Dagli attacchi terroristici dell’11 settembre al Covid-19, crisi di enorme portata hanno spinto i governi degli Stati liberal-democratici a impiegare misure d’emergenza che hanno comportato una forte restrizione dei diritti e delle libertà fondamentali.
L’ipotesi avanzata da più parti è che si tratti di un processo degenerativo: l’ininterrotta serie di emergenze sta determinando uno stato di eccezione permanente, che rischia di trasformare le democrazie costituzionali in regimi illiberali con l’inconsapevole connivenza dei cittadini. Dietro tale ipotesi incombe l’ombra inquietante di Carl Schmitt, secondo cui l’essenza del potere politico risiede nell’uso spregiudicato delle misure emergenziali.
Questo libro, unendo analisi storica e interpretazione filosofica, rigetta tale ipotesi e mostra come non sia di alcun aiuto per individuare risposte adeguate alle grandi sfide che minacciano oggi la tenuta democratica degli Stati liberali.
Mariano Croce e Andrea Salvatore insegnano Filosofia Politica presso Sapienza Università di Roma. Da anni sono impegnati in un lavoro di reinterpretazione dell’opera di Carl Schmitt, culminato, tra le altre cose, in The Legal Theory of Carl Schmitt (Routledge, 2013), L’indecisionista. Carl Schmitt oltre l’eccezione (Quodlibet, 2020) e Carl Schmitt’s Institutional Theory. The Political Power of Normality (Cambridge University Press, 2022).
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Eleonora (non) ha voce di Lucia Callisto
Eleonora (non) ha voce è il primo testo teatrale di Lucia Callisto rivolto ad un pubblico adulto.
L’opera nasce dall’esigenza di ridare voce al mondo del teatro, alla sua funzione pedagogica, ma anche di denuncia di problematiche attuali, e ciò avviene attraverso la figura di colei che è stata considerata l’essenza stessa del teatro mondiale, la divina Eleonora Duse.
È un testo nato durante il periodo del lockdown, cioè nel periodo in cui il teatro si è trovato a subire un duro colpo per l’allontanamento forzato e ineludibile del suo pubblico affezionato.
Ed ecco che, nel buio della pandemia, si è prospettata una nuova strada da percorrere: scrivere un testo teatrale dando voce a tanti personaggi. Il mondo segreto del dietro le quinte, con le sue dinamiche di rapporti complessi, nell’opera di Lucia Callisto si presenta senza pudori, con un perfetto senso dell’umorismo, con l’autenticità delle cadenze dialettali, ma anche con atmosfere surreali, sospese nel tempo.
Il ritmo dell’opera suggerisce una messa in scena piena di fantasia, unita al dinamismo dei cambi, che non possono non catturare uno spettatore che ama il teatro, che aspetta di tornare a gustarlo liberamente. Nell’opera si muovono dei personaggi apparentemente stereotipati, eppure consapevoli dell’idea che di sé trasmettono agli altri. Un vulcano prossimo all’eruzione, come un terribile monito, si erge minaccioso sulla scena e, con i suoi anelli di fumo, sembra voler suggerire che è arrivato il tempo per ognuno di lanciare, ora e più forte che mai, il proprio grido d’aiuto. Per qualcuno, purtroppo, questa si rivelerà l’ultima occasione per poterlo fare. In un clima di crescente inquietudine, gli attori Gennaro, Amalia e Imma calano le proprie maschere, svelando insicurezze nascoste e dolori da sempre taciuti.
GENNARO: So’ rimasto sulo, nun tengo cchiù a nisciuno. No, tengo a Lia, si me vole. Se sta facenne juorn. Devo lasciare tutto questo, tutta ‘a vita mia, ‘a raggia d’o vulcano arriva pure ccà fra poco, e mò veramente non teniamo più tempo. Me ne voglio ì vestuto da Pulicinella (si mette la maschera). C’aspettavamo che ‘a fine veneva da’ montagna e invece è arrivata dalla vita di ogni giorno…’A vita nun perdona! È peggio do vulcano! Da ‘a ciorta, da ‘o destino nun te può salvà! Menomale che ce sta ‘o teatro!
