scoperto la paura e la diffidenza fisica mentre prima era solo morale, metafisica e universalmente valida, ma mai palese, per ciascun individuo.

Il Covid-19 ci ha reso migliori? Non credo. Sono convinta che il virus ci ha resi più umani nel senso di fragili, precari, instabili e più egoisti. Potremmo diventare migliori? Forse per chi è predisposto alla trascendenza sì, ma credo che rappresenti una piccola parte.

Probabilmente questo virus ci ha temprati attraverso la costrizione, l’obbligo e la stasi ma la forza mentale da sola non basta per essere migliori. Probabilmente ci riscopriremo più umani con le persone che già prima di questa pandemia avevano un alto valore affettivo per noi, predisposizione che, sicuramente, non riserveremo ad altri sconosciuti anche perché per ora non è pensabile stringere tutti i propri cari, figuriamoci chi ancora non conosciamo.

Il Covid-19 ci ha insegnato il senso profondo che ha un vero abbraccio e un sorriso che, per ora, sarà nascosto da una mascherina che rappresenterà la nostra umanità vista solo a metà perché la totalità non si vede e non sappiamo quando la si potrà vedere.

Mi auguro vivamente che tutti impariamo a vivere più di sostanza che di apparenza.

Un anno de Il Plurale

È trascorso un anno dalla nascita de Il Plurale…

12 mesi che possono considerarsi relativamente pochi ma che sono stati ricchi di eventi, cambiamenti, scontri, uscite, entrate e molto altro.

Ciascuna situazione verificatasi in positivo o in negativo ci ha portati ad essere ciò che siamo ora e ad arricchirci, per poterci migliorare domani. Questo editoriale non vuole essere un’autocelebrazione o tantomeno un decalogo dei propositi per questo nuovo anno ma vuole essere semplicemente un bilancio di ciò che siamo oggi e di ciò che abbiamo scoperto in Irpinia, entrando in contatto con diverse realtà.

Il Plurale quando è nato voleva essere una web tv irpina con un focus incentrato prevalentemente sulla politica. Lavorando e visitando vari luoghi ci siamo resi conto che non è questo il cuore pulsante delle nostre zone, anzi in alcuni casi è la parte più incancrenita che, spesso, copre ciò che dona luce o ha il potenziale della luminosità nella nostra realtà rurale. Un esempio potrebbe essere rappresentato da quello che è successo in un paese irpino, in cui un evento culturale si è trasformato in un modo basso per prendere, probabilmente, dei fondi che non sono stati utilizzati per ciò per cui erano stati elargiti.

Ho partecipato ad eventi culturali in cui si confondeva il termine femminicidio scambiandolo con quello di femminismo e dove l’essenza ed il significato delle parole utilizzate prendeva la strada della perdita cosmica del significante. Ho partecipato ad alcuni eventi enologici creati per valorizzare un nostro punto di forza economica, in cui non erano presenti esperti del settore, come in altri casi in cui c’era spessore e competenza riguardo questa tematica.

Insomma, durante questo breve anno, ho visto un’ampia carrellata di umanità sconnessa e connessa, è dipeso dai casi.

Ho scoperto un’ Irpinia composta da persone che si discostano dal classico disfattismo irpino, sono poche ma ci sono; sono persone che amano la propria terra e cercano di renderla migliore, creando situazioni culturali ed eventi aggregativi che però ancora non trovano il giusto merito all’interno della nostra comunità perché è più facile lamentarsi e dire che non abbiamo nulla invece di cercare e di scoprire che ci sono iniziative, poco più lontane dal nostro naso, che ricordano quelle delle grandi città.

Durante quest’anno ho sentito parlare molti politici, candidati alle Amministrative, che sfoderavano come uno stendardo la mancanza di cultura in Irpinia e la voglia di diffonderla, dando spazio ai giovani.

Cosa ho visto?

