È stato pubblicato il terzo video estratto da “Teresa”, quarto album solista Marcello Giannini. Il chitarrista torna con un lavoro solista dove la ricerca musicale, specie chitarristica, è dettata dalla voglia di ritornare ad un suono più crudo e primitivo, più legato al rock, al blues e alle chitarre morriconiane.
Dichiara Marcello Giannini:
Ogni disco che pubblico a nome mio è come un diario di viaggio sulla mia personale ricerca musicale e sugli ascolti e incontri musicali che faccio durante gli anni. Quest’ultimo lavoro nasce dalla necessità di riscoprire il lato più semplice della composizione dopo le collaborazioni con Nu Genea (Nu Guinea) e il produttore Seb Martel in occasione del disco 31Salvitutti di FLO.
Questi incontri mi hanno ispirato e ho avuto il bisogno di creare una musica meno legata al mondo jazz-rock ed elettronico e di lavorare ad una musica fatta di armonie semplici e strutture più simili alla forma canzone.
Teresa, pubblicato dalla label NoWords in formato digital e vinile 180gr., gode della collaborazione dei migliori musicisti del circuito jazz rock napoletano: Marco Castaldo, che ha registrato il 90% delle batterie, Andrea De Fazio e Stefano Costanzo alle restanti batterie, Michele Maione alle percussioni, Pietro Santangelo al sax, Derek di Perri all’armonica, Riccardo Villari al violino, Paolo Petrella al contrabbasso e Stefano “Mujura” Simonetta al basso elettrico.
La copertina dell’album è a cura di Andrea Bolognino artista che ha creato l’opera video che accompagna il brano “Elementi“.
Bolognino è un poliedrico artista napoletano che ha fatto della sperimentazione il suo credo. Da sempre a contatto con il polimorfo campo di indagine della creatività, ad attrarlo fatalmente verso l’arte è stato un incessante bisogno di sperimentazione e produzione nell’ambito del visivo. Molte le collaborazioni, residenze artistiche e impegno Accademico come nel mondo dell’illustrazione e fumetto.
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Consorzio Tutela Nebbioli: scoprendo i vini dell’Alto Piemonte
Il Consorzio Tutela Nebbioli dell’Alto Piemonte dal 1999 valorizza e promuove i vini delle province di Biella, Novara, Vercelli e Verbano Cusio Ossola, diffondendo le due Docg (Gattinara e Ghemme) e le 8 Doc (Boca, Bramaterra, Colline Novaresi, Coste della Sesia, Fara, Lessona, Sizzano e Valli Ossolane.
Le aziende che aderiscono al Consorzio Tutela Nebbioli rappresentano la quasi totalità della produzione, in cui sono presenti aziende di antichissima tradizione locale e altre realtà più recenti.
In occasione dell’evento Taste Alto Piemonte, organizzato da Ais Piemonte e Ais Campania, è stato possibile conoscere 20 produttori della zona e capire il perché questi vini siano diventati sempre più importanti sia nel panorama nazionale che internazionale.
L’Alto Piemonte prima del Dopoguerra era un fittissimo vigneto che si è ridotto via via per l’industrializzazione. Il territorio ha una conformazione collinare che da sempre lo rende perfetto per la viticoltura soprattutto per le condizioni dovute al microclima.
Il Monte Rosa, infatti, protegge questi territori dai venti freddi del Nord mentre durante le stagioni più calde i venti freschi dei ghiacciai e delle valli portano ventilazione e frescura notturna. Oltre ad avvalersi di un’ottimale posizione dovuta a fattori naturali e di terroir, ciò che caratterizza i vini di questo territorio è una cultura storica e un’attenzione radicata che tende alla salvaguardia e alla valorizzazione dei viticoltori di ciascun territorio.
I vini si caratterizzano per la loro complessità olfattiva, per la loro eleganza organolettica ma soprattutto per essere diversi nelle loro caratteristiche. Non si troverà o assaggerà mai un Nebbiolo che ne ricorda un altro e ciò è dovuto all’amore e alla dedizione di ciascun viticoltore che preserva le naturali ed intrinseche caratteristiche del proprio terroir, facendone un vanto perché ciò che è importante è l’unicità e la diversità non l’omologazione ed è questo il vero segreto che ha condotto questo territorio a ricavarsi una posizione speciale e privilegiata all’interno di un mondo in cui troppo spesso si pensa alla standardizzazione del gusto finalizzata alla vendita, a discapito della materia prima.
Ciò che affascina di ciascuna cantina e di ciascun produttore è l’amore per il territorio e l’orgoglio con cui si descrivono i propri prodotti perché c’è la consapevolezza di lavorare una materia viva, mantenendola fedele alla propria natura, anche quando si decide di sperimentare, offrendo al cliente una versione rosata di Nebbiolo spumantizzato.
