In collaborazione con il Castello D’Aquino caffè letterario di Grottaminarda abbiamo dato vita a cocktail e cultura al Castello, una nuova rubrica che parlerà del mondo della mixology.
Castello D’Aquino caffè letterario: breve introduzione
Ad accompagnarci nei vari appuntamenti, per comprendere più da vicino questo mondo, ci sarà Michelangelo Bruno bartender del Castello D’Aquino caffè letterario. La rubrica cocktail e cultura al Castello parlerà non solo di mixology ma anche di cultura vista e trattata da diverse prospettive.
Il Castello D’Aquino caffè letterario non è solo un luogo di bevute ma soprattutto di incontri letterari, culturali che abbracciano diversi settori e canali di intrattenimento. Questo luogo, infatti, per chi ancora non lo conosce è un luogo di ritrovo e di condivisione, in cui c’è spazio per diverse attività e momenti di scambio.
Uno dei punti di forza che rendono il Castello D’Aquino caffè letterario un luogo speciale, oltre alla location suggestiva, è l’attenzione ai cocktail: non troverete mai solo i classici drink ma sempre novità che si basano su uno studio e una ricerca del giusto bilanciamento tra i sapori, accompagnato da una scelta delle materie prime di qualità da utilizzare.
In questo luogo si fonde l’armonia della tradizione insieme alla bellezza della cultura che accoglie eventi letterari, artistici e musicali accompagnati dalla cura verso il cliente.
Il caffè letterario è incastonato nel Castello D’Aquino, situato all’interno del borgo antico La Fratta di Grottaminarda. Dopo oltre trent’anni di esperienza con lo Chalet Lounge Bar, la famiglia Minichiello ha voluto portare la propria esperienza e professionalità in un luogo pieno di storia!
È così che nasce il caffè letterario Castello D’Aquino!
Per scoprire la prima puntata non vi resta che tenervi aggiornati, seguendo la nostra pagina e quella del caffè letterario.
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Napoli: Ermione di Rossini in scena al San Carlo
Ermione è una delle opere più difficili di Gioachino Rossini, il cui intento era quello di portare in scena una proposta teatrale drammatica e caratterizzata da un forte realismo. Dopo ben 31 di assenza, era il il 1988, Ermione ritorna in scena al teatro San Carlo di Napoli.
Il 27 maggio del 1819, sempre al San Carlo di Napoli, ci fu il debutto dell’opera di Rossini, che fu un fiasco per l’eccessiva tragicità dell’opera, cui il pubblico non era abituato. Da quel momento Ermione non venne più ripresa in nessun teatro fino al 1977 quando, sotto forma di concerto, la tragedia venne ripresentata dinnanzi al pubblico nella Chiesa dell’Annunziata a Siena.
Dal 7 al 10 novembre Ermione ritorna a Napoli con la regia di Jacopo Spirei e viene ripresentata in occasione dei 200 anni dalla sua prima assoluta.
Come afferma lo stesso Jacopo Spirei:
Ermione è un’opera di scelte: amore, dovere, potere e follia. A che cosa si è disposti a rinunciare pur di ottenere quello che si vuole? Si può sacrificare il bene di una nazione per un interesse privato? E per amore? In quest’opera tutti sacrificano tutto e sono disposti a pagare un prezzo altissimo per le proprie scelte.
Rossini, attraverso Ermione, cerca di mettere in rilievo e interpretare le debolezze dell’uomo, quelle stesse che esasperandolo lo conducono a fare scelte estreme. Protagonista, contrariamente ai classici stereotipi della tragedia classica greca, non è un vincitore ma un perdente sconfitto.
Ermione: l’opera teatrale
Troia è stata sconfitta da Pirro, principe degli Achei, che decide di portare con sé alcuni prigionieri troiani tra cui Andromaca, vedova di Ettore, di cui lui è follemente innamorato. Pirro vuole che Andromaca diventi sua moglie anche se, questi, ha promesso di sposare Ermione, figlia di Menelao, che venuta a conoscenza delle intenzioni del suo promesso sposo viene colta da sdegno e implacabile gelosia.
