Sicuramente non dimenticheremo più questo periodo legato al quasi inizio del 2020. Le speranze in progress, per il nuovo anno, non hanno avuto neanche il tempo di prendere una forma nella nostra mente, che si sono trasformate in speranze di ritornare alla vita che abbiamo lasciato con disprezzo, sentimento con cui si saluta ogni anno che trascorre.
Abbiamo assaporato e scoperto il vero significato che ha la parola noia, siamo stati costretti a fermarci eppure, spesso, auspicavamo una stasi, per avere del tempo per noi. È accaduto ma non era come ce lo aspettavamo.
Probabilmente da questi mesi trascorsi come un unico giorno infinito abbiamo compreso il reale significato che ha la parola libertà, abusata e mai vissuta pienamente. E forse inizieremo a concepirla e a viverla nel modo in cui avremmo dovuto fare già prima.
Abbiamo scoperto che la libertà, un diritto che democraticamente abbiamo sempre assorbito come un diritto inalienabile, in fondo, così scontato non è. Siamo liberi ma questo privilegio ci può essere tolto, per cause di forza maggiore e trasformarci da esseri indipendenti a soldatini che non hanno più possibilità di scelta.
Questa parantesi non è una critica alle imposizioni cui abbiamo dovuto sottostare e a cui sottostiamo ma è uno spunto di riflessione che, forse, dovrebbe renderci più consapevoli di ciò che siamo e di ciò che rappresentiamo. Queste parole non sono spinte dalla speranza di poter diventare migliori ma dalla speranza di prendere coscienza e consapevolezza, per poter vivere ogni giorno apprezzando tutto ciò che prima davamo per scontato.
Abbiamo vissuto con la paura del contagio e questa paura non è terminata e non diminuirà con la fase 2. Abbiamo vissuto con l’angoscia di poter contrarre il virus, questo essere invisibile che si insinua silenziosamente con il suo tempo di incubazione e che, nella peggiore delle ipotesi, ci avrebbe potuto portare e potrebbe portarci alla morte o a quella dei nostri cari. Nella migliore delle ipotesi, controllando uscite, gesti e utilizzando tutte le precauzioni possiamo evitarlo, ritendendoci dei graziati in virtù di fattori che, tutt’oggi, sono diversi, ipotizzabili e variabili.
Abbiamo scoperto l’introspezione e l’obbligo di fare i conti con ciò che siamo realmente, confrontandoci direttamente con noi stessi. Per quante siano state le distrazioni offerte dal web, dalle video call con gli amici e dai mille palliativi e strategie che abbiamo adottato per far trascorrere più velocemente il tempo, queste ore non passavano mai e ci riportavano sempre a doverci guardare dentro o a pensare a quello che siamo stati, che siamo e che vorremmo diventare in futuro.
Ci siamo abituati allo scorrere del tempo lento e monotono, rassegnandoci.
Abbiamo scoperto la paura e la diffidenza fisica mentre prima era solo morale, metafisica e universalmente valida, ma mai palese, per ciascun individuo.
Il Covid-19 ci ha reso migliori? Non credo. Sono convinta che il virus ci ha resi più umani nel senso di fragili, precari, instabili e più egoisti. Potremmo diventare migliori? Forse per chi è predisposto alla trascendenza sì, ma credo che rappresenti una piccola parte.
Probabilmente questo virus ci ha temprati attraverso la costrizione, l’obbligo e la stasi ma la forza mentale da sola non basta per essere migliori. Probabilmente ci riscopriremo più umani con le persone che già prima di questa pandemia avevano un alto valore affettivo per noi, predisposizione che, sicuramente, non riserveremo ad altri sconosciuti anche perché per ora non è pensabile stringere tutti i propri cari, figuriamoci chi ancora non conosciamo.
Il Covid-19 ci ha insegnato il senso profondo che ha un vero abbraccio e un sorriso che, per ora, sarà nascosto da una mascherina che rappresenterà la nostra umanità vista solo a metà perché la totalità non si vede e non sappiamo quando la si potrà vedere.