Ho visto persone che hanno organizzato eventi culturali, mi riferisco in modo particolare alla 44esima edizione del Laceno D’oro, una rassegna cinematografica su corti e lungometraggi indipendenti del panorama nazionale ed internazionale, organizzata da persone giovani e meno giovani, che hanno voglia non solo di condividere la loro passione per il cinema ma anche di trasferirla agli altri. Durante questa settimana di full immersion, di quei politici che tanto parlavano sul palco della diffusione della cultura nelle nostre zone, non ho visto nemmeno un’apparizione fugace o un invito alla cittadinanza a partecipare all’evento, per giunta gratuito.

Ho visto la non partecipazione di figure politiche, mi riferisco al semplice sostegno che si può dare attraverso la partecipazione, ad eventi come quello ad Atripalda dell’Abellinum Pride, che, a differenza di come credono in molti, non è una carnevalata della stranezza ma un voler vedere riconosciuti i diritti umani. Questo invito a pensare lo si crea attraverso una festa che inneggia all’unione, a prescindere dal proprio orientamento sessuale o politico.

Ho scoperto che in Irpinia il termine di aggregazione viene abusato nei discorsi e contemporaneamente ne viene privato del suo significato nella pratica.

Ho scoperto però che esiste un’Irpinia che resiste davanti a questo nichilismo, mascherato da finta propositività; ho scoperto spazi creati da persone che davvero hanno voglia di fare rete. Un esempio potrebbe essere l’ambiente del poetry slam irpino o ancora le Guide Percettive di Vittorio Zollo e Toi Giordani, due poeti: uno irpino e l’altro bolognese che fanno ben sperare nella non morte culturale delle nostre zone e palesano la forza e la speranza nel cambiamento.

Ho scoperto la voglia di educare i più piccoli con un approccio moderno, diverso da quello della ludoteca o dei giochi gonfiabili presenti nelle feste di paese, partecipando ad un laboratorio per bambini su Andy Warhol organizzato da Zigarte. Potrei continuare a fare esempi ma sarebbe troppo dispersivo.

Cosa c’entra Il Plurale con tutta questa carrellata di esempi?

Ciò che ho mostrato fino ad ora dovrebbe servire come manifesto delle nostre intenzioni, per spiegare perché ci interessiamo ad un evento minore rispetto ad un altro più popolare e del perché potreste, spesso, imbattervi in argomentazioni come quella del poliamore invece del video virale del “soggetto di paese di turno” o del perché scriviamo la recensione di Se c’è un aldilà sono fottuto piuttosto che dell’ultimo film di Zalone.

Il nostro intento è quello di portare alla luce ciò che potrebbe brillare per contenuti e capacità ma che non ha la forza sufficiente per farlo. Il Plurale vorrebbe essere un luogo in cui non si scrive di banalità o argomentazioni scontate, poi sicuramente ne avremmo anche scritto e continueremo a farlo perché ciascuno ha il proprio metro per reputare ciò che è interessante e ciò che lo è meno, sono semplicemente punti vista.

Il Plurale vuole essere un luogo virtuale, composto da persone reali che amano il confronto e la scoperta di novità, in cui tutti quelli che credono in un progetto e che arrivano a concretizzarlo possono avere uno spazio per poterne parlare e per diffonderlo al resto della comunità.

Il nostro intento è quello di creare uno spazio in cui è possibile fare rete, in cui è possibile aggregarsi e in cui è possibile lasciarsi stupire.

Tatarella, Caldoro e il centrodestra in Campania

Il centrodestra in Campania è alla ricerca di una guida che, in tempi non certo facili, dovrebbe provare a tenere unite le varie anime della coalizione per condurle fuori dalla minorità. Al centrodestra campano, insomma, serve un uomo, un politico, che si rifaccia all’insegnamento di Pinuccio Tatarella: il politico che negli anni ’90 riuscì a unire il 65% degli elettori italiani dichiaratamente non di sinistra, l’uomo che in Campania spianò la strada a Stefano Caldoro, cucendogli addosso la coalizione di centrodestra.