La tragedia è divisa in due atti.
Il primo atto si apre con un coro di prigionieri troiani che lamentano la sconfitta e la distruzione della loro città. Nel coro c’è Andromaca disperata e inconsolabile per la morte del marito Ettore, di cui rivede continuamente il volto. A tormentarla c’è Attalo, confidente di Piro, che continua ad insinuarle le intenzioni amorose del principe che, in cambio del suo amore, le promettere di salvare la vita a suo figlio Astianatte, accettandolo come figlio, qualora dicesse di sì alle nozze. Se Andromaca dovesse accettare le nozze come la prenderebbero gli Achei nel sapere che il successore al trono diventerebbe il figlio di Ettore, acerrimo nemico dei Greci? La possibilità di una nuova guerra, sarebbe un’ipotesi da tenere in considerazione.
Ermione incontra finalmente Pirro, che la umilia e proprio in quello stesso momento viene annunciato l’arrivo di Oreste, capo dei condottieri greci e innamorato di Ermione ma non corrisposto dalla donna, che vuole far ragionare il principe acheo, ricordandogli di rispettare i patti.
Pirro afferma con veemenza le sue intenzioni anche ad Oreste e annuncia il suo matrimonio con Andromaca, che però rifiuta la mano del principe. Pirro infuriato ritorna sui suoi passi, decidendo di sposare Ermione e di consegnare Astianatte ai condottieri greci.
Nel momento stesso in cui Pirro sta per consegnare il bambino, Andromaca gli supplica di darle del tempo per cambiare idea. Pirro si rallegra mentre l’ira pervade Ermione, che ha come unico sentimento quello di vendicarsi dell’affronto subìto.
Il secondo atto si apre con Attalo che comunica a Pirro che Andromaca ha deciso di sposarlo. La notizia giunge anche ad Ermione che, in preda al delirio e alla rabbia, approfittando dell’amore che Oreste nutre per lei gli chiede giustizia per il torto infertole da Pirro. Ermione vuole che Oreste uccida Pirro e che le porti, come prova dell’uccisione, il pugnale intriso del sangue della vittima.
Il giovane innamorato segue alla lettera le parole di Ermione, uccidendo il principe. Pilade, infuriato per la morte di Pirro, minaccia il linciaggio per vendicare l’omicidio. Ermione maledice Oreste mentre viene portato via in preda al delirio.
Ermione: direzione e interpreti
La tragedia che verrà presentata al Teatro San Carlo di Napoli si avvale della seguenti figure direttive:
Direttore: Alessandro De Marchi
Maestro del Coro: Gea Garatti Ansini
Regia: Jacopo Spirei
Scene: Nikolaus Webern
Costumi: Giusi Giustino
Luci: Giuseppe Di Iorio
Assistente alla Regia: João Carvalho Aboim
Per quanto concerne l’interpretazione teatrale
Ermione, Angela Meade / Arianna Vendittelli (10 novembre)
Andromaca, Teresa Iervolino
Pirro, John Irvin
Oreste, Antonino Siragusa
Pilade, Filippo Adami / Julian Henao (10 novembre)
Fenicio, Guido Loconsolo / Ugo Guagliardo (10 novembre)
Cleone, Gaia Petrone
Cefisa, Chiara Tirotta
Attalo, Cristiano OlivieriOrchestra e Coro del Teatro di San Carlo.
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Volevo essere una vedova: l’ultimo romanzo di Chiara Moscardelli
La scrittrice Chiara Moscardelli dopo Volevo essere una gatta morta (2011), il suo romanzo d’esordio, nel 2019 cambia prospettiva, pubblicando per Einaudi Volevo essere una vedova.
L’elemento predominante, in entrambe le pubblicazioni, è la sferzante comicità con cui la scrittrice riesce a descrivere dettami sociali universalmente sottointesi, mostrandoli in modo reale e strappando un sorriso nel lettore.
Chi è la gatta morta per Chiara Moscardelli?