Mi auguro vivamente che tutti impariamo a vivere più di sostanza che di apparenza.
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I monologhi della vagina di Eve Ensler
I monologhi della vagina (1996) è un’opera teatrale di Eve Ensler, l’autrice recitava i monologhi che riguardavano le donne e le loro esperienze riguardo la loro vagina, lo faceva con il pubblico. Il materiale contenuto nel testo è il risultato di 200 interviste fatte a donne sugli argomenti più disparati e su cui si aveva difficoltà nel raccontare e accettare: le loro idee sul sesso, relazioni intime e violenza contro le donne.
L’idea di mettere nero su bianco queste esperienze al femminile prende vita quando la drammaturga si rende conto di vivere in una società violenta e che la difficoltà dell’emancipazione femminile è strettamente connessa alla loro sessualità.
Eva Ensler è una donna e drammaturga statunitense che si è impegnata, e tutt’ora si impegna, nel cambiare il mondo, denunciando non solo gli stereotipi ma cercando una strada comunicativa che sia capace di familiarizzare con tematiche complesse e renderle normali.
Per fare questo tipo di percorso, oltre ad una spiccata sensibilità, c’è bisogno di coraggio perché prima di intraprendere una strada dettata da un’idea controcorrente e per certi versi scomoda, si sa da dove si parte e ma non si sa dove sia il punto di arrivo.
L’autrice non immaginava che il suo spettacolo teatrale potesse essere ripreso in tutto il mondo come, poi, è accaduto. Erano tante le donne che avevano bisogno di liberarsi, parlare e denunciare.
Eve Ensler
I monologhi della vagina: temi affrontati
Ecco alcune parole di Eve Ensler sulla messinscena de I monologhi della vagina:
La prima volta che ho messo in scena I monologhi della vagina ero certa che qualcuno mi avrebbe sparato. Perciò quando sono salita sul palco di un piccolo teatro di Manhattan mi sono sentita come se stessi attraversando una barriera invisibile, rompendo un tabù mo0lto profondo. Ma non mi hanno sparato. Alla fine di ogni spettacolo c’erano lunghe code di donne che volevano parlare con me. sulle prime ho pensato che volessero condividere le loro storie di desiderio e appagamento sessuale.
In realtà si mettevano in fila per dirmi come e quando fossero state stuprate o aggredite o picchiate o molestate. Ero sconvolta al vedere che, una volta rotto il tabù, si liberava un fiume in piena di memorie, rabbia e dolore.
I monologhi della vagina si compone di diversi brani, ciascuno di questi testi affronta diversi temi legati al mondo intimo femminile: sesso, stupro, mutilazione, mestruazioni, mutilazione, nascita, orgasmo e masturbazione. Ciò che a livello tematico preme comunicare al lettore è che la vagina non è semplicemente un organo del corpo ma la rappresentazione di ciascuna individualità.
Ciò di cui non si parla spesso o di cui si fa fatica a pronunciarne anche il solo nome, diventa un segreto e il segreto nasconde in sé sempre quel senso di vergogna e di paura. Questi sentimenti di disagio provocano imbarazzo e limitazione che dal pensiero si trasforma in azione e quindi in privazione.
Familiarizzare con questa sfera, soprattutto intima, aiuta ad avere maggiore consapevolezza di se stesse, di ciò che si è e di quello che si desidera. Partendo da questo presupposto, la sicurezza del proprio corpo e della propria sessualità aprono la mente ad una visione più ampia, appartenente a qualsiasi sfera sociale che riguarda ciascuna donna.
I monologhi della vagina
Quando si subisce uno stupro, ad esempio, si ha difficoltà nell’accettare ciò che è accaduto non solo per la violenza subìta ma per la vergogna che si prova nel dover comunicare un tipo di abuso intimo. Questo timore e questa vergogna sono frutto anche di una società che ha esaltato la sessualità maschile a discapito di quella femminile, vista sempre come un qualcosa di peccaminoso o di irrilevante.
