Formidabili quegli anni è il nuovo singolo di Roberto Vecchioni, è la conferma di un artista che ama parlare ad un pubblico giovane, sia come docente che come scrittore e musicista.
Il brano diffuso in radio lo scorso 3 maggio insieme al lancio del video diretto da Raffaello Fusaro e prodotto da Danilo Mancuso per Dme è già presente nell’album L’Infinito, uscito lo scorso novembre, diventato Disco d’Oro ma che ha avuto la particolare propensione al rifiuto di piattaforme digitali (rarissimo al giorno d’oggi).
Già sapere che questa particolare forma di protesta mediatica (o non mediatica) abbia ottenuto dei riscontri positivi sugli ascolti, che intanto sono arrivati ed hanno premiato, significa che in giro esiste ancora una fetta soddisfacente di cultori – musicali e non- che continua ad apprezzare forme di diffusione oggi definite desuete ed antiquate.
Roberto Vecchioni spiega a Repubblica, giustificandosi quasi e rivolgendosi nell’umiltà che ha fatto grandi i miti del passato, che il brano è uno “scippo” a Mario Capanna, uno dei principali protagonisti della rivolta studentesca del ’68, ma che non è qualcosa di nostalgico.
Il videoclip, su cui ci soffermeremo insieme al testo emozionante, intanto si apre con le immagini di contestazione proletaria e studentesca dell’epoca, situazioni che oggi sembrerebbero distopiche e quasi sfiancanti al solo pensiero, abituati come siamo a colpi di click o di like e unlike su social traboccanti di tutto, e forse di nulla.
Ma qui non si tratta di leggere o ascoltare o vedere qualcosa che viene spazzata via in un millisecondo dal prossimo post, perché ciò che abbiamo davanti possa insegnare ( e su questa qualità ci ritorneremo) a chi si sofferma che è importante, attraverso la forma d’arte che si definisce canzone (in francese chanson è quanto di più bello ed antico, quindi prezioso, il motivo in cui si possano abbinare musica e poesia) che la cultura spesso viene meglio recepita nelle forme di rarissima semplicità, dove più debole sarà il contesto didattico e più forte avverrà l’infatuazione alla materia.
Le immagini (e si sa che video killed the radio star) del video si alternano tra quelle che inquadrano una scena ricostruita di quei giorni e quelle di un Roberto Vecchioni docente universitario (l’Ateneo e la biblioteca sono quelli di Pavia) mentre parla, ed in realtà canta agli studenti le gesta di un mondo ideologico che oggi non ci può appartenere, perché per quanto volessimo distanziarci, la politica è tutto ciò che ci circonda, in ogniddove, in quanto dal greco pòlis, ossia la città intesa come Stato e come indicazione di tutte le attività sociali.
E non importa se nella realtà dei fatti oggi chi parla o interviene a proposito del ’68 sia un nostalgico o un antiquato, perché, come dice il cantautore nel suo testo (mentre nel video addita i suoi ascoltatori) e la libertà che avete / mica c’erano a quei tempi / noi ci siamo fatti il culo / tocca a voi mostrare i denti, e ciò non significa “vedi quanto sono stato bravo”, ma al contrario esalta la capacità di una mente giovane in un mondo ancora coadiuvato da una classe tramontata e forse sbagliata –anche ideatrice del ’68- , e allo stesso tempo sono proprio i protagonisti di quel periodo a scuoterli, a smuoverli a dare un cenno di assenso.
E poi ancora: formidabili quegli anni / incredibile sognare che non dormi / in un fiume straripante di parole / ammassati nelle aule delle scuole.
La condivisione, dunque, e non quella mediatica / social a cui siamo abituati oggi e poi ce ne sbarazziamo appena ne arriva un’altra, ma dove il raggruppamento, dove le assemblee, dove i naturali scontri verbali e le incomprensioni sono la linfa di un’interazione del tutto normale, un qualcosa che ha dato vita alle comunità , alle città, agli stati, con tutti i loro problemi, ma con tutte le loro fazioni ricche di opportunità sociali, dove la ricerca di una soluzione professionale forma l’uomo e indirizza al rispetto del prossimo.
Quanto siamo cresciuti cinquant’anni fa e rispetto ad essi?
La reazione ad una forma di autoritarismo troppo incombente, che strideva con la rosa colorata della gioventù dell’epoca, quest’ultima progredita moltissimo demograficamente, in quanto figlia del boom economico post bellico degli anni ’50, che avrebbe creato però, ahinoi, ancora più distanza tra chi deteneva il potere e la sudditanza, la realtà operaia, quest’ultima a stretto contatto con la povertà.
