Moko Shibata, in arte Powder, è una dj e produttrice giapponese. Qualche settimana fa ha annunciato l’uscita dell’Ep G prevista per il prossimo 23 ottobre e prodotta dalla sua etichetta Thinner Groove.
Powder è spinta dalla curiosità per le molteplici sonorità giocose, in particolar modo per deep house, la dj infatti predilige un sound agile e ritmico che, spesso, si intreccia con il groove.
Per usare le sue stesse parole:
Quando faccio dj set cerco di concentrarmi sulla musica di sottofondo. Questo è più che lasciar cadere le melodie e la cosa bella è che le persone restituiscono il favore, ballando le sonorità che propongo, in modo elegante.
Powder: curiosità
Fare musica o remixare pezzi per Powder rappresenta un modo per evadere dalla sua vita lavorativa: la sua attività principale si svolge all’interno di un’azienda di elettronica a Shinjuku, uno dei quartieri più commerciali di Tokyo.
Il suo ufficio, senza finestra, si trova al 43esimo piano di un grattiecielo e tutti i suoi colleghi, lei compresa, indossano la stessa uniforme. L’unico suono che ascolta, quando è al lavoro, proviene dalle dita che toccano la tastiera o dai suoi colleghi che rispondono al telefono.
Finita la giornata lavorativa Moko Shibata corre a casa e va nel suo mini studio per esorcizzare i demoni della quotidinità lavorativa.
Nessuno del suo ufficio sa che lei fa musica ed è una produttrice.
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Oinos…l’oro d’Irpinia: attese le date per l’apertura dei casting
“Oinos…l’oro d’Irpinia”, attese le date per l’apertura dei casting.
Furante la conferenza stampa tenutasi venerdì 18 marzo, sono stati presentati gli obiettivi e confermati i prossimi step per la realizzazione del progetto cinematografico sul soggetto scritto dal regista irpino Modestino di Nenna.
A fine mese saranno ufficialmente comunicate le date dei provini che saranno aperti a tutti e si terranno all’interno dell’Istituto Agrario “Francesco De Sanctis” di Avellino. Un’occasione importante per promuovere la provincia irpina e che intende porre un faro sul vino di qualità, traino per lo sviluppo del settore.
Le audizioni rappresenteranno momento decisivo in cui saranno selezionate persone provenienti da tutta Italia.
Le comparse, invece, saranno valutate da uno staff tecnico, tra i cittadini residenti delle amministrazioni aderenti al progetto cinematografico.
Il primo ad aver già dato la sua adesione, è stato Vittorio D’Alessio, sindaco di Mercogliano, che ha manifestato entusiasmo a voler dare una vetrina al territorio attraverso uno dei mezzi comunicativi più performanti del mondo della comunicazione e dello spettacolo, il cinema. Presenti all’appello, anche il comune di Montefusco e il presidente di ConfIndustria, Emilio De Vizia, e l’importante presenza del presidente Antonio Capone dell’Ordine degli Agronomi di Avellino.
Al termine della produzione, “Oinos…l’oro d’Irpinia”, il film sarà poi processato nei migliori festival di cinema, per poi continuare con la distribuzione nelle sale cinematografiche del film. Inoltre, i diritti del film saranno ceduti e destinati a servizi on-demand nazionali e internazionali come Netflix e Amazon Prime.
A dare i saluti al tavolo dei lavori, il dirigente scolastico Pietro Caterini che ha rianimato l’importanza e la memoria dello scenario cinematografico nella provincia di Avellino:
Il vino è già stato protagonista di un soggetto cinematografico del regista Alfonso Perugini, intitolato“45Good Wine”e che ha fatto già conquistare molti riscontri e conoscere l’Irpinia. Dare un concreto contributo alla nostra provincia, per promuovere il territorio attraverso una trama appassionante e con un soggetto centrale che ci riguarda è un nostro dovere per investire creare nuove opportunità per il turismo delle aree interne.
Sulla scia dell’affermazione del preside della Scuola Enologica di Avellino, il regista Modestino di Nenna, ideatore e promotore di questa iniziativa è intervenuto dicendo:
La collaborazione stretta con l’istituto Agrario è stata immediata. Il nostro è stato un dialogo aperto seguito da una naturale empatia, ed è per questo che è stato subito accolto con il giusto entusiasmo. Coniugare il cinema al territorio è fondamentale. Il vino irpino è un’eccellenza nel mondo ed è un dato indiscutibile. Il film sarà ambientato in Irpinia e sarà nostro impegno mettere in evidenza gli enti e le cantine che hanno creduto alla realizzazione della produzione a cura della casa cinematografica Follower One srl. La Puglia e la Basilicata sono diventate mete ambite grazie a questo tipo di attività, ed è per questo che ci teniamo a proseguire.
A sostenere la visione e le intenzioni di Di Nenna, è stato l’attore partenopeo Antonio Fiorillo che, per la sesta volta, consolida il rapporto di lavoro con l’autore di Oinos:
È grazie a Modestino Di Nenna che ho avuto la possibilità di conosce una terra ancora inesplorata come questa. Far conoscere i paesi e questo è importante. Il cinema riesce a dare un valore aggiunto alla promozione. Saremo a contatto con prodotti straordinari, conosciuti ovunque.
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I quattro dell’Ave Donato Zoppo: 1969, Beatles, Harrison ed una canzone
Zebra Crossing in verticale sulla copertina di questo suo ultimo libro, come una foto in negativo, dati i colori invertiti, e quattro strisce nere in tutto, come a significare le quattro distinte personalità che furono i Beatles alla fine dei frizzanti anni 60.
John, Paul, Ringo e, soprattutto, lui, George, alias The Quiet One, il tipo più tranquillo dei quattro, dove dietro quella pacatezza si nascondono in realtà delle qualità ineccepibili, soffocate dall’incombenza creativa del duo Lennon- McCartney.
L’ultimo lavoro del giornalista e scrittore sannita Donato Zoppo, Something – Il 1969 dei Beatles e una canzone leggendaria (G.M. Press), per la collana Songs, consiste in una delicatissima ricerca nell’interiorità del chitarrista e compositore George Harrison, ed in particolare nella storia che interessò quest’ultimo durante la composizione del brano Something, compreso nel celebre disco Abbey Road – e rieccole le strisce!-, un album che pose davvero fine, anche se in una maniera stilistica davvero notevole, alla tormentata parentesi che interessò i Fab Four durante l’ultimo periodo della loro faticosa convivenza.
Sta in una tasca, questo libro, e se posso permettermi, la ridotta dimensione, insieme all’artwork molto minimal della copertina, donano a questo saggio una preziosità che ha bisogno però di essere svelata con la stessa destrezza con cui si legge un libro di ricette “finger food”; la sua ridotta mole di cento pagine racchiude in realtà un mondo che allo scrittore musicologo avrebbe occupato una considerevole porzione di tempo, e se si pensano alle meticolose ricerche svolte, e all’incredibile capacità di comprimere il tutto in una soluzione da “easy reading”, può far venire in mente, a qualche appassionato dell’età del jazz, l’eleganza con cui Pietro Citati descrisse nell’altresì piccolo saggio La Morte della Farfalla la focosa e infine tormentata vicenda di Francis Scott Fitzgerald e della sua Zelda.
Sì, signore e signori seguaci del rock ‘n roll: “l’amour fou” come quello dei Fitzgerald c’entra eccome in questa ultima fatica di Donato Zoppo: il brano che emerge dai delicati momenti di tensione, ma anche di straordinarie capacità interpretative e musicali degli ultimi Beatles, partorito dalla mente di George Harrison, Something, è in realtà una canzone d’amore, e probabilmente una delle più belle del secolo scorso, riadattata in qualcosa come altre centocinquanta cover interpretate da artisti famosi e non. La stupenda dedica che il chitarrista dei Beatles fece in onore di Patricia Anne Boyd, meglio conosciuta come Pattie, allora sua moglie, considerata come una delle muse ispiratrici del rock. Anche Layla di Eric Clapton fu scritta per lei, ma questo avvenne qualche anno dopo, e fu un’altra storia…
Quasi come a immaginare Brian Jones dei Rolling Stones, oggi pressoché dimenticato, che proprio in quel 1969 perse la vita a ventisette anni in circostanze misteriose, e rivalutarlo come se non avesse voluto mai soccombere ai fumi delle droghe e ai cocktail di farmaci e alcolici, e si fosse fatto rivalutare come la vera stella tra i mostri sacri Jagger e Richards, rinascendo a nuova vita.
Così George Harrison, per davvero, lavorò strenuamente per la paura che i suoi brani venissero rifiutati, tra la ragguardevole lista delle canzoni funzionalissime di John Lennon e Paul McCartney, e non si perse troppo d’animo, come Brian Jones – quest’ultimo però licenziato dagli Stones- , e senza dar spazio alle frustrazioni che gli suggerivano scarsa autostima, s’intromise con la forza delle sue ottime capacità inventive già nel mastodontico White Album dell’anno precedente.
Eravamo nel 1968 e gli scontri sociali incombevano, mentre i Fab Four davano vita al disco che ispirasse una “rivoluzione”, sia in termini di long playing che di iniziazione all’importanza dei Working Class Heroes lennoniani. Proprio lì il nostro George Harrison vi inserì un suo pezzo che conquistò un 45 giri, il lato B di Lady Madonna, ossia The Inner Light.
Altri ce ne furono in passato, e tutti accentuarono il tocco espressivo in continuo mutamento che gratifica ed intensifica gli album in questione, come la Taxman di Revolver del 1966.
Riaccostandoci ancora un’ultima volta al mito di Brian Jones, come quest’ultimo, anche George Harrison sviluppò la tecnica del sitar, particolare strumento a corde dal suono avvolgente, e Donato Zoppo, in tale occasione, ci ricorda quanto sia stato importante il suo avvicinamento alla cultura indiana, soprattutto se si prendono in considerazioni le “liaisons”che intercorrono tra questi esempi di artisti particolarmente ispirati e le altre culture, anche quelle all’apparenza più lontane, che in qualche modo hanno condizionato il loro modo di scrivere, e di porsi, soprattutto, intensificandone il riflesso ai più curiosi e organizzandone una vera e propria cultura di massa.
Donato Zoppo applica un ragionamento sano e funzionale, anche se volutamente sintetizzato al meglio, per irradiare la giusta luce su un personaggio chiave come George Harrison, che con la sua forza emotiva e il suo carisma, quest’ultimo però svelatosi in conseguenza alle rotture interne dei Beatles causate anche da scartoffie legali per i diritti d’autore da tutelare, arrivò addirittura a minacciare l’uscita dalla band, se gli altri non avessero tirato dritto e badato anche alle sue, di richieste. Lo fece anche Ringo, a suo tempo, l’anno precedente, e stranamente la data coincise perfettamente con l’istanza di divorzio di Cynthia Lennon nei confronti del marito.
Spiega Donato Zoppo:
Harrison è un po’ più distaccato rispetto alla fama, è attento a quello che gli accade intorno, dai guru indiani che inanella con devozione sulla copertina di Sgt. Pepper agli aspetti economici del suo lavoro, dall’interesse per la soul music e il folk rock all’amicizia con Bob Dylan. Mentre gli exploit individuali di John e Paul sono percepiti come interni al microcosmo Beatles (…), gli episodi firmati Harrison risultano come suoi, non organici al gruppo. In pratica un solista all’interno della sua band, le cui canzoni sono scatti d’individualità.
Insieme alla storia di una canzone, che è l’apoteosi del pensiero di un chitarrista mito; il 1969, anno di meraviglie musicali, concerti cult e di utopie figlie della fu Summer of Love; i Beatles, che attraversarono tutti i Sixties, influenzandoli con il loro stile in continuo mutamento; George Harrison, figlio di un’apertura musicale e culturale che avrebbe innalzato lo stendardo di più culture condivise; tutto ciò si affronta nel saggio Something.
Mi chiedo: questo percorso biografico sui Beatles, probabilmente iniziato da Donato Zoppo già nella prefazione al libro Revolution di Francesco Brusco, saggio che racconta il ’68 dei Fab Four, avrà dunque un sequel, così come ha affrontato negli anni le sue ricerche su Lucio Battisti?
Io spero di sì, considerando la qualità dei suoi lavori precedenti su Area, King Crimson, PFM, o Genesis, e spero davvero che ancora possa focalizzare l’attenzione su un musicista in particolare, valutandone la sua ottica all’interno di un microcosmo di una rock band, sottolineando gli effetti di un successo senza limiti, azzerandone le potenzialità d’immagine, ed acutizzando la valutazione caratteriale e comportamentale, e di quanto possa essere quest’ultima distorta dagli onori dell’Olimpo dei più Grandi.
Carmine Maffei
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Trianon Viviani, Roberto D’Alessandro rilegge l’unità d’Italia
Venerdì 27 gennaio, alle 21, al Trianon Viviani sarà di scena “Terroni. La vera storia dell’unità d’Italia”, lo spettacolo sulla questione meridionale che Roberto D’Alessandro ha tratto dal libro omonimo di Pino Aprile.
D’Alessandro, calabrese di Montalto Uffugo, cresciuto artisticamente a Roma alla scuola di Gigi Proietti, propone con Aprile una controstoria dell’Unità d’Italia.
Spiega l’autore, attore e regista:
L’incontro fra le due metà d’Italia è evidentemente uno scontro fra due mondi lontani, due realtà che procedono a velocità diverse e forse anche in direzioni diverse: l’elenco dei luoghi comuni sui meridionali è lungo e fa sorridere anche, perché in parte è veritiero, ma il punto è capire che questa distanza, ormai oggettivamente abissale, trova origine in una “malaunità”.
Rifuggendo da un approccio didascalico, il mio spettacolo racconta con il sorriso e la leggerezza una “controstoria” fatta di saccheggi, stupri, repressioni di ingiustificata violenza e lunghi anni di scientifico sfruttamento economico da parte di un Nord che fonda la propria ricchezza sulla povertà di un Sud, per cui la questione meridionale, a oltre 160 anni dall’Unità, rimane chiaramente un problema insoluto solo perché non lo si è voluto risolvere.
Ad accompagnare la narrazione, un coro di canzoni popolari e di musiche scritte da Eugenio Bennato e Mimmo Cavallo, eseguite da Mariano Perrella. Con D’Alessandro in scena, Isabella Alfano, Giuseppe Coppola e Federico Pappalardo. L’allestimento scenico è di Clara Surro, i costumi di Salvatore Argenio e Annamaria Pisapia. Paolo Orlandelli è il regista assistente. La produzione è di Obiettivo Roma.
Sempre venerdì 27 gennaio, prima dello spettacolo, alle 19, ci sarà una presentazione della recente riedizione aggiornata del bestseller di Aprile uscito nel 2010: intitolato “Il nuovo Terroni”, per i tipi della libreria Pienogiorno, il volume è il frutto di una revisione del testo e dei documenti analizzati e integra altri tre capitoli alla stesura originaria. Il libro sarà presentato dall’Autore con Eugenio Bennato e Roberto D’Alessandro. Ingresso libero fino a esaurimento dei posti.
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