Il contenuto de I monologhi della vagina oltre a sfatare tabù atavici, è fondamentale per comprendere il meccanismo perverso che genera chiusura e censura su taluni argomenti e problematiche che possiedono, se liberate, la forza della libertà e dell’indipendenza femminile.
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Intervista a Lello Pisacreta
Quando nel lontano 2003 incontro per la prima volta Raffaello “Lello” Pisacreta è in occasione del music contest avellinese Restate Rock.
Lello Pisacreta con la sua band
Lello Pisacreta si esibisce con la sua band ed è quasi al centro del palco, probabilmente non per sua scelta, considerando la timidezza che trasmette. Non guarda mai il pubblico, è concentrato sulla chitarra che porta decisamente troppo in alto, fin sullo stomaco, ma è preciso e sorride, soprattutto, ma resta immobile sulla sua mattonella. La sua serenità però trasmette tutta la passione che conserva dentro.
Lo rivedo di nuovo circa due anni dopo, mentre partecipa a un festival, sempre in veste di chitarrista, e la scena che mi si presenta è totalmente diversa da quella che ricordo: il suo strumento ora è posizionato molto più giù, come Keith Richards insegna, quasi sul femore, e il suono che produce è qualcosa di molto più vissuto, sofferto quasi. Il sorriso è sostituito da uno sguardo assorto, mentre gli occhi sono quasi sempre chiusi, la bocca semiaperta e le dita che si muovono da sole sulla tastiera. Spesso si sbatte a destra e a manca come un cavallo imbizzarrito; alla fine dello show, mentre gli altri componenti della band si preparano a lasciare il palco, lui si cala sulla pedaliera dinanzi a sé e maneggia i potenziometri degli effetti mentre la chitarra guaisce i feedback che vengono modificati dalle sue modulazioni effettuate all’istante: ne esce fuori qualcosa di spaziale e psichedelico. I tecnici del palco non gli vietano la bizzarra esecuzione: quello è il suo spettacolo, s’intende, ed ha qualcosa di davvero stupendo.
Cosa era successo a Lello Pisacreta nel giro di pochi anni e, soprattutto, perché il suo sorriso era stato sostituito da uno sguardo trasognato? Tranquilli:è una delle persone più lucide d’Europa.
Lello Pisacreta aveva inglobato tutto dentro, e quel mondo che era imprigionato nella sua testa veniva fuori durante le esecuzioni, ed era talmente potente che esplodeva con tutta la sua forza emotiva e fisica, anche. Come recita quel brano dei Queen interpretato dal batterista Roger Taylor:
Combatti dall’interno, ma quando attacchi, fallo per davvero!
Eppure Lello Pisacreta sta inseguendo in parallelo anche quella passione che gli ha trasmesso il padre e sta studiando architettura; i risultati sono sempre eccellenti, eppure nel corso degli anni e della maturità egli si accorge che quel qualcosa di mostruoso che resta imprigionato dentro chiede di uscire e trovare un luogo, un rifugio in cui affilare gli artigli. Così si trasferisce a Roma e studia come ingegnere del suono, mentre nel frattempo mette in pratica le lezioni lavorando nei locali capitolini e suonando di continuo con le sue band. Da allora in poi curerà la produzioni di tutti i suoi album, e appena pronto ritorna nella sua città d’origine, in Irpinia, ad Atripalda per la precisione, per servire le svariate band che circolano e curarne i suoni e i dischi. Quest’anno il suo sogno più bello prende forma quando apre i battenti il rifugio della sua creatura che da sempre chiede di esporsi: Mood Records.
Mood Records è una piacevole struttura creata appositamente per vivere, creare, incidere e respirare musica. Offre un’ampia sala prove, una d’incisione e addirittura per rilassarsi durante le pause; offre oltretutto lezioni per aspiranti producer che si accingono a questo delicato mestiere, ed in Irpinia questa è la novità più originale ed entusiasmante, una ricchezza per questo territorio impoverito dalle poche attenzioni degli enti.
