Ad iniziare l’anno in bellezza, in un Paese nel quale nessuno si preoccupa più di svolgere le proprie funzioni, ma tutti si sentono in dovere di esprimere giudizi su vicende che escono dalle proprie competenze, ci hanno pensato in maniera egregia Leoluca Orlando e la variopinta armata di Sindaci che, a lui accodatisi, hanno annunciato l’intenzione di non applicare la parte del D.L. Sicurezza relativa ai migranti.
A condannare con sicura severità democratica, invece, le perplessità di quanti avevano immediatamente giudicato almeno come anomala l’annunciata decisione da parte dei già ribattezzati sindaci ribelli, di non applicare una legge dello Stato, ci ha pensato solerte l’intero mondo dell’informazione omologata, col conforto dell’onnipresente Associazione Nazionale Partigiani e di altre rappresentativissime quanto necessarie sigle associative, che, con fiero richiamo al principio della disobbedienza civile, tosto ha consacrato, nelle scorse 48 ore, i vari Orlando, De Magistris e compagnia cantante, quali italici Ghandi e Luther King.
Per quanto suggestivo tale richiamo possa apparire, vorremmo però sommessamente far notare a questi signori Sindaci ed a quanti hanno corso a celebrarne le gesta, che l’uscita di Leoluca & C. sta al concetto di disobbedienza civile, come i proverbiali cavoli a merenda.
L’espressione disobbedienza civile (Civil disobedience) proviene dal titolo del famoso saggio del 1849 dell’americano Henry David Thoreau, nel quale l’autore descrive la sua scelta di rifiutare di pagare le tasse, ed il suo conseguente arresto, come forma di protesta contro lo schiavismo praticato negli stati del Sud e la guerra di conquista in Messico, tenuta ai tempi dal governo del suo Paese.
Nel suo scritto Thoreau teorizza che è ammissibile non rispettare le leggi quando queste vadano in direzione contraria alla coscienza ed ai diritti dell’uomo, gettando così le basi di quei principi di resistenza non violenta destinati a caratterizzare tante tra le più importanti lotte politiche del secolo scorso.
Da allora in poi, non a caso, il termine disobbedienza civile viene utilizzato per indicare tutte le azioni che prevedono la consapevole e plateale violazione di una data norma di legge, considerata particolarmente iniqua, da parte di un singolo, o più spesso, da parte di un gruppo di persone, finalizzata a rendere immediatamente visibili ed operative le sanzioni previste dalla legge per i trasgressori della stessa.
Un tipico esempio di questa forma di lotta politica era rappresentata, ad esempio, nel secolo scorso da tutti gli antimilitaristi che si facevano arrestare come renitenti alla leva, non presentandosi alla chiamata militare.
Il concetto quindi può riassumersi nella scelta da parte di un individuo, di essere sanzionato personalmente, trasgredendo una norma, per una finalità dimostrativa.
Si tratta dunque di un singolo che sceglie di compiere un’azione individuale (anche se contemporaneamente ad un gruppo di altre persone) e di pagarne in maniera pubblica le conseguenze.
Quando un sindaco, che è, per definizione, l’organo monocratico a capo del governo di un comune, ordina ad i propri uffici di non applicare una legge dello Stato, non sta compiendo un atto di disobbedienza civile: al contrario si sta avvalendo del principio di autorità derivante dalla propria carica nei confronti dei propri sottoposti per mettere in discussione un altro principio di autorità a lui superiore.
Nel caso specifico non c’è un cittadino che disobbedisce alla norma per protestare, ma c’è un’istituzione che si oppone ad un’altra gerarchicamente superiore mettendo in discussione l’ordinamento.
Più che ai principi di democrazia richiamati in questi giorni, riteniamo quindi che l’uscita di Orlando possa iscriversi più tranquillamente alla lunga tradizione di insofferenza nei confronti dell’ordinamento democratico, che, atavicamente caratterizza la sinistra di questo Paese, in omaggio all’antico adagio secondo il quale la democrazia ed il suo ordinamento sono sacri solo quando a governare siamo noi.
Sabino Morano
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