I vini affascinano per la loro intensità, per i loro profumi e per la propria personalità. La loro eleganza è caratterizzata da una particolarità avvolgente.
Parlando con ciascun produttore Consorzio Tutela Nebbioli dell’Alto Piemonte si comprende parte di una storia, di un terreno, di una vigna e si riesce ad apprezzare maggiormente il prodotto finito.
Consorzio Tutela Nebbioli: curiosità sulle dominazioni
Per poter comprendere meglio ciò che abbiamo detto, è necessario fare una breve descrizione delle denominazioni che caratterizzano questo territorio.
Boca: è un vino dalle origini molto antiche, sono numerose le testimonianze di cui si parla di forniture di Boca alle armate spagnole che dal Piemonte si spostavano per occupare la Lombardia. La natura dei terreni è particolare perché permette ottime condizioni ambientali sia per il Nebbiolo ma anche per la Bonarda novarese e la Vespolina.
Bramaterra: viene prodotto nel territorio di 7 paesi della zona collinare sopra le Baragge, protetta dal Monte Rosa. La sua origine deriva dall’affrancamento dei servi della gleba che si stabilirono lungo questo territorio, iniziando a coltivare la vite.
Colline Novaresi: la denominazione è stata riconosciuta nel 1994. L’area di produzione comprende le colline tra il fiume Sesia e Ticino, dove la coltivazione è presente dall’epoca preromana.
Coste della Sesia: la Doc è stata nel 1996 e viene prodotta sulle colline che si affacciano tra la Dora Baltea e il fiume Sesia, tra i paesaggi naturali più belli e di valore.
Fara: molto apprezzato in età medievale dagli abati, che si dedicavano alla sua coltura non solo per fini liturgici ma per assicurarsi una rendita indispensabile per il sostentamento della comunità ecclesiastica.
Gattinara: vino dalle origini antiche, i cui vigneti furono impiantati dai romani nel II secolo a.C. Il Cardinale Mercurino Arborio, marchese di Gattinara e Cancelliere di Carlo V, lo presentò alla Corte del Re di Spagna, facendolo conoscere alla nobiltà europea. La Docg è stata riconosciuta nel 1990.
Ghemme: storico vino del Piemonte la cui origine risale al IV-V millennio a.C. Si narra che in epoca romana, tanto copiosa fosse la produzione che la città di Agamium, oggi Ghemme, avesse come simbolo un grappolo d’uva e un mazzo di spighe di grano.
Lessona: con questo vino Quintino Sella brindò al primo governo dell’Italia unita. Nel 1976 è diventata Doc.
Sizzano: vino con profonde radici storiche, molto amato da Camillo Benso Conte di Cavour che paragonò il suo bouquet floreale a quello della Borgogna. Riconosciuto Doc nel 1969.
Valli Ossolane: La presenza del Prunent (Nebbiolo) in Ossola è accertata da più di 700 anni.
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Il viaggio di Capitan Fracassa: Ettore Scola narra la realtà velata dal fascino del teatro
Siamo a Trevico, in provincia di Avellino ed è il 1940.
È sera e fa molto freddo in paese, e la famiglia Scola è radunata nel suo palazzo. La guerra è già iniziata da un pezzo, ma sembra così lontana e lì, in Baronia, pare che l’eco di essa non riesca a rientrare tra le preoccupazioni.
Il piccolo Ettore Scola, di nove anni, siede davanti al fuoco col nonno, non vedente che, quella sera così come le altre ancora a venire, gli chiede di prendere un libro dallo scaffale, e di leggere ad alta voce.
Ettore Scola non è tanto entusiasta dell’idea: quelle sono storie difficili per lui, spesso noiosissime, e non riesce quasi sempre a comprenderne il significato.
Quella sera però, qualcosa succede. Il volume che ha tra le mani, mentre con enfasi ne legge il contenuto, inizia a trasmettergli qualcosa di nuovo: nella sua mente le immagini si fanno sempre più vive, la storia lo trascina in un vortice di fatti e accadimenti da cui proprio non riesce a staccarsi.
Molti anni dopo, trasferitosi a Roma, e diventato un regista di successo: come dimenticare C’eravamo tanto amati (1974) o Una giornata particolare (1977)?, nonostante le acclamazioni e gli impegni che lo rendono occupatissimo a sviluppare nuove idee (inizia in realtà la carriera come sceneggiatore del film Un americano a Roma di Steno), non è mai riuscito a staccarsi dalla convinzione che quel libro che aveva letto al nonno più di quarant’anni prima avrebbe dovuto prendere vita con la realizzazione di un film.
