Presso la biblioteca del Conservatorio di Avellino proseguono gli incontri del progetto «Parole di musica – Novità editoriali nel mondo musicale e musicologico» che fino al 21 maggio si terranno al Cimarosa.
La rassegna, organizzata dal Dipartimento di Musicologia, è un progetto di ampio respiro, aperto a tutta la città, che prevede otto incontri con autori che, introdotti da docenti del Conservatorio, discuteranno con loro e con il pubblico sui temi trattati nei loro libri.
L’incontro di oggi era incentrato sul volume di Francesco Cotticelli, professore ordinario di filologia presso l’Università dei studi di Napoli, Filologia, Teatro, Spettacolo. Dai Greci alla contemporaneità.
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Le luci nelle case degli altri di Chiara Gamberale
Le luci nelle case degli altri (2010) di Chiara Gamberale è un romanzo che ci parla del quotidiano e di inclusività, un argomento che negli ultimi tempi è importante affrontare. Giugno, come sappiamo, è il mese che festeggia il Gay Pride e la comunità LGBTQ+ in tutto il mondo.
La scrittrice attraverso lo sguardo smarrito di Mandorla, una delle protagoniste del romanzo, ci insegna a guardare e scoprire il mondo da un altro punto di vista che è molto più umano, semplice da adottare e profondo.
Il lettore in poco tempo sente di abitare all’interno del condominio in cui vive la ragazza e in qualche modo cresce con lei, si smarrisce insieme a lei che cerca suo padre e il senso della sua esistenza.
Le luci nelle case degli altri: la trama
Maria, la madre di Mandorla, muore all’improvviso in un incidente stradale all’età di trent’anni, lasciando la figlia che, al tempo, ne ha solo sei. La bambina, attraverso una lettera, scritta dalla madre per lei, il giorno della sua nascita, scopre qualcosa d’importante: all’interno di quel condominio di cinque piani c’è suo padre. Nessuno dei condomini vuole sottoporsi al test del DNA così decidono di occuparsi tutti insieme di lei.
Il condominio è abitato da diverse personalità che alla fine arricchiscono Mandorla, anche in quei momenti bui, in cui la ragazza cerca disperatamente di scoprire l’identità di suo padre.
Maria, in vita, svolgeva l’attività di amministratrice condominiale anche in quello stesso palazzo in cui c’è il padre di Mandorla. Tutti i suoi amici e conoscenti, come si evince all’interno delle pagine de Le luci nelle case degli altri, la vedono come una donna libera che ha sempre vissuto senza costrizioni sociali. La donna il giorno in cui mette al mondo sua figlia le scrive una lettera che si rivela una sorta di testamento morale perché c’è scritto molto di lei: come vede il mondo, come vorrebbe educarla e cosa lei ritiene giusto per la figlia.
La libertà è ciò che muove Maria nella vita e in tutti i ruoli che ricopre, il significato che lei da a questa parola trasuda da ogni riga che compone il testo. Nonostante gli errori ortografici e grammaticali si può comprendere che l’apertura mentale, gli ideali sani non sono solo il frutto di studio e di cultura ma appartengono alla sensibilità con cui si guarda il mondo, quella capacità umana che non appartiene solo alla qualità e alla quantità di libri che si sono letti durante il corso della propria vita.
La lettera riassume molto il significato del romanzo, per questo motivo la riportiamo integralmente:
25 ottobre 1993
Amore mio.
Ti ho vista solo di sfuggita, poi un’infermiera ti ha portato via. Avevo così tanta tantissima voglia di conoscerti che evidentemente tu l’hai avvertita e sei arrivata con due mesi di anticipo.
Minuscola come una mandorla, dice il dottore.
È per questo che adesso bisognerà tenerti per un po’ in una scatola di vetro: per trasformarti da una mandorla a una bambina vera! Il dottore mi assicura che tutto andrà bene, però in questo letto d’ospedale che ci stò a fare io, se tu non ci sei?
Allora ti scrivo.
Perché non ce la faccio a pensare ad altro che non sei tu.
E perché sono così tante le cose che da qui a sempre vorrei darti, è così grande la paura di non farcela che almeno, se mai un giorno leggerai questa lettera, saprai che ce l’avevo messa tutta ma tutta tutta quanta.
Vorrei averti qui con me adesso, ma questo già te l’ho detto.
Vorrei vorrei vorrei.
Vorrei trovare trovare per te un nome perfetto, di quelli che le persone quando ti chiedono: “Come ti chiami?”, tu gli rispondi:” Mi chiamo così” e loro ti dicono: “Ma ti sta proprio benissimo questo nome! Sembra creato a posta per te!”.
Vorrei vorrei vorrei.