AMALIA: Stai al tuo posto! Qual è dunque il mio posto? Questo mi chiedo e ancora cerco… È ancora il posto a cui da secoli sono condannata? Quello che hanno deciso i miei padri per me? Dove vogliono che rimanga inchiodata per sempre? Ho ali forti ma ancora inesperte e quando cerco di volteggiare tra le nuvole più alte, cado rovinosamente come Icaro. Icaro… Suo padre Dedalo… Figure maschili a cui le mie labbra sono avvezze, alle loro imprese, magnifiche, potenti, secolari… Ed io? Io sempre giù, e guai anche solo guardare in alto! Stai al tuo posto!”.
IMMA: Non dovresti essere donna! Se fossi un uomo, già sarebbe un vantaggio! Ma secondo te, le donne che si atteggiano, che si pavoneggiano e che ancheggiano così (fa i movimenti) in modo discinto, che so’? Pensano di essere libere, ma in realtà so’ quelle che più si adeguano al sistema di pensiero dominante, che è quello vostro, quello maschile, ovviamente. Se questa è libertà! Me pare più l’accettazione di una schiavitù!
Lucia Callisto: biografia
Lucia Callisto è nata a Benevento nel 1969.
Ha frequentato l’università a Firenze, laureandosi in Lingua e Letteratura russa. Insegna in una scuola primaria di Prato, città in cui vive con suo marito e i suoi due figli, Alessandro e Claudia. La sua passione più grande è il teatro. Da più di vent’anni fa parte del Centro di Teatro Internazionale, una compagnia teatrale di Firenze, guidata dalla regista Olga Melnik.
Le varie esperienze in teatro l’hanno spinta ad allestire molti spettacoli per i bambini delle sue classi, cimentandosi nella scrittura o nel riadattamento dei copioni.
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Il bikini di Sylvia Plath è il romanzo d’esordio di Giada Biaggi
Eva è una brillante dottoranda in Filosofia dell’arte, studia la performance femminista, detesta il “patriarcato negazionista” che si annida dietro i manierismi della “Dandy-Accademia” e dell’intellighenzia mondana, frequenta la fauna delle Fondazioni che fanno tendenza con la loro coda di after-party e anglismi d’ordinanza, vive a Milano in un monolocale soppalcato che costa più del dovuto, legge Sylvia Plath mentre segue compulsivamente gli account social di Claudia Schiffer.
La nostra era una società in cui i momenti non accadevano più in sé e per sé ma erano condannati a diventare rettangoli istantanei di contemporaneità condivisa, meglio se in movimento, con degli effetti speciali e una descrizione accattivante che li rendesse mercificabili nell’immediato. Una società che hackerava i concetti di tempo, memoria e apparenza con più furia intellettuale e certo più confusione di quanto non avesse fatto
l’ultimo secolo di filosofia francese e tedesca. Una società che aveva secolarizzato il proselitismo convertendolo in algoritmi per conquistare follower. Una società che aveva reso il drappeggio bagnato delle statue un orpello inutile, lasciandoci nude e nudi davanti al presente.Impelagata in un’ossessiva relazione di sexting su Instagram, in una tesi di dottorato da concludere con un professore-seduttore e nello straniamento sintetico del diluvio digitale, Eva arriva a dividersi tra cocaina, masturbazione, le sleep stories dell’app Calm e gustosi dialoghi fantasmatici con Freud, Woody Allen e David Foster Wallace.
Il tutto fra le ingerenze più o meno confessabili di un ingombrante padre accademico e una trafila di amori tossici per diversi maschi manipolatori, che dispensano sapientemente mansplaining per diradare le nebbie della “complessità femminile”.
