Il Comitato civico Palazzine Bene Comune chiede al Sindaco di rispettare gli accordi

Riportiamo integralmente le parole di sconforto da parte del Comitato civico Palazzine Bene Comune, per rendere più chiara la situazione che si sta verificando ad Aquilonia.

Sono passati ormai oltre 100 giorni dalla seduta straordinaria dell’assemblea comunale di Aquilonia (Av) in cui il Sindaco Giancarlo De Vito annunciò ufficialmente una via d’uscita dal conflitto attorno alla sorte delle “casette asismiche” del 1930 che, dalla fine del 2017, ha occupato l’Amministrazione comunale (che aveva deciso di abbatterle), il Comitato civico Palazzine Bene Comune (che si era formato per scongiurare la demolizione e chiederne al contrario la rigenerazione), le forze politiche rappresentate in consiglio e molte cittadine e cittadini che hanno preso la parola.

Il Sindaco, il 1° aprile 2021, ha aperto la seduta annunciando la decisione di istituire una “commissione” che valutasse la questione e portasse all’Amministrazione gli elementi per decidere. Accogliemmo con soddisfazione l’intenzione dichiarata da Giancarlo De Vito di non procedere all’abbattimento per avviare un confronto su cosa fare di questo patrimonio.
Solo 20 giorni dopo il Sindaco annunciò l’intenzione di alienare gli edifici a privati, assicurando – malconsigliato sul piano tecnico – un ipotetico e del tutto aleatorio accesso a finanziamenti Superbonus che però non competono in alcun modo a un’amministrazione pubblica. Ribattemmo che ogni ipotesi di privatizzazione favorirebbe la manomissione delle strutture. Non il restauro: lo stravolgimento.

Ribadimmo la necessità di un’operazione pubblica di rigenerazione urbana che destini il patrimonio edilizio a nuove funzioni utili per la collettività senza in alcun modo mutarne il carattere di testimonianza della storia urbanistica e sociale di Aquilonia. Ma, in poco tempo, anche quella uscita incauta sembrò essere accantonata.
Sono quindi passati 100 giorni da quel 1° aprile che aveva segnato la prima vera “apertura” dopo anni di sordità istituzionale e di totale delegittimazione delle nostre richieste, ma nulla più è accaduto. Allora era veramente un pesce d’aprile, come ci chiedevamo già 50 giorni dopo in un comunicato?
Sarebbe un vero peccato, anche perché nel frattempo questa vicenda ha suscitato l’interesse di tre importanti associazioni – Italia Nostra, Legambiente e Touring Club Italiano – i cui pronunciamenti in favore della nostra vertenza di tutela si aggiungono alle due petizioni del dicembre 2017 mediante le quali il comitato civico Palazzine Bene Comune aveva raccolto centinaia di firme della cittadinanza e il sostegno di decine di intellettuali, alcuni dei quali molto noti (Vinicio Capossela, Franco Arminio, Vito Teti…) ma tutti particolarmente autorevoli in merito ai problemi delle aree
interne.

Il motivo è che questa vertenza – che, a torto, potrebbe sembrare unicamente locale – investe in realtà un tema di grande rilevanza per tutte le nostre aree interne: la cura del patrimonio identitario delle comunità più fragili. Veramente ci riesce difficile comprendere come un sindaco di un piccolissimo paese dell’entroterra possa coltivare indifferenza al patrimonio culturale della propria comunità senza sentire il peso dell’isolamento e per quale motivo non veda invece la grande occasione di fare leva sul sostegno di tante cittadine e cittadini, nonché autorevoli associazioni e intellettuali, a un’operazione pubblica di rigenerazione urbana che potrebbe porre questo piccolo centro in posizione di avanguardia nelle politiche territoriali delle aree interne.

Si formi dunque questa “commissione”, che per noi dovrebbe fare tre cose:

1) confrontarsi sulle ipotesi progettuali di restauro e rigenerazione delle “palazzine”;

2) ricercare le più appropriate modalità di attuazione;

3) essere non solo un consulente dell’Amministrazione ma anche un facilitatore della consultazione della cittadinanza, a cui va assegnato un ruolo attivo.

Il regolamento comunale che consenta la costituzione di una commissione di questo genere c’è. La disponibilità di diversi esperti e “stakeholder” a parteciparvi c’è. Restano alcune domande: che aspettiamo?  È proprio necessario confermare – con implacabile fedeltà a una tradizione di immobilismo, diffidenza per il cambiamento, mancanza di immaginazione sociale e visione del futuro – che bisogna scappare da queste terre?

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