Molto presente a Napoli negli anni di “Mani pulite” e animatore instancabile del “Roma”, che rilevò da Achille Lauro per associarlo all’attività politica di Alleanza Nazionale, Tatarella pensava di andarsi a riprendere i voti in libera uscita del mondo socialista e per questo chiamò il giovane Stefano Caldoro.

Come ci riportano le cronache del Tempo, fu proprio nella sede napoletana del quotidiano, in via Chiatamone 7, che Tatarella e Caldoro si incontrarono per la prima volta:

Faceva già caldo quella mattina alle sette. Stefano Caldoro arrivò un po’ furtivamente in via Chiatamone 7, a Napoli e citofonò all’appartamento dove riservatamente si stava mettendo su, nell’agosto del 1996, la redazione del Roma.

«Chi è?», gli chiese una voce. «Sono Stefano Caldoro, ho un appuntamento con Italo Bocchino».

Il portone si aprì e arrivando all’ingresso di quella casa, l’ex deputato socialista non fece in tempo nemmeno a suonare al campanello che gli si spalancò la porta.

Gli apparve Pinuccio Tatarella che gli disse: «Prego, s’accomodi. L’onorevole Bocchino sta ancora dormendo. Io sono l’uomo delle pulizie».

Fu quello il primo passo. Il centrodestra era uscito sconfitto dalle urne e l’era dell’Ulivo e di Romano Prodi erano al massimo dello splendore. Tatarella si mise in testa di rifare la coalizione. Lanciò il partito unico e pensò di fare al contrario l’operazione che aveva provato Bettino Craxi: il primo sdoganamento della destra con il socialismo tricolore.

Partendo da un partito minoritario e anti-sistema come il Movimento Sociale Italiano (Msi), Tatarella inventò il Polo di Centrodestra e lo rese maggioritario in Italia. E poi, subito dopo, andando oltre il Polo, riuscì a recuperare tutti quei moderati che erano al confine tra centrodestra e centrosinistra per costruire la Casa degli Italiani, il Popolo delle Libertà.

Nel 1999, Pinuccio Tatarella lanciò la candidatura del giovane Stefano Caldoro alla presidenza della Provincia di Napoli ponendo le basi per la successiva e vittoriosa cavalcata del centrodestra in Campania alle Regionali del 2010. Il resto è storia contemporanea.

Franza, il sindaco ombra e l’appello della segretaria

“Segretaria, faccia l’appello”. Con la minaccia di far cadere l’Amministrazione comunale, un disperato Domenico Gambacorta solo qualche settimana fa tentava di convincere il sindaco Enrico Franza a concedergli una pausa dei lavori per l’elezione a presidente di Pasquale Puorro.

Dopo il due di picche di Franza alle richieste dell’ex sindaco, la fuga dei gambacortiani dal primo Consiglio comunale e l’elezione nella successiva seduta di Giovannantonio Puopolo, di Gambacorta si erano perse le tracce. Un silenzio preoccupante vista l’abilità di un politico dal lungo corso non abituato a restare nell’angolo a lungo.

E, infatti, mentre si negava alla stampa, Domenico Gambacorta lavorava sottotraccia. Ed eccolo che oggi riacquista la parola con una nota in cui ringrazia la Conferenza dei Capigruppo e il Presidente del Consiglio, Giovanni Puopolo, per aver accolto la sua proposta di discutere, nella seduta del Consiglio Comunale del 31 luglio, del progetto definitivo del secondo lotto Hirpinia Orsara.

Con tali dichiarazioni, il capogruppo di minoranza legittima di fatto il neosindaco e il presidente del Consiglio e fa partire ufficialmente i lavori consiliari su “una posizione condivisa e accolta da tutti”.

Cos’è successo in questi giorni?

