Lo scorso 7 agosto è scomparso Mario Tronti, filosofo e politico, tra i più illustri teorici dell’operaismo e padre dell’autonomia del politico.
Mario Tronti, filosofo e politico, tra i più illustri teorici dell’operaismo, padre dell’autonomia del politico, si sofferma in questo libro-intervista, insieme al giornalista Andrea Bianchi, sulla deriva e sui fallimenti della sinistra, non solo italiana, e su come riprendere il cammino in un mondo radicalmente diverso rispetto a quello del Novecento.
Sul banco degli imputati, la cosiddetta sinistra nel suo complesso, con un particolare carico di responsabilità assegnato a quella di derivazione comunista. La sinistra che in questi ultimi decenni si è interessata quasi esclusivamente di diritti e ha trascurato i bisogni: lavoro, sicurezza, stato sociale, redditi perduti… Quante volte si nomina la parola cittadini e quante la parola lavoratori?
In questa sproporzione c’è la distorsione della realtà. E ancora: quante mobilitazioni di piazza si sono fatte su rivendicazioni umanitarie e quante sul flagello delle morti sul lavoro? La scarsa attenzione a domande di questo tipo ha provocato la perdita di milioni di voti e, fatto ancora più grave, il rischio di estinzione di un intero popolo.
Non vediamo in altri paesi quello che accade qui da noi, ovvero il paesaggio devastato che offre l’attuale panorama politico. L’ultima anomalia del caso italiano ci ha regalato L’Uomo Qualunque al governo. Lo definiamo così come si presentò allora, nell’immediato dopoguerra, con il simbolo che gli anziani ricordano, quello del cittadino schiacciato sotto un torchio. Il qualunquismo è una vecchia tara plebea, non del popolo ma della popolazione italiana. Allora i grandi partiti popolari, che sapevano di politica, liquidarono il fenomeno nel giro di una breve stagione. Oggi i piccoli partiti, movimenti, partiti personali, è poco dire che lo subiscono, perché in realtà lo interpretano e così lo riproducono, senza capire che l’onda finirà per travolgere loro stessi, perché è un’onda selvaggia, informe e senza regole. Tutto intero l’agire politico e il dibattito politico appare senza forma. Basta mettersi davanti a un qualsiasi talk show televisivo per averne la prova. La chiacchiera dei commentatori fa da eco al brusio di fondo, almeno più simpatico, che sentite salire dal bar sotto casa.
Per ricominciare a camminare va combattuto il virus dell’antipolitica iniettato ad arte dall’alto nelle vene dove scorre il basso del sociale, occorre rovesciare la gerarchia tra il civile e il sociale, mandare in soffitta il pensiero debole che ha prodotto il fallimento democratico-progressista. E soprattutto non credere che sia vera la falsa notizia che non c’è più lo sfruttamento del lavoro.
Nell’età della globalizzazione è la parola ‘mondo’ che per lo più dice il problema. Noi useremo ‘forma mondo’: un po’ troppo intellettualmente raffinata per il segno che vogliamo dare a questa chiacchierata, ma si spera ci verrà perdonata. Poi, adesso, per saltare dal globale al locale – respingendo lontano da noi la terribile espressione postmoderna di ‘glocale’ – inciampiamo inevitabilmente in quello scoglio tra il mondo e l’Italia, che si chiama Europa. Il caso italiano ritorna oggi all’attenzione dei commentatori esteri presentando una nuova forma dell’anomalia Italia: in questo senso affronteremo il problema.
Una riflessione su quello che qui intendiamo per concetto politico di popolo si impone con caratteristiche di necessità e urgenza. Infine, su quel che resta della parola ‘partito’ e sul quel che riesce ancora a dire la parola ‘politica’ andremo all’attacco, perché il tempo della diplomatica attesa è finito, posizionarsi su una delle postazioni esistenti non è più sufficiente, è urgente aprire un varco di fuoriuscita da questo stallo subalterno.
Cosa che si può fare e va fatta prima di tutto con un rovesciamento di culture dentro una rinnovata battaglia delle idee, con il dichiarato obiettivo di dare forma a un nuovo spirito egemonico di parte, ridisegnando unità e differenze del pensare e dell’agire, rispetto al passato e contro il presente.
La perdita di Mario Tronti è una perdita per la sinistra e per la politica tutta. Perché è la perdita di una delle menti ancora capaci di guardare più in là del qui e ora, di interrogarsi sul passato per trarne, senza pudori, tremori o convenienti ipocrisie, un che fare per il nostro futuro. In questo senso ci sentiamo di dire che è una perdita, assai grave, anche per gli stessi avversari politici. Perché perdono un interlocutore raffinato, capace di essere di stimolo anche per loro.
Nutrimenti è stata orgogliosa di aver pubblicato Il popolo perduto, le sue ultime riflessioni sulla crisi della sinistra e sullo stato generale della politica, in Italia e nel mondo.
Era il 2019 e da poco in Italia era salita al governo una inedita alleanza Lega-Movimento cinque stelle. Poi ci sarebbe stato il governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi e poi ancora l’avvento di un governo delle destre. Solo qualche mese l’editore di Nutrimenti Andrea Palombi ragionava con Mario di un nuovo volume in cui analizzare il quadro politico ancora una volta completamente mutato.
E il rimpianto più grande è quello di non essere riusciti a depositare in un libro la sua lettura della situazione attuale che, ne siamo certi, avrebbe aiutato tutti noi a conoscere e capire di più.
E la sinistra a ripensare se stessa…
One comment on “Il popolo perduto di Mario Tronti”
Comments are closed.