C’incontriamo di notte, io e Lello Pisacreta , sull’uscio dell’antro della sua creatura mezzo addormentata, ma che ancora lavora, e mentre di là in sala prove c’è una band che va decisamente per le lunghe, parliamo un pò di sé, del suo sorriso che è ricomparso e che trasmette la gioia della ricompensa, e soprattutto dei suoi progetti e di come si è realizzato il tutto davvero nel migliore dei modi.
Hai iniziato il tuo percorso formativo pensando a tutt ‘altro tipo di carriera. Quando hai deciso di ritornare sui tuoi passi, occupandoti di musica, e soprattutto in prima persona?
Il mio percorso formativo è stato, in effetti, abbastanza poco canonico. Alla fine del liceo ero molto affascinato da tutt’altro settore, quello dell’architettura, ma sin da adolescente ho sempre coltivato la passione per la musica. Ho conseguito, non senza sforzo soprattutto nella fase finale, una laurea in Ingegneria Civile, ma mi sono reso conto nel corso degli anni universitari di dedicare molto più tempo a soddisfare la mia curiosità musicale piuttosto che quella architettonica e così, in maniera molto naturale, dopo la laurea ho deciso di investire il mio tempo esclusivamente in quel settore, quindi ho deciso di frequentare dei corsi di formazione che potessero soddisfare la mia sete di conoscenza nel settore dell’ingegneria del suono.
Come nasce Mood Records?
Il settore dell’audio professionale racchiude numerose figure lavorative che possono essere categorizzate in maniera globale in coloro che lavorano principalmente per eventi dal vivo e coloro che scelgono di lavorare nella dimensione dello studio (anche se, ad onor del vero, una grandissima percentuale, compreso me, si interfaccia costantemente con entrambe le realtà). Personalmente ho sempre trovato più affascinante la seconda realtà e tutti i miei sforzi, anche economici, sono stati sempre indirizzati a poter un giorno realizzare una struttura in grado di poter offrire servizi professionali a chiunque voglia realizzare un prodotto musicale. Da questa idea nasce Mood Records, e direi, nel mio piccolo, di esserci riuscito.
Mood Records
Quanto è stato importante e duro allo stesso tempo, per te, restare nella propria terra d’origine ad esaudire il tuo sogno?
Nei periodi in cui sono stato lontano da Avellino per formarmi in questo settore mi sono confrontato con numerose realtà altamente professionali del campo e ho realizzato che forse tutte le potenzialità della scena musicale irpina non erano valorizzate e supportate nella maniera opportuna per mancanza di strutture in grado di poter offrire uno standard qualitativo adeguato.
Credo che, se si ha la possibilità ed il coraggio di prendersi qualche rischio, sia importante investire nel proprio territorio per poter offrire dei servizi che inevitabilmente verrebbero ricercati altrove o peggio neanche ricercati rischiando di stroncare sul nascere realtà musicali decisamente valide.
Attualmente hanno inizio i corsi per poter diventare producer a tutti gli effetti. Quanto è importante per te la produzione di musica propria a casa propria? Non credi che possa questo minimizzare il lavoro di uno studio discografico serio come il tuo?
Nel corso degli ultimi 20 anni abbiamo assistito ad una rivoluzione tecnologica davvero imponente. Oggi chiunque con un computer, un sequencer ed un paio di cuffie ha a disposizione possibilità creative quasi sconfinate, ma con una scarsissima cognizione di quello che si sta realmente facendo ed usando. Il risultato è un evidente abbassamento della qualità del prodotto ed un appiattimento della forma espressiva. Avere un’esperienza solida in questo campo richiede molti anni di studio e di lavoro sul campo ed è questo sicuramente il gap che gli studi professionali riescono a colmare, oltre ad avere accesso a dispositivi e tecnologie molto costose che garantiscono alti livelli di qualità.
Inoltre credo che così come per un “tecnico” sia importante avere delle solide basi di teoria musicale, di armonia, ecc. per poter interfacciarsi in maniera adeguata con i musicisti, allo stesso tempo è altrettanto importante che un musicista conosca gli aspetti tecnici della produzione musicale per poter aver un maggior controllo sulle diverse fasi che inevitabilmente lo coinvolgono sia nel lavoro in studio che dal vivo.
Alcuni corsi della nostra struttura, in particolare quello di Home Recording e Music Producer & Live Performer sono indirizzati proprio a fornire una solida preparazione in campo audio per affrontare in maniera professionale anche produzioni realizzate in ambiente home.
Esistono ancora possibilità di poter vivere di musica, secondo te?
Per chi come me ha deciso di dedicarsi maggiormente all’attività in studio è sicuramente un po’ più complicato ottenere il giusto ritorno economico a tanti anni di esperienza, formazione e sacrifici.. Prima dello sviluppo tecnologico di cui ti ho parlato poco fa, andare in studio era l’unico modo per poter realizzare un album e lì si operavano anche le fasi di pre-produzione ed arrangiamento dei brani, fasi che anche grandi artisti oramai riescono a gestire tranquillamente nel proprio home studio.
Ma, come dicevo in precedenza, la necessità di affidarsi a professionisti nasce nella fasi successive, che hanno bisogno di essere effettuate in strutture adeguate che mettano a disposizione ambienti ed attrezzature altrimenti difficilmente accessibili.
Come in qualsiasi settore professionale, il successo, anche in termini economici, risiede sempre nella qualità dei servizi che offri e nel saperti rapportare in maniera adeguata ai tuoi clienti cercando sempre di soddisfare a pieno le loro esigenze; con caparbietà, studio costante ed esperienza si può riuscire a vivere di sola musica.
Credi che la musica possa essere un progetto valido per la salvaguardia di alcuni valori? Considerate le tue preferenze di stampo rock, quanto questo riferimento di benessere può coesistere con le dubbie capacità di ascolto e produzione della mediocre musica home made di oggi?
La musica rappresenta un linguaggio universale nel vero senso della parola perché riesce a trasmettere indistintamente delle emozioni anche senza che ne sia compreso a pieno il messaggio. E’ dunque uno strumento potentissimo di comunicazione che può e deve veicolare anche importanti valori sociali, cosa che peraltro ha sempre fatto e sempre in maniera molto efficace, penso ad eventi storici come Woodstock o il Live Aid.
Ho citato non a caso due eventi strettamente connessi alla cultura rock, genere come dicevi a cui sono molto legato e che ha influenzato parecchio il mio modo di vedere e di stare al mondo, ritornando appunto al discorso dei valori sociali che è in grado di veicolare la musica; facendo il mio lavoro comunque ascolto e mi trovo a lavorare con brani di ogni genere musicale e in tutti, anche quelli più orientati ad ottiche squisitamente commerciali, trovo elementi interessanti che stimolano la mia curiosità e mi conducono ad altri ascolti ed altri ancora. Ecco, la curiosità, credo sia questo l’elemento principale che scarseggia nella società moderna. Avere tutto a portata di mano o meglio di click ci ha reso meno curiosi, meno interessati a soffermarci sulle cose che vediamo, che ascoltiamo.. sono talmente tutte così immediatamente accessibili che le diamo per scontato e questa superficialità di approccio comporta un evidente vuoto di cultura.
Intanto la band continua a suonare in sala prove e io e Lello decidiamo di allontanarci per un drink.
Carmine Maffei
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XXI Edizione del Premio Lettera d’Amore
Cinquecento testi provenienti da Argentina, Stati Uniti d’America, Francia, Spagna e da tutte le regioni d’Italia hanno partecipato quest’anno alla XXI Edizione del Premio Lettera d’Amore che si tiene in Abruzzo a Torrevecchia Teatina, paese della lettera d’amore, di cui si è interessato di recente il TG 2 nella rubrica “Sì viaggiare” con un servizio denso di suggestioni.
Il concorso sfida gli italiani al cimento letterario, esortandoli a trasporre sul piano epistolare le loro propensioni amorose, mediante aperte dichiarazioni dalle quali si evincono le passioni più frequentate e accese – per persone, oggetti, paesi, animali, idee, manie, ecc.-, che delineano uno spaccato sociologico intorno al sentimento più apprezzato dal nostro popolo, indicando la direzione verso cui procede.
Nei testi in concorso quest’anno si riscontra un particolare tormento d’amore, si avverte un trasporto sentimentale irrefrenabile per… l’Italia! Innanzitutto, pochissimi si sono soffermati sul periodo difficile che l’umanità intera sta attraversando, mentre molti pare siano stati illuminati dal periodo di obbligata clausura: numerosissime le lettere riservate alla terra, al kosmos, all’Universo, alla natura, all’ambiente e naturalmente alla vita, tutte preziosità che l’uomo sta pericolosamente trascurando, spogliandone e disanimandone la potenza, impedendo lo svolgersi armonico delle sue regole, messe in crisi dallo sviluppo avido e grossolano del mercato – luogo del vituperio – tanto da pagarne, come ben sappiamo, le conseguenze; ma quel che più sorprende è l’enorme quantità di opere dedicate all’amore per la bellezza dell’Italia.
Ebbene, pare inverosimile, in questi ultimi tempi di riserbo casalingo la bellezza del Paese e la ricchezza della propria tradizione culturale sono diventate l’oggetto dell’affetto più profondo degli Italiani (stavolta meritano la maiuscola), e se ne fanno carico, offrendo i loro servigi al Belpaese in qualità di improvvisate guide turistiche e culturali, anche se solo per lettera… d’amore!
A partire da una lettera immaginaria, scritta da Paolo a Francesca, gli sfortunati amanti immortalati nel V canto dell’Inferno, Paolo rivela come il libro fu galeotto “quando all’intendere le gesta di quello amore infelice (di Lancillotto per Ginevra) come uno solo, travolti fummo dalla passione sua, dallo suo ardore. E ci stringemmo le mani di timore al giudizio implacabile d’Artù piangendo l’innocenza dello ingiusto amore. Sì, perché Amore è cieco, non guarda lo nobile o la plebe, lo ricco ovvero lo povero, lo sposo o la nubile…”
Un testo in cui ci viene offerta una splendida dimostrazione di come l’autore, Vincenzo Rocco, abbia fatto propri i versi danteschi. Appresso a lui, Marco Pitteri inventa una lettera in cui si mette impavidamente nei panni del massimo genio del Rinascimento. L’autore, indossando le vesti di Leonardo, fa confessare al genio vinciano il suo amore per la bellissima Monna Lisa, che egli dipinse in un quadro immortale, attribuendogli audacemente (o sconsideratamente?) frasi di Cyrano. Il tema di fondo è sempre la lettura: “Oggi, mentre cercavo di leggere un trattato di ingegneria che mi ha donato il signor Duca, di colpo, senza alcun motivo apparente, mi è sembrato di ritrovarvi nello spazio muto di un capoverso. Ecco cosa siete diventata, una presenza rosa tra tutte le interruzioni della mia vita…” Leonardo amava Monna Lisa! Uno scoop mondano a seicento anni di distanza che meriterebbe di fare il giro del mondo.
Un altro dipinto è oggetto dell’analisi di una lettera di Silvia Roncucci; nella Libreria Piccolomini del duomo di Siena sono conservati gli affreschi di Pinturicchio e bottega (incluso il giovane Raffaello) raffiguranti le Storie della vita di Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini. Uno di essi mostra l’incontro tra Leonor del Portogallo e lo sposo Federico III d’Asburgo, da cui prende spunto l’autrice per immaginare una missiva in cui Enea Silvio (poi Papa Pio II) rivela il suo innamoramento per la regina del Portogallo, innamoramento provato ancor prima di incontrarla, tramite un’opera pittorica che la ritrarrebbe, espediente scelto dalla Roncucci sia per il richiamo all’Amor de lonh dei poeti trobadorici, sia per la sua validità nel contemporaneo: all’epoca di Internet molti amori nascono, si alimentano (e a volte finiscono) con la sola visione delle immagini postate dagli utenti sui social network.
Non trascurabile il numero delle lettere dedicate ai luoghi e agli incanti paesaggistici del nostro Belpaese: Torino, Venezia, Trani, Verona, Civita di Bagnoregio, Pettorano sul Gizio, le montagne della Majella, e chi più ne ha, più ne metta! Una lettera molto colta è quella (immaginata da Federico Battistutta) che Ada Augusta Byron, figlia del poeta George Byron e di Anne Isabella Milbanke, dedica al precettore. Ada non conobbe il padre, che lasciò per sempre la famiglia e poi l’Inghilterra quando la bambina aveva pochi mesi. La madre, donna severa, ossessionata dall’ordine e dalla disciplina, spinse Ada a studiare la matematica, anche per allontanarla dal retaggio poetico del padre. La giovane mostrò una sorprendente attitudine per la matematica e lo studio di tutto ciò che è meccanico. Un talento che la portò a fare la conoscenza di Charles Babbage, eccentrico e geniale inventore di un’ambiziosa macchina calcolatrice, la Macchina Analitica. Ella intuì che non si trattava solo di una macchina per far di conto, bensì di un dispositivo capace di elaborare simboli. Alla luce di quanto è accaduto in seguito, si può dire che questa intuizione rappresenti il primo nucleo dell’informatica moderna e, secondo alcuni, addirittura dell’intelligenza artificiale. Fu una donna piena di inquietudini e visioni, in grande anticipo sui tempi, che lottò per la propria indipendenza e il riconoscimento delle proprie idee. Dunque, una lettera che illumina la grandezza della donna scienziato, una figura spesso soffocata dal prepotere maschile.
Alcune lettere d’amore sono dettate dal gusto, come quelle indirizzate al fico d’india o all’avocado, altre sono dedicate alla chitarra, alla falena, a Melpomene, alla bicicletta, al teatro; molte le missive improntate dagli affetti per fidanzati, amanti, congiunti e per gli inseparabili animali domestici. Impera lo sdoppiamento: lettere dedicate al se stesso del passato o del futuro, dolgono quelle riservate alle malattie, a stati di disagio psicologico come la bulimia, tanto amata!, alla finestrella dell’ospedale che i malati di Covid fissano e da cui penetra una luce di speranza.
XXI Edizione del Premio Lettera d’Amore
XXI Edizione del Premio Lettera d’Amore: la giuria
Sottoposti al vaglio della giuria, composta da Tonita Di Nisio, Massimo Pamio, Massimo Pasqualone, Lucilla Sergiacomo, Giuseppina Verdoliva, testi dedicati alla coscienza bipolare, a Maurice Ravel, al campione dell’automobilismo Ayrton Senna, alla professione dell’avvocato, al popolo italiano da parte di Anita Garibaldi, alla libertà, da Rodolfo alla sua Mimì dell’opera pucciniana, da Thanatos a Eros.
Hanno partecipato molti studenti, in particolare alcune scuole, l’I.I.S.S. “B. Radice” di Bronte, il Liceo Classico Poliziano di Montepulciano, il Liceo Scientifico “A. Righi” di Cerignola, l’Istituto Acciaiuoli Einaudi di Ortona, e i ragazzi della Biblioteca “Marilia Bonincontro” di Chieti: Noemi Pavone, Marta Rondinini, Gianmarco D’Agostino.
Non mancano testi divertenti, salaci, nei quali si rivela l’incredibile qualità fantastica degli italiani, la capacità di cogliere aspetti e circostanze da un punto di vista umoristico e scanzonato. Pagine intense, forti, tenere, delicate, struggenti, appassionate che, conservate nel Museo della Lettera d’Amore, museo unico al mondo, saranno lette dagli attori Antonella De Collibus e Alessio Tessitore, contribuiranno a creare suggestioni indimenticabili nel corso della serata della cerimonia di premiazione in programma per domenica 8 agosto, che sarà condotta dal giornalista RAI Nino Germano a partire dalle ore 20 e 30, nel Parco dei giovani San Karol (il più grande d’Europa) annesso al Palazzo del Marchese Valignani di Torrevecchia Teatina alla presenza del Sindaco Dottor Francesco Seccia e dell’amministrazione comunale.
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