Sarà il maestro impressionista Edgar Degas ad inaugurare il programma di mostre d’arte a Napoli nel 2023. Dal 14 gennaio al 10 aprile, Degas il ritorno a Napoli, ospitata nel prestigioso complesso monumentale di San Domenico Maggiore, a pochi passi dal palazzo Pignatelli di Monteleone dove Degas soggiornò nel 1856, celebrerà l’arte del maestro francese e il suo stretto rapporto con l’Italia, in particolare con la città di Napoli.
Prodotta dalla società Navigare Srl in collaborazione con il Comune di Napoli e Diffusione Cultura, e curata da Vincenzo Sanfo l’esposizione allestita nella sala del Refettorio presenterà al pubblico un’ampia panoramica di oltre 100 opere tra cui l’importante disegno “Ritratto di Eugène Manet”; 19 monotipi della serie Maison Tellier, 32 monotipi originali sulla Famiglia Cardinal realizzati da Degas, stampati da Ambroise Vollard, e 40 disegni in facsimile dal Carnet di Ludovic Halévy.
Il noto legame tra Degas e il mondo della danza, largamente rappresentato nelle sue opere, sarà presente in mostra attraverso due sculture, alcune preziose incisioni d’epoca e disegni raffiguranti ballerine realizzati in un prezioso facsimile per il celebre Carnets di Ludovic Halévy.
Alle opere originali, selezionate tra collezioni private francesi e belghe, saranno affiancate riproduzioni e proiezioni per accogliere lo spettatore in un coinvolgente racconto della biografia personale e artistica del pittore e scultore francese. Tra queste: la proiezione del famoso dipinto dedicato alla Famiglia Bellelli, capolavoro realizzato a Firenze e che ritrae la cugina di Degas con le figlie e il marito.
Ma anche il ritratto del nonno René Hilaire De Gas, realizzato durante la permanenza a Napoli, oltre a fotografie di scorci del palazzo di famiglia sito a Napoli e i ritratti del padre, delle sorelle e del fratello, in parte con fotografie originali d’epoca e, in parte, con proiezioni dei ritratti realizzati da Degas stesso. Una sezione, infine, sarà dedicata alla passione di Degas per la fotografia, con scatti provenienti dalla Bibliothèque Nationale de France.
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Ferite a morte di Serena Dandini diventa una rappresentazione teatrale
Ferite a morte (2013) di Serena Dandini edito da Rizzoli è un libro che l’autrice ha pensato e presentato in diversi programmi televisivi e racconta, dando voce, alle vittime di femminicidio come se potessero parlare in prima persona, dopo essere state ammazzate. Il testo è ancora attuale perché tra le mura delle case italiane e nel resto del mondo si nasconde una sofferenza silenziosa che risponde al nome di violenza domestica.
Una condizione che è stata esasperata, soprattutto, durante il lockdown e la pandemia che ha costretto ad una convivenza senza via d’uscita per molte donne.
Ferite a morte di Serena Dandini diventa una rappresentazione teatrale rivisitata
Ferite a morte è un libro necessario perché da’ voce a tutte quelle donne che non sono state ai patti e che hanno pagato con la vita il prezzo della loro “disobbedienza”.
Mentre la televisione ha il diavolo della velocità e del consumo immediato, i libri possiedono ancora quei ritmi lenti che aiutano i pensieri e soprattutto i ripensamenti. Ma nel caso di questo libro è stato tutto accelerato da una forte urgenza, quasi una necessità impellente di condividere rabbia e tenerezza, indignazione e mille altri sentimenti tumultuosi che sono scaturiti dall’esperienza di questa strana adunata che è stata e continua a essere Ferite a morte.
Il 25 novembre ricorre la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, una giornata importante che dovrebbe servire a far riflettere su questo tema delicato su cui, molto spesso, si specula senza fare i dovuti approfondimenti e senza dedicargli il giusto valore. Ci sono eventi culturali che non hanno solo come scopo l’intrattenimento ma la divulgazione di un tema che va affrontato con la parola e non con semplici panchine rosse sparse qua e là, che comunicano senza profondità.
È nella comunicazione, nella condivisione e nello scambio di opinioni continui che si ottengono piccoli traguardi che potrebbero segnare un cambiamento, anche piccolo.
Ferite a morte diventa una rappresentazione teatrale rivisitata da Giulia Casella
Ferite a morte grazie alla sensibilità di Giulia Casella diventa una rappresentazione teatrale rivisitata grazie alla partecipazione di altre donne non attrici professioniste che diventano le voci narranti di uno spettacolo che non sembra per nulla amatoriale ed è estremamente toccante e profondo.
Ciascuna donna si alterna nelle letture di alcuni passi tratti dal libro e reinterpretati, mostrando le diverse tipologie di donne che possono essere vittime di un destino che con la libertà e la democrazia non hanno nulla in comune.
Le storie non provengono solo dal passato ma dal nostro tempo e dalla nostra società moderna. Ciascuna storia letta di Ferite a morte lascia un magone perché non si può parlare di emancipazione quando mancano le basi culturali.