Il libro in questione era Capitan Fracassa di Théophile Gautier. Si narra che, inizialmente, pensando alla trasportazione sul grande schermo, avesse contattato un giovanissimo Gérard Depardieu, che all’inizio degli anni ’80 era un ragazzo smilzo, e gli avesse riferito del progetto, riservandogli la parte del protagonista, un nobile dimenticato ed affamato, esiliato nella sua proprietà anch’essa in via di abbandono insieme all’umile servo, mentre le famiglia aveva perduto tutte le ricchezze.
Il film però non fu realizzato che una decina d’anni più tardi, e nel frattempo Gérard Depardieu aveva acquistato molto peso, così l’attore stesso decise di rinunciarvi.
Iniziano così finalmente le riprese di Il viaggio di Capitan Fracassa, con la produzione di Mario e Vittorio Cecchi Gori, di cui Ettore Scola, oltre ad esserne il regista, cura la sceneggiatura con molta naturalezza, coi ricordi della sua infanzia davanti alla libreria della sua casa di Trevico. Il film esce al cinema il 31 ottobre 1990, cinquant’anni dopo quelle letture che dedicò con trasporto al nonno non vedente.
Il viaggio di Capitan Fracassa: trama
Nel ‘600, una combriccola un pò sgangherata di attori, gira col suo carretto trainato da buoi, un mezzo che funge sia da casa che da palco per mettere in scena i loro spettacoli itineranti, mentre partono dalla Spagna e sono diretti in Francia, e precisamente a Parigi, dove sperano di ricevere il meritato successo. È durante questo viaggio che s’imbattono nella vecchia e abbandonata tenuta del barone Sigognac (interpretato da Vincent Perez), che infine prendono con loro, perché il vecchio servo narra la leggenda che il re avrebbe tenuto a cuore un gesto benefico della sua nobile famiglia, ridotta però al lastrico per ignoti motivi. Accompagnare il barone fino al cospetto di Luigi XIII, avrebbe significato per loro ricevere il doveroso rispetto dalla corte, quindi da tutta Parigi, che avrebbe per sempre lodato la bravura della compagnia, a cui sarebbe aspettato un periodo d’oro.
Il servo (Ciccio Ingrassia) raccomanda il suo sfortunato padrone a Pulcinella (Massimo Troisi), donandogli cento scudi d’oro, e chiedendogli di guidarlo sempre nella giusta direzione, essendo il barone privo di qualsiasi esperienza, perché vissuto soltanto tra le quattro mura di casa sua. Durante una nevicata. succede che uno degli attori, Matamoro (Jean-François Perrier), trovi la morte, e il barone Sigognac, che nel frattempo, con la guida di Pulcinella ha guadagnato un certo coraggio, fidanzandosi dapprima con la bella Serafina (Ornella Muti) e poi con Isabella (Emmanuelle Béart), si fa avanti per sostituirlo, tra gli sguardi increduli degli altri.
Dimenticandosi il nome del suo protagonista, dà vita così al personaggio di Capitan Fracassa. La commedia si tiene al castello del marchese di Bruyères (Marco Messeri), che invita il duca di Villambrosa (Remo Girone). Quest’ultimo s’innamora di Isabella, e tale gesto incita l’ira del barone Sigognac, che lo invita al duello. Isabella, per salvare il barone da una morte certa, fugge via col duca e abbandona la compagnia. Nel frattempo però il barone ha una brutta ferita, che avrà bisogno di cure. Fortuna che il brigante Agostino (Claudio Amendola), trovandosi lì per caso, conosca un dottore bravissimo…
Il viaggio di Capitan Fracassa: storia, curiosità e tematiche.
Il film fu, per tutta la sua durata, girato al Teatro 5 di Cinecittà, il più grande, almeno all’epoca, d’Europa, e le scene furono volutamente curate con scenografie dipinte.
Nella pellicola, infatti, si denotano fortemente questi paesaggi finti, che si addirittura mal si prestano all’ambientazione selvaggia (la compagnia sgangherata ma bravissima viaggia sempre tra i boschi), e agli interni, anch’essi piuttosto “disegnati” dei castelli di Sigognac e di Bruyères.
Il film si apre con un siparietto, mentre l’inquadratura s’intromette pian piano in esso, e penetra tra le scene e le prime battute degli attori. Lo spettatore quindi è catapultato, fin da subito, in una pièce teatrale, con attori che interpretano a loro volta attori itineranti (scavalcamontagne come li definì Ettore Scola), e la voluta scenografia di cartone, ha il valore simbolico del lavoro che c’è dietro una rappresentazione; il film, in quanto esso tale resta, ha il compito, o meglio, gioca col suo pubblico la scommessa di fondere la realtà col teatro e viceversa.
