Qui rido io di Mario Martone: il biopic su Eduardo Scarpetta

Dopo il Sindaco del rione Sanità, Mario Martone ci riconduce nella sua Napoli ma questa volta lo scenario e i personaggi sono diversi. Nella pellicola precedente il regista infatti omaggia e rivisita l’omonima opera teatrale di Eduardo De Filippo, riadattandola ai nostri tempi.

In Qui rido io, Mario Martone, presenta non solo il personaggio di Felice Sciosciammoca ma di Eduardo Scarpetta o meglio di Odoardo Lucio Facisso Vincenzo Scarpetta in persona, con tutti i suoi pregi e con tutti i suoi difetti.

Chi era Eduardo Scarpetta

Eduardo Scarpetta è stato un attore e commediografo che ha creato il teatro dialettale moderno che tra fine ‘800 e inizio ‘900 ha riadattato numerose commedie francesi.

Ha scritto diverse commedie originali tra cui Miseria e nobiltà. Con il suo piglio e la sua originalità è riuscito a mettere in secondo piano la maschera di Pulcinella, inventata nei primi decenni del ‘600 dall’attore Silvio Fiorillo.

Nel 1870 inizia il successo personale con l’interpretazione di Felice Sciosciammocca, personaggio che accompagnava Pulcinella, scritturato da Antonio Petito. Scarpetta era un uomo ambizioso e arrivista che voleva emergere ad ogni costo e ci è riuscito, diventando un capocomico di successo che nato da famiglia modesta arriva a possedere un palazzo in via dei Mille.

Eduardo Scarpetta ha una carriera molto lunga come commediografo che è stata bruscamente interrotta da una causa fattagli da Gabriele D’Annunzio nel 1904.

Nel 1909 deluso e amareggiato si ritira dalle scene, dopo aver partecipato alla parodia La