La gatta morta per Chiara Moscardelli è quella donna che nella vita sentimentale riesce a realizzare il proprio obiettivo: quello di accasarsi. Nasce con questo scopo da perseguire nella sua vita, crescendo affina le sue arti seduttive e riesce finalmente a portare a casa lo sventurato di turno.
Usando le stesse parole della scrittrice:
La gatta morta è una micidiale categoria femminile. Non fa battute divertenti, sta in disparte, non esprime opinioni. Ha paura dei thriller, le pesa la borsa, non fa uscire il suo ragazzo con gli amici, non si concede mai al primo appuntamento, neanche al secondo e al terzo e fin da piccola ha un solo scopo: il matrimonio.
A trent’anni Chiara Moscardelli crede che la gatta morta possa essere l’unica chiave d’accesso più congeniale, per poter trovare quell’equilibrio sentimentale formato da due individui che decidono di condividere gioie e dolori.
A quarantasei anni le prospettive della scrittrice cambiano, insieme all’aiuto del suo analista, e la sua unica aspirazione indotta dalla società con cui si rapporta quotidianamente è quella di voler essere una vedova, per evitare di essere guardata, usando le parole dell’autrice, come si guarda una che è in attesa del trapianto di un organo che non arriverà mai.
Ecco uno, tra i tanti episodi, in cui Chiara Moscardelli si è imbattuta e che le hanno messo l’idea di voler essere vedova.
Ero di fronte all’ennesimo ortopedico.
-Sposata?- mi chiese, non appena mi sedetti di fronte a lui, dall’altra parte del tavolo.
-No.
-D’accordo- disse pensieroso continuando a digitare.
-Gravidanze?
…
-No.
-Anni?
-Quarantasei, – sussurrai.
-Come?
-QUARANTASEI.
…
-No, scusi, – mi corressi, tornando a respirare, – non ne ho ancora quarantasei! Mi sembrava strano… siccome li faccio tra pochissimo, quarantesei intendo, mi è venuto spontaneo dirlo, ma non è così!
– Allora scrivo quarantacinque. Però gravidanze niente. Mi conferma?
-No, in effetti no. Cioè sì, glielo confermo.
-Mmm.
-Senta, scusi. Ho per caso sbagliato medico?
-Prego?
-Voglio dire, lei è ginecologo?
-Certo che no. Che glielo fa credere?
…
-Proseguendo con le domande, perché niente gravidanze? Qualche malattia? Impedimento? Sa, il tempo è tiranno eh!- E quest’ultima frase la disse facendomi anche l’occhiolino.
…
Ero vecchia. Ecco cosa stava cercando di dirmi. Come tutti.
Come mai? Come mai avevo quarantacinque anni e non avevo figli?
L’ortopedico non si sarebbe accontentato di una semplice risposta. Era un tipo tosto, si vedeva. -Sono vedova! – gridai.
…
-Questo mi addolora. Così giovane…
…
A quaranticique anni ero vecchia, ma in quanto vedova, invece…
Per la sua età (46 anni), infatti, sembra strano anche all’ortopedico che non sia sposata, divorziata, convivente e che, addirittura, non abbia figli.
L’età di una donna nell’immaginario collettivo deve essere scandita da tappe socialmente accettabili e che ne diano un’immagine rassicurante, dunque, anche l’idea della divorziata, paradossalmente, rientra nell’accettazione sociale di questo status sentimentale perché implica il retropensiero che comunque qualcuno l’abbia scelta, storto morto.
Volevo essere una vedova non ha come focus principale quello di puntare il dito contro una società giudicante, sorridendoci semplicemente sopra. Chiara Moscardelli, nelle pagine del romanzo, pone l’attenzione su altro punto da tenere presente, che è quello più importante: l’accettazione di se stessi.
Mi spiego meglio: la società potrà basarsi anche su dettami morali opinabili ma, se questi dettami pesano a tal punto nella nostra vita da simulare un’immagine più congeniale per gli altri, questo è in primis un problema nostro e di quegli stessi retaggi sociali e culturali che non riusciamo a scrollarci di dosso.