Vorrei aver studiato un po’ più l’italiano e vorrei aver letto tanti bei libri per scriverti una lettera piena delle parole più preziose del mondo: ma a scuola non ci sono andata mai troppo volentieri.
Poi quando sono morti i nonni ho dovuto sbattermi per cercare un lavoro, e addio cultura! per non parlare del lavoro che alla fine ho trovato, allo Studio Amministrazioni Poggio Ameno: sono sempre alle prese con i conti e le tasse che le persone pagano, altro che parole belle! Ma proprio una ragazza che conosco grazie a questo lavoro, che si chiama
Lidia, un giorno mi ha detto una cosa da rifletterci sù: ha detto “Più sai
usare le parole più ti allontani anziché avvicinarti a quello che vuoi
realmente esprimere”. Quindi sai che che ti dico? Sono felice di non saper scrivere bene per dirti quello che vorrei!
Vorrei vorrei vorrei.
Farti mangiare tutto il cioccolato che vuoi senza che ingrassi (è
buonissimo, il mio preferito è quello al latte).
Che se i compagni di classe ti prendono in giro per qualche motivo, tu pensi che sono sbagliati loro, mica tu.
Fare molti viaggi (io non ho nemmeno il passaporto, ma adesso
me lo faccio perché il mondo là fuori è tantissimo e tu dovrai vederlo tutto, dovrai conoscerlo).
Vorrei che non ti ammalerai mai.
Che non ti spuntano i denti del giudizio (toglierli fa davvero male).
Che ti piacciono i cappelli come piacciono a me, così possiamo collezzionarli insieme.
Vorrei che hai tanti amori di quelli scemi, che fanno girare la testa e
ronzare i calabroni in pancia: tutti non fanno che ricordarmi che l’amore
nella vita non è tutto, e certamente hanno ragione. Ma che ti devo dire? I
giorni più felici che ho passato (senza contare oggi, naturalmente) sono stati quelli che ho passato innamorata. Magari di qualcuno che non ne
valeva affatto la pena, ma che fà? Non c’è cosa al mondo più bella di
svegliarsi in un letto dove non avevi mai dormito prima di quella notte, e
pensare: ecco, in questo momento non mi manca niente.
E quindi vorrei che di quel genere di mattine tu ne vivi tante.
Ma naturalmente che poi, a un certo punto, trovi la persona giusta
(giusta per te: intendo). Io non ci sono riuscita ma ancora ci spero. Il
problema è che gli uomini rimangono incantati quando allo zoo vedono
per la prima volta una giraffa: ma poi a casa preferiscono tenere un cagnolino.
È per questo che vorrei che cresci rara come una giraffa in città, ma con l’istinto domestico del cagnolino: dappertutto c’è del bene, dappertutto c’è del male.
Vorrei pensarti sempre più forte di quello che potrà capitarci.
Insegnarti a cucinare.
A riconoscere i nomi delle piante (anche quelle strane).
Vorrei che trovi un amico come per me è Michelangelo, qualcuno che
mentre tutto il resto gira e cambia, rimane fermo.
Che impari almeno una lingua straniera (io non sò nessuna e mi
sento una deficiente).
Vorrei che leggerai questa lettera quando ne avrai bisogno, così potrà
farti bene come oggi stà facendo bene a me a scriverla.
Vorrei che fino a quel momento tu la tieni con te, in una busta, come
una specie di amuleto magico magico che ti protegge da tutto quello che di brutto
stà là fuori.
Vorrei vorrei vorrei.
Che litighiamo quel poco che basta per capire che siamo davvero
importanti l’una per l’altra.
Che ti crescono i capelli lisci (quelli ricci pare che sono una
scocciatura).
Vorrei che tuo papà fosse un astronauta che cammina sulla luna ma
pensa sempre a noi, e non un uomo come tanti, che abita in via Grotta
Perfetta 315 e una sera di marzo, forse per noia forse per curiosità, nell’ex
lavatoio del sesto piano ha fatto l’amore con me.
Vorrei vorrei vorrei.
Che le infermiere ti portano al più presto qui.
Perché so che tutti i giorni che qualcuno nasce, così come purtroppo
qualcuno muore. Ma che ci vuoi fare? Quando tocca a te credi che è la
prima volta che capita, in assoluto. E oggi mi sembra che nessuna donna,
oltre a me, è mai diventata
Le luci nelle case degli altri ci mostra un modo di guardare il mondo che è scevro da pregiudizi ma che è anche difficile da attuare. Un genitore dovrebbe rispettare gli ideali e le propensioni di un figlio, come il suo orientamento sessuale ad esempio, rispettando a 360 gradi ciò che pensa.
Un genitore dovrebbe avere la forza di comprendere e rispettare un figlio a prescindere da ciò che individualmente si ritiene giusto perché ogni essere umano è un mondo a parte, un insieme di valori, sensibilità e modo di giudicare il mondo che è soggettivo e personale.
La cosa più importante che emerge dalle pagine del romanzo di Chiara Gamberale è che qualsiasi scelta personale non contiene all’interno il sinonimo di giustizia o normalità perché senza azioni che ledono fisicamente il prossimo tutto è giusto, contemplabile e praticabile.
Questo è il senso profondo dell’inclusione cui dovremmo arrivare socialmente e umanamente.
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I Lontano da qui: in “Senza fare rumore” il fuoco arrabbiato della passione
Dal 9 novembre è disponibile su tutte le piattaforme digitali e in radio Senza Fare Rumore, nuovo singolo della band romana Lontano Da Qui. Un brano in cui protagonista è l’amore, con veemenza e passione che si rispecchia in un sound indie-folk di forte impatto pop.
La band spiega così il singolo:
Senza Fare Rumore è stato scritto tutto d’un fiato voce e chitarra. E’ arrivato ad inaugurare il nuovo disco con passione e voglia di sperimentare. La musica è caratterizzata da un tappeto elettronico che colora i suoni le radici acustiche su cui si fonda la nostra musica. Rappresenta l’amore passionale che travolge e poi appassisce, che ci fa specchiare negli occhi dell’altro, senza filtri, con i difetti, con le debolezze. Senza Fare Rumore è la vita che esplode ed implode, un urlo silenzioso, un fuoco arrabbiato, un attimo di felicità.
Lontano Da Qui: chi sono?
I Lontano da Qui sono un trio composto dalla cantante toscana Elisa Castells e dai chitarristi romani Matteo Uccella e Michele Bellanova. I tre musicisti si conoscono all’interno del Conservatorio e nel 2012 fondano il gruppo con l’intento di proporre un viaggio musicale fra le varie culture europee e americane, con l’uso, oltre che delle chitarre acustiche, di strumenti e percussioni etniche. Con il tempo il gruppo si solidifica e sente l’esigenza di proporre brani inediti dando il via ad un progetto discografico.
Negli anni, oltre ai numerosi concerti nei più famosi locali di Roma, in Toscana e in altre città italiane, in Austria, Svizzera, e Germania hanno l’onore di aprire concerti di alcuni grandi artisti come Roberto Vecchioni e Cristiano De Andrè e i Dirotta Su Cuba.
Partecipano due volte a Musicultura e nel 2016 vengono premiati da Antonello Venditti al Teatro Olimpico di Roma nel concorso dallo stornello al rap. Il gruppo poi prosegue le sue collaborazioni con altri musicisti che sono presenti nel primo disco omonimo della band, pubblicato nel 2017, in particolare con il batterista Antonio Lana.
La band si descrive così:
Siamo energia, chitarre, voce, legno e ritmo. Con le nostre storie coinvolgiamo il pubblico della Capitale, dei club e dei teatri italiani ed europei. La nostra adrenalina è il live ed il pubblico che ci segue. Abbiamo trent’anni e parliamo della nostra generazione. La nostra musica è trasversale, pop, folk, acustica, elettronica…è Lontano Da Qui”.
Il gruppo ha pubblicato quattro singoli dal primo album e nell’ottobre del 2019 pubblica il singolo Di Nuovo Giovedì. Attualmente la band è impegnata nella realizzazione del secondo album, il quale sarà prodotto artisticamente da Igor Pardini.
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Carosonamente: concerto con Peppe Servillo e Solis String quartet
Venerdì 14 gennaio, alle 21, Peppe Servillo & Solis String quartet rendono omaggio al cantapianista più famoso di sempre con “Carosonamente”.
A distanza di cinque anni dall’uscita di Presentimento, l’album con il quale, insieme al precedente Spassiunatamente, hanno affrontato con dovuto rispetto capolavori della canzone classica napoletana, propongono al Trianon Viviani il concerto dell’ultimo lavoro discografico, questa volta dedicato a un solo autore: Renato Carosone.
Si chiede Peppe Servillo:
Si può prendere a prestito l’aria lieve e scanzonata di un autore profondo e romantico come Renato Carosone? È utile forse e necessario ora più che mai, non per incoscienza ma per amore di quella vita colorata, ironica, spassiunata che nel dopoguerra lui seppe cantare e interpretare. Oltre i titoli famosi proporremo brani meno noti che ci raccontano un Carosone “altro”, sempre vitale anche nella narrazione d’amore. Come al solito, nella versione sobria ed elegante dei Solis, speriamo di far apprezzare in controluce la voce di un singolare autore italiano.
Il Solis string quartet è composto dai violinisti Vincenzo Di Donna e Luigi De Maio, il violista Gerardo Morrone e il violoncellista e chitarrista Antonio Di Francia.
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