Sono morti annunciate, che tutto il vicinato aveva previsto ma nessuno ha mosso un dito perché ognuno a casa sua fa come gli pare; sono casi giudiziari che vengono liquidati come inevitabili conseguenze di un “improvviso raptus di follia” e invece sono la coerente conclusione di violenze durate a volte un’intera vita: sono sentenze eseguite davanti agli occhi di una società incapace di riconoscere questo dramma antico, una platea che ha perso la forza di indignarsi quando le storie con le protagoniste più giovani e piacenti sono trasformate in telenovelas nei programmi di “approfondimento giornalistico”.
Viviamo in un mondo che è arcaico e retrogrado in cui le violenze domestiche e le donne che muoiono sono la dimostrazione lampante di ciò che eravamo, di ciò che siamo e di ciò cui dovremmo aspirare.
Il potere della condivisione che nasce da diverse donne, tutte diverse tra loro, ma che hanno in comune la voglia di sensibilizzare il mondo, cercando di dare il loro contribuito e mettendo a disposizione il proprio tempo per qualcosa d’importante.
A Mondragone, una piccola comunità, si è celebrato il 25 novembre con grande dignità e sensibilità. Uno spettacolo teatrale fuso con la musica del Quintetto Oka e Monica Vellucci che hanno contribuito a rendere ancor più incisive e caratteristiche le letture di Ferite a morte.
Un intrattenimento pensante, di quelli che si fa’ fatica a trovare nelle piccole comunità dove basta ricordare giornate importanti come quella del 25 novembre con un post condiviso sui social che lascia il tempo che trova e che sembra sabbia negli occhi, per chi crede che bisogna fare altro e che basterebbe davvero poco per dimostrare impegno maggiore e maggiore sensibilità.
Non è in questo modo che si fa’ la cultura e che si scuotono le coscienze.
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Contro l’interpretazione di Susan Sontag
Contro l’interpretazione di Susan Sontag è un libro raccoglie scritti dedicati al teatro, al cinema, alla letteratura, tra cui il famosissimo Notes on Camp.
Un limpido talento critico, una capacità fuori dal comune di orientarsi nell’universo contemporaneo di segni e linguaggi plurali: con sguardo allenato da continue combinazioni tra passioni profonde e interessi eclettici, Susan Sontag traccia un’originalissima, radicale rotta attraverso la teoria, la letteratura, il cinema, il teatro e le arti degli anni sessanta del ’900.
Prima dell’“età del nichilismo”, Sontag scrive gli articoli riuniti nel 1966 in Contro l’interpretazione, il suo libro d’esordio come saggista: “un atto di liberazione intellettuale” che la fa in breve diventare una figura di riferimento dello scenario contemporaneo, delle sue rivelazioni, trasgressioni, sperimentazioni, illusioni, della sua opposizione alle gerarchie (alto/basso) e alle polarità (forma/contenuto, intelletto/sentimento).
Oggi dissento da alcune delle cose che ho scritto, ma non si tratta di un tipo di ripensamenti che renda possibili cambiamenti parziali o revisioni. Anche se credo di aver sopravvalutato o sottovalutato i meriti di alcune delle opere che ho discusso, il mio attuale dissenso ha poco a che fare con singoli mutamenti di giudizio.
In ogni caso, l’eventuale valore di questi saggi, e la misura in cui sono qualcosa di più di una semplice illustrazione dell’evoluzione della mia sensibilità, non dipendono dalle specifiche valutazioni formulate, bensì dall’interesse dei problemi che sollevano.
Che scriva dello “stile” come centro di gravità dell’espressione artistica o disegni una mappa dettagliata e ormai classica delle forme della sensibilità “Camp”, che parli degli happening in cui l’azione evade dai teatri o si sposti dal diario di Pavese ai Taccuini di Camus, dalla libertà di Genet alla coscienza disgustata di Sartre, il filo delle parole di Susan Sontag non perde il suo obiettivo: evitare che il vaso di Pandora dell’interpretazione-superfetazione si rovesci sull’esperienza dell’opera d’arte, deformandola e saturandola di “significati” a proprio uso e consumo.
Ho l’impressione non tanto di aver risolto un certo numero di problemi che mi inquietavano e mi affascinavano, quanto di averli prosciugati. Ma la mia è senza dubbio un’illusione. I problemi restano, e ad altre persone curiose e riflessive resterà molto da dire sul loro conto, e forse questa raccolta di recenti considerazioni sull’arte potrà essere utile in tal senso.
Contro l’interpretazione di Susan Sontag
Susan Sontag: chi è?
Susan Sontag (1933-2004), tra gli intellettuali statunitensi più influenti della seconda metà del ’900, nottetempo ha pubblicato i primi due volumi dei diari finora inediti in Italia, Rinata (2018) e La coscienza imbrigliata al corpo (2019), cui sono seguiti il romanzo L’amante del vulcano (2020) e i saggi Malattia come metafora e L’Aids e le sue metafore (2020), Davanti al dolore degli altri (2021) e Contro l’interpretazione e altri saggi (2022), tutti tradotti da Paolo Dilonardo.