L’esempio più banale potrebbe essere quello di credere nel lieto fine dei rapporti sentimentali, che ci è stato inculcato dalle favole mentre la verità è che il lieto fine non va cercato in una seconda persona ma semplicemente in noi stessi.
Citando le parole di Chiara Moscardelli:
La lezione più importante è proprio questa: siamo noi il nostro lieto fine, il nostro ballo di Cenerentola. Il vissero per sempre felici e contenti esiste, solo non è quello che ci hanno raccontato. Ecco la vera favola.
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Il grande sonnellino di Simon Rich
Da oggi è disponibile Il grande sonnellino di Simon Rich, una raccolta di storie comiche irresistibili e sincere che mostrano cosa significa crescere, diventare adulti e trovare la propria strada nella vita.
Oggi inizia il tour di Lidia Yuknavitch in Italia per presentare il suo memoir La cronologia dell’acqua, arrivato proprio ieri alla sua seconda ristampa!
Sotto trovate tutte le date degli incontri.Il grande sonnellino: la trama
Due spietati pirati prendono possesso di una nave, vorrebbero seminare morte e distruzione ma trovano a bordo una bambina adorabile e sono costretti a conciliare la ricerca del tesoro con i dilemmi della genitorialità.
Sono il mio solo padrone e capitano. Non servo alcun re e non temo alcun dio. Taglierei cento gole piuttosto che prendere ordini da un uomo vivo. Quando combatto non c’ho nessuna clemenza, perché il mio cuore non conosce pietà, è un gelido blocco di ghiaccio nero. La mia sola amica è la sciabola. Il diavolo è mio fratello. Non riciclo. Dopo che ho scolato una bottiglia, la butto e basta. Sono Teschio Nero il Malvagio, il pirata più crudele e spaventoso che è mai vissuto.
Il solo uomo di cui mi fido è il mio primo ufficiale, lo Spregevole Pete il Farabutto, e mi fido di lui soltanto finché posso tenergli l’occhio incollato all’uncino.
Lo Spregevole Pete è così spregevole che venderebbe sua madre per un misero peso. C’ha una barba nera che gli arriva sotto gli occhi e che ama lucidare con il sangue dei morti. Su di lui c’è da sapere che è intollerante al lattosio e quindi c’è certe cose che non può mangiare. Ma a parte questo non c’ha mezza debolezza e, come me, il suo cuore non conosce pietà ed è
tutto un gelido blocco di ghiaccio nero, uguale al mio.
Da anni seminiamo una scia di sangue nelle salmastre acque blu e deprediamo qualsiasi goletta che è tanto stolta da incrociare la nostra strada.Uno sceneggiatore di successo, vanesio ed egoista, viene risucchiato, come per contrappasso, nel vortice dell’ossessione di sua figlia per La Bella e la Bestia.
In un’esilarante reinvenzione del racconto noir, un detective di due anni si fa commuovere da una femme fatale (la sorellina) e si mette sulle tracce di un prezioso oggetto smarrito, scoprendo così i loschi intrighi di una banda capitanata dalla Mamma.Strappandoci a ogni frase una risata, queste storie raffinate e irresistibili raccontano l’approdo alla vita adulta, i cambiamenti di sensibilità del mondo che ci circonda e le assurdità che caratterizzano ogni famiglia. Definito “lo Stephen King della scrittura umoristica”, Simon Rich compone con la sua arte comica un indimenticabile mosaico della società contemporanea.
Simon Rich: biografia
Simon Rich è uno scrittore, umorista e sceneggiatore americano di origine newyorkese. È stato uno dei più giovani autori del varietà statunitense Saturday Night Live, lavoro che gli è valso tre Emmy Award. Ha scritto sceneggiature per Pixar e per numerose serie tv di successo come I Simpson, Man Seeking Woman e Miracle Workers. I suoi scritti sono apparsi, tra gli altri, su The Newn Yorker, The Guardian, The New York Times, gq e Vogue.
È autore di un romanzo e sei raccolte di racconti, nel 2019 ha vinto il prestigioso Thurber Prize for American Humor. Il grande sonnellino è la sua opera più recente.
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