Su un lettino insieme a Mick Jagger, avevamo tutti e due la flebo nel braccio e stavamo facendo la pulizia del sangue.
Mick mi diceva che assomigliavo un po’ a sua figlia Georgia e mi raccontava di quando nello Hampshire aveva acquistato sotto l’effetto dell’LSD un’antica e lussuosa dimora di campagna dell’Ottocento perché credeva di essere un cavaliere.
Mi sembrava davvero contento di ripulirsi il sangue insieme a me. Ma stava per scoccare la mezzanotte.
Potevo farmi di nuovo e poi scrivere a Ludovico.In un mix di comicità e disperazione, sotto l’egida del sorriso di plastica della suicida Marilyn appeso sul water, le esperienze e i pensieri di Eva si tingono di nero e colori acidi, diventando sempre più allucinatori. Fino a tornare, con nuova luce, sui versi di Sylvia Plath, e sciogliere il nodo del loro segreto.
Giada Biaggi: biografia
Giada Biaggi (1991) è una sceneggiatrice, stand-up comedian e autrice di podcast. Laureata in Filosofia, ha collaborato con varie testate, tra cui Cosmopolitan, D – la Repubblica, Elle, Marie Claire. Il suo podcast Philosophy & the City, che attraverso un confronto ironico con la filosofia affronta le tematiche più rilevanti del dibattito contemporaneo, ha scalato le classifiche di Spotify. Cura una newsletter molto seguita, Daddy Issue. Il bikini di Sylvia Plath è il suo primo romanzo.
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Fabrizio De André e PFM: gli amici fragili ritrovati in un concerto filmato
Esiste una linea sottilissima tra autori, cantautori e musica rock.
Probabilmente tutto è cominciato con la breve ma efficace diffusione della musica cosiddetta progressiva, che in Italia ebbe il suo boom nel 1971, una sorta di musica colta e classica mischiata con la cultura del rock; una miscellanea di idee moderne che si fondono negli studi classici.
Poi esiste la scrittura, anche, e tale disciplina rende benissimo sé stessa se sommata ad una storia da narrare, ancor meglio se quest’ultima si rifà ad una qualsiasi vicenda che è di “uso comune”, una narrazione in cui ci si rispecchia e ci si confronta, da cui attrae l’idea che un giorno essa possa ritornare in mente e farci crescere in esperienza.
È doveroso ricordare Lucio Battisti, che proprio nel periodo poc’anzi espresso, rielaborò subito il concetto di musicista ed interprete, e fuse la musica ragionata e costruita con la canzonetta pop, insieme ad una costante matrice sessuale ma non certo sessista, in cui si ribaltano le regole autoelette degli ascoltatori di facili entropie e disattenti ai cambi di rotta.
Il dimenticatissimo Ivan Graziani inizia la sua avventura definitiva intorno alla seconda metà degli anni Settanta: questo musicista può definirsi come caposaldo della musica italiana d’autore, concentrata in un contesto rock, in cui la visione unilaterale della conseguente ascesa di una corrente diffusa (allora) da oltre venticinque anni abbraccia la scrittura intesa come storia da narrare e non in quanto sdolcinata coesione di parole facilmente abbordabili, abbracciate ad una scarsa voglia di sapere. Con una certa probabilità sarà un giovane di Zocca, Vasco Rossi, alla fine di quel decennio, a decretare la definitiva unione dell’importanza della scrittura, presentandosi come un cantautore che non esclude la funzionalità e l’immediatezza del rock come materia d’intesa semplice colorata da una giusta dose divulgazione del verbo.
La storia che sto per raccontarvi inizia infatti proprio nel 1979, e precisamente il 3 gennaio, quando tutto ciò di cui abbiamo parlato finora ha un principio storico, cominciato in verità già dall’anno precedente, dove s’incontrano la musica d’autore con la matrice rock, addirittura progressiva.
Fabrizio De André incontra la Premiata Forneria Marconi sia in un tour che abbraccia il biennio ’78-’79, che nei dischi che ne scaturirono, ossia “Fabrizio De André in concerto / Arrangiamenti PFM” e “Fabrizio De André in concerto / Arrangiamenti PFM vol. 2”, e fu la prima volta che un cantautore affrontò un percorso formativo con una band rock. Altra curiosità: questi due dischi sono in realtà la prima testimonianza di un Fabrizio De Andrè ripreso dal vivo e riportato in un formato album per la prima volta.
Una curiosità arriva inoltre in questi giorni, e riguarda questa storia, perché finora soltanto immaginata. La vicenda unisce la quasi leggenda di più di quarant’anni fa con l’odierna ed incredibile riuscita di un film che ripercorre quel periodo con delle immagini inedite del concerto del 3 gennaio nel Padiglione C della Fiera di Genova, per un’esperienza che unisce i palati fini con i ribelli di ieri e di oggi.
Il risultato è Fabrizio De Andrè e PFM – Il concerto ritrovato, docufilm diretto da Walter Veltroni, che unito ai racconti della band di Franz Di Cioccio, insieme a Dori Ghezzi, arricchisce passo per passo la frenesia che lega le due realtà considerate allora troppo contrapposte.
Si narra che nel 1978 Fabrizio De Andrè si fece accompagnare a Nuoro da un pastore per veder dal vivo la Pfm, band italiana progressiva appena rientrata da un tour americano pieno di conquiste.
La band conosceva ovviamente Faber e gli propose un’idea originale e a dir poco funambolesca per l’epoca: addizionare la scrittura poetica con la musica rock per un esperimento senza precedenti.
Fabrizio De Andrè, che dal 1975 ha finalmente accettato di esibirsi dal vivo, dopo innumerevoli esortazioni del pubblico e dei manager, continua a provare una certa timidezza nei concerti. Dori Ghezzi avrebbe sostenuto che avendo le idee troppo chiare, era costretto a “stordirsi” per riordinare la mente.
La certezza che la forte musica di una rock band avrebbe potuto coprire l’importanza delle parole lo convince: sarà proprio questa ostinazione in contrasto con tutto che gli farà prendere una decisione.
Nessuno ci credeva e tutti, manager e funzionari compresi, si convinsero che sarebbe stato un disastro totale, mentre il timido cantautore genovese accettò la temeraria sfida e iniziò l’avventura: i concerti iniziavano sempre con un’introduzione strumentale della Pfm (spesso un paio di brani) ed una schiera del pubblico applaudiva; poi Fabrizio De André iniziava con uno dei suoi più grandi successi (es. Bocca di Rosa) ed un’altra fazione si risvegliava dal frastuono dei feedback di chitarra elettrica, ed apprezzava con urla festanti.
Fu l’unione definitiva di due culture che si unirono e misero la parola fine ad un’epoca di confronti.
La cassetta è stata conservata per quarant’anni da Piero Frattari, documentarista, fatalmente ossessionato per tutto ciò che può e potrà essere importante, il quale si trovava quella sera del 3 gennaio a Genova e riprese tutto. Grazie all’esortazione di Franz Di Cioccio, Franco Mussida e soci, che credevano che non esistesse nulla di visivo che avrebbe potuto testimoniare la magia di quei giorni, ora quel documento visivo è rinato a nuova vita.
Fabrizio De André e PFM – Il concerto ritrovato arriva nelle sale cinematografiche Nexo Digital, per sole tre date in febbraio: il 17, il 18 (giorno dell’ottantesimo compleanno di “Faber”) e il 19.
Oggi, più di allora, quando si temeva la ribalta della disco music da un lato e del punk dall’altro, un documento simile ha la forza di sommare l’intensità dei suoni costruiti e ragionati insieme all’importanza della poesia, che Orazio riteneva la più somma testimonianza dell’esistenza di un autore, attraverso cui potrà sempre autoproclamarsi come immortale.
Carmine Maffei
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