Caduta l’ipotesi, in un primo momento accarezzata, di far cadere il Consiglio comunale, forte di una residua maggioranza consiliare, Gambacorta ha rispolverato la memoria e ricordato i tempi in cui giovanissimo entrava per la prima volta in Consiglio comunale. Un ritorno alle origini, a quando i sindaci non uscivano dalle urne ma venivano indicati dai consiglieri eletti.

Gambacorta, quindi, riconquista la scena e detta l’agenda amministrativa al sindaco Franza, riguadagnando così il ruolo di capogruppo consiliare “di maggioranza”.

A rinforzare la sua posizione di “sindaco ombra” è la conferma da parte del neosindaco Franza della segretaria comunale Concettina Romano, nominata nel 2016 dallo stesso Gambacorta.

E qui rientra in gioco la riforma Bassanini che ha il merito o demerito, dipende dai punti di vista, di aver reso gli incarichi dirigenziali, in questo caso quello del segretario comunale, revocabili a discrezione del sindaco, indebolendo quindi l’imparzialità procedurale della burocrazia negli enti locali e favorendone la fidelizzazione politica.

Ora resta solo da capire come la segretaria Romano, nominata a svolgere il proprio ruolo sia dal capo della maggioranza che da quello della minoranza, riuscirà a garantirsi la posizione, non pestando i piedi a nessuno dei due sindaci e contribuendo a far andare avanti nel migliore dei modi la consiliatura nata zoppa.

Gino Cusano è la memoria storica di Ariano

“Gino Cusano, la Lega, non ha mai, e voglio sottolineare la parola mai, pensato di allearsi con il Partito Democratico. Però Gino Cusano, che è il rappresentante della Lega, nella tornata del ballottaggio ha deciso di utilizzare un percorso”.

Parte così l’appassionato intervento di Gino Cusano in Consiglio comunale per replicare agli attacchi di Giovanni La Vita, espressione del Pd, che puntava a fare emergere le contraddizioni interne alla Giunta del sindaco Franza, avallata anche dal Carroccio.

Gino Cusano conosce molto bene la storia di Ariano e ricorda a tutti che solo qualche anno fa i dirigenti di Forza Italia (il suo sguardo è rivolto a Domenico Gambarcorta, vice segretario regionale di Forza Italia) proposero la candidatura a sindaco di Gaetano Bevere (all’epoca segretario del Pd sul Tricolle).

L’intervento di Cusano mette in imbarazzo più di un consigliere del Pd e di Forza Italia, espressioni di un patto del Nazareno che qui in Irpinia è ancora d’attualità.

“È la prima volta – continua Cusano- ed io faccio politica da oltre venti anni, che sento parlare di affetto per le questioni ideologiche in Consiglio comunale”.

Ed ha ragione Gino perché i consiglieri comunali li eleggono i cittadini, non i dirigenti di partito. Il voto nei Comuni, anche in quelli medio-grandi come Ariano, è un voto dato alla persona non al partito. Le elezioni amministrative o, meglio, civiche, non possono essere paragonate a quelle nazionali o regionali. Le amministrative premiano non il partito ma le singole persone candidate in questa o quella lista; non il programma e l’ideale alto di questa o quella coalizione, ma il radicamento e la popolarità del singolo candidato.

E Gino ad Ariano Irpino è popolare ed amato. Ed è giusta, quindi, partendo da queste dovute premesse, anche l’autonomia rivendicata da Cusano nella sua azione amministrativa.

“Io -conclude il buon Gino- sono di centrodestra. Ho preso l’impegno di formare questo governo e lo porto fino in fondo. Io ho preso un impegno anche con la Lega e lo rispetto, ma prima della Lega viene il popolo, viene Ariano”.

Bravo Gino, bene Ariano. Tutto il resto sta tra il castello in aria e l’agitazione per l’agitazione, destinata se mai ad accrescere, a breve e lunga scadenza, le frustrazioni degli sconfitti.

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