Se all’inizio tale congettura disorienta, facendo immaginare un lavoro mediocre ed economicamente scarso, alla fine abitua l’occhio alla storia, che a sua volta racconta una storia di un teatro. Un teatro che narra, a sua volta ancora, la nascita di un personaggio inventato durante il lungo viaggio fino a Parigi, Capitan Fracassa, frutto della fantasia del barone Sigognac, che nel frattempo ha sbaragliato la sua primordiale timidezza ed ha scoperto una vocazione che lo porterà ancora più lontano degli agognati splendori che gli avrebbe promesso il sovrano di Francia. Sarà lui a guidare da regista, infine, la compagnia fino alla Ville Lumière, e presentare ad un pubblico, povero ma entusiasta, una storia che sa di mistero, finzione e realtà: la sua stessa storia, in poche parole, arricchito con la fantasia.
È proprio il pubblico, questa massa di contadini, gente che vive di quasi nulla se non con le proprie risorse, la forza che ha voluto far intendere Ettore Scola. Il regista, infatti, punta molto le inquadrature sui volti esterrefatti della gente che assiste al teatrino e che paga con ciò che può, anche con beni in natura, e che attraverso le storie che vengono presentate, s’immedesima in esse, sogna, mette in moto la sua stessa fantasia e si finge ora un conte, ora un barone, ora un condottiero valoroso, e con tali scene ottiene il suo riscatto nei confronti dei più potenti, di chi li schiaccia.
Un’ambientazione à la Hugo, con tutta la sua povertà e il suo millesimale valore sociale, che dona ad un pubblico analfabeta, che vive di ciò che si può, una scuola di vita e che gli fa conoscere le ambientazioni che ritraggono un mondo che neanche conoscono, e che forse hanno soltanto sentito tramandato nelle storie accanto al focolare di famiglia, lo stesso in cui si trovò, seppur in una misura più fortunata, il piccolo Ettore Scola, nel salone della sua casa natìa di Trevico, mentre leggeva al suo nonno quei romanzi, quelle storie che forse poco comprendeva, ma che avrebbe incamerato per dar inizio ad una carriera senza precedenti, che ha arricchito la storia del cinema italiano con capolavori indimenticabili.
Questa storia, signori, nasce dall’amore per la lettura.
Carmine Maffei
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Il Consorzio Tutela Vini d’Irpinia in tour negli Stati Uniti
Il Consorzio Tutela Vini d’Irpinia in tour negli Stati Uniti con una serie di eventi a New York per promuovere i vini, la cultura e il territorio dell’Irpinia.
Ha affermato Teresa Bruno, Presidente del Consorzio:
Il Consorzio ha organizzato una serie di iniziative nei mercati di esportazione dal settembre 2022. Quest’anno festeggiamo i 30 anni dall’ottenimento della Docg per il Taurasi e i 20 anni della Docg per Fiano di Avellino e Greco di Tufo. New York è il luogo perfetto per questa celebrazione, un mercato che è sempre stato favorevole ai nostri vini . Lavorando insieme, attraverso il Consorzio di Tutela Vini d’Irpinia, possiamo condividere la magia di un territorio come l’Irpinia, concentrandoci sulla nostra straordinaria viticoltura eroica che si pratica anche ad alta quota.
Tre gli eventi – tutti hanno riscosso un importante successo – promossi dal Consorzio nella Grande Mela, in collaborazione con ristoranti e wine educator. In particolare, una Masterclass guidata dalla wine educator Susannah Gold sui vini dell’Irpinia si è tenuta presso “Il Gattopardo”, noto ristorante italiano di proprietà di Gianfranco Sorrentino, originario della Campania, alla presenza di alcuni produttori dalla provincia di Avellino.
Quindi tappa al SVA Theater, dove il Gruppo Italiano e il Consorzio hanno tenuto la “Italian Table Talks“, tavola rotonda con una degustazione itinerante, moderata da Randall Restiano, beverage director presso Eataly. Infine il Consorzio ha organizzato un Pizza Party presso Ribalta, un’autentica pizzeria napoletana gestita da Rosario Procino e Pasquale Cozzolino.Il Consorzio di Tutela Vini d’Irpinia è stato fondato nel 2003 e lavora per promuovere e salvaguardare i vini dell’Irpinia, sia le denominazioni DOCG che DOC. Teresa Bruno, della cantina Petilia, è la Presidente del Consorzio e Ilaria Petitto, della cantina Donnachiara, è la Vice Presidente.
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