A differenza di oggi, dove una crisi che dura da più di un decennio ha ridotto le nascite, ha allargato nuovamente e di gran lunga il divario tra le classi sociali, e dove la speranza è rivolta anche all’integrazione e all’accettazione di chi si è spostato dal proprio Paese e ha scelto l’Italia, perché il futuro sta nelle nuove generazioni, e non importa quale siano la provenienza ed il colore.
E se passi un solo giorno / senza farti una domanda / senza un grido di stupore / l’hai mandata al Creatore; una frase, una proposta al pensiero filosofico che ha spinto intere giovani generazioni al confronto con sé stessi e poi con i propri padri, così il grande giurista e poi romanziere postumo Salvatore Satta, proprio nel marzo del ’68 rispose così ad un’intervista di Panorama: “Hegel diceva che sono i figli che fanno i padri. Finché non si riconosce questo è inutile parlare di dialogo, di scambio di idee”.
Sì, perché noi non siamo della razza / di chi frigna e si dispera / come zombie di un passato / che sembrava primavera ma ci accorgiamo, affranti, che la sorpresa di una meraviglia oggi non ci scomoda più mentre allora, rispetto ad oggi ci sembrano quasi formidabili, quegli anni, formidabili quei sogni nei miei sogni / la malinconia bevuta agli occhi insonni / formidabili quei giorni nei miei giorni, e chi ci sta tenendo una simbolica lezione su quanto sia stato determinante quel periodo è perché ancora oggi esistono risultati che hanno scatenato una sensibilizzazione alla cultura, dove si combattevano l’ozio ed il sonno per correre al cinema ed arricchirsi con film come 2001: Odissea nello Spazio e Il laureato, o magari per tuffarsi tra le pagine de Il lamento di Portnoy, o per aggregarsi, semplicemente, parlando delle proprie esperienze, dell’arte intesa come pensiero politico.
Aggregazioni che hanno dato vita alla combattiva ossessione di scrittori come Paul Auster , Ian Mc Ewan e Stephen King, ma anche alla formazione di registi come Nanni Moretti e Carlo Verdone, oltre che a personalità influenti nel mondo del giornalismo come Paolo Flores D’Arcais e Paolo Mieli; alle architetture di Renzo Piano che distrussero gli stereotipi, come il Beaubourg.
E si pensino anche agli scontri con Pier Paolo Pasolini, che con un film come Porcile sottolineava la distanza tra padri e figli, e che con la poesia Il PCI ai giovani s’inimicò gli studenti di Sinistra; si provi solo ad immaginare Alberto Moravia, un pilastro della letteratura mentre, ne L’espresso, veniva dato in pasto a ragazzi universitari protagonisti della contestazione, dove una nuova idea di movimento marxista-leninista prendeva forma e poneva differenza con una Sinistra “destrorsa”.
Per non parlare di una re-definizione di gruppi pop rock come Street fighting man dei Rolling Stones e Revolution dei Beatles, oppure della nascita del concept Storia di un impiegato di De Andrè o La Locomotiva di Guccini.
La Locomotiva di Francesco Guccini: il video
Non mi passi per la testa / che si celebri il terrore / noi siam quelli della festa / con il vino ed altre sole fa venire in mente lo studio di Enrico Deaglio, anch’egli ex studente contestatore, direttore di Lotta Continua tra il 1977 ed il 1982, che nel suo libro Patria 67 – 77 ha analizzato il decennio che ha cambiato la storia moderna italiana, dove si pongono le differenze tra movimenti studenteschi ed operai in confronto agli anni di piombo che ne seguirono ma che si legarono a tutt’altra concezione ed azione politica, volta al terrore, agli omicidi, agli attentati. Tutt’altra cosa.
Insomma, “noi siamo quelli della festa dell’Unità”, sembra voglia dirci, e diciamolo pure, senza nascondere le varie ideologie intese nello stesso partito, che un movimento socialista come quello di quegli anni forse non si vedeva dai tempi dell’Unità d’Italia.
All’amore di ragazze travolgenti / cavalieri sopra nuvole incoscienti, quindi le azioni femministe, la libertà sessuale intesa dal lato delle donne, la liberazione di una società patriarcale, le unioni delle ragazze con i ragazzi sotto un’unica bandiera, mano nella mano a sorreggersi sia nella lotta che negli affetti.
Da qualche parte si è letto che ai tempi della Comune, a Parigi, si sparava agli orologi, come azione simbolica a fermare il tempo e a lasciare che quella gioia di comunione condivisa durasse incosciamente per sempre, così come in questo brano Vecchioni pare voglia fermare la folle corsa di questi tempi affinché ci potessimo obbligare a delle soste, segnarle come pietre miliari, e consegnarle alla Storia come esempio benefico di aggregazione, rivolta ai posteri come un valido esempio di noi stessi: la malinconia passata agli occhi svegli / gli orologi segnan l’ora che son fermi.
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