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Borghi e centri storici abbandonati in Campania
43 storie, 30 paesi, 13 centri storici, cinque province, 225 immagini. Sono questi i numeri che compongono l’ultimo libro firmato da Roberto Pellecchia.
Di origini austriache, l’autore vive e lavora a Salerno, dove esercita da 35 anni la professione di medico. Fotografo e instancabile viaggiatore, ha all’attivo 6 pubblicazioni di successo legate ai territori.
“Borghi e centri storici abbandonati in Campania” prende in esame quei luoghi che sono stati abbandonati nel corso degli ultimi mille anni e di cui esistono ancora rovine ben leggibili: ruderi, paesi o nuclei storici interi.
Il tema centrale si sviluppa intorno al momento dell’abbandono e ai motivi dello stesso. In taluni casi si tratta di catastrofi naturali, eventi bellici, pestilenze, ma anche abbandoni spontanei e progressivi, causati dalle condizioni disagevoli che le piccole comunità dovevano affrontare per viverci, non più compatibili con gli standard di vita contemporanei.
Numerosi sono gli aneddoti riguardanti sia gli ultimi abitanti che vi vissero, sia l’epoca in cui questi paesi erano vitali.Mentre alcuni di questi, come Roscigno Vecchia, Romagnano al Monte, San Severino di Centola, Apice Vecchio, sono ben conosciuti e meta di visitatori e curiosi, altri stanno scomparendo dalla memoria o dalla sfera del patrimonio storico e culturale.
Eppure, si tratta di luoghi della memoria meritevoli di una valorizzazione turistica con dignità di veri e propri santuari delle comunità, le cui generazioni li popolarono nei secoli.Spiega Roberto Pellecchia nell’intensa prefazione del libro.Il luogo in cui si nasce crea delle radici talmente profonde da tenere legate le persone per tutta la vita e, anche quando se ne vanno, prima o poi sentono il bisogno di tornarci. Per questo motivo ho sempre pensato che in ogni paese abbandonato vi sia il segno della sconfitta dell’uomo da parte di un nemico molto potente, talmente potente da soffocare per sempre quella tenacia che ha spinto ogni popolazione a costruire insediamenti in ogni parte del mondo, anche nelle aree più estreme e inospitali. (…) Perché un paese non è solo un insieme di case, un luogo dove le persone vivono. È, piuttosto, la radice profonda a cui sentiamo di appartenere, che ci accomuna per vicende storiche, per legami di parentela e vincoli di amicizia, che ci identifica grazie a una determinata inflessione dialettale e per modi di dire legati alla storia e al paesaggio. Sono le basi di quel senso di comunità che permette di percepire il posto in cui si è nati, o in cui si abita da tanto tempo, come un rifugio unico e un luogo da amare.Le 43 storie narrano le vicende di 30 paesi e 13 centri storici completamente disabitati sparsi tra le cinque province della Campania, con l’intento di attirare sempre di più l’interesse verso queste realtà abbandonate ricche di fascino, ma implicitamente anche verso numerosi piccoli centri che rischiano lo spopolamento totale nel nostro presente.La pubblicazione raggiungerà le edicole di tutta la Campania in diverse date. Dal 18 marzo sarà disponibile in tutte le edicole della provincia di Salerno, in abbinamento al quotidiano La Città di Salerno, e lo resterà fino a fine aprile.
Per il resto d’Italia è possibile ordinare il libro e richiedere informazioni sulla distribuzione scrivendo una e-mail a borghiabbandonati@libero.itBorghi e centri storici abbandonati in Campania
Le località di “Borghi e centri storici abbandonati in Campania”
Provincia di Napoli: Rione Terra – Pozzuoli.
Provincia di Salerno: Casale Pamponii (Olevano sul Tusciano), Castellammare della Bruca (Ascea), Marina di Furore, Romagnano al Monte, Roscigno Vecchia, Sacco Vecchio, San Giovanni del Tresino, San Nicola di Centola, San Severino di Centola vecchio, Sorbo (Montecorvino Pugliano).
Provincia di Caserta: Caianello Vecchio, Calvi Vecchia, Casignano (Carinaro), Centora (Trentola-Ducenta), Cerquarola (Roccamonfina), Cese Vecchio (Roccamonfina), Croce (Rocchetta e Croce), Formicola di Mastrati (Pratella), Friano (Aversa), Marzanello Vecchio (Vairano Patenora), Matteoli (Sessa Aurunca), Pietramelara, Rocciano (Giano Vetusto), San Felice Vecchio (Pietravairano), San Pietro Infine, Vairano Patenora.
Provincia di Avellino: Aquilonia Vecchia, Borgo-castello di Calitri, Civita di Ogliara (Serino), Conza della Campania, Melito Vecchia (Melito Irpino), Montecalvo Irpino, Quaglietta (Calabritto), Roccabascerana, Senerchia
Provincia di Benevento: Apice Vecchio, Castelpoto Vecchio, Cerreto Antica (Cerreto Sannita), Circello, Limata (San Lorenzo Maggiore), Paduli, Tocco Vecchio (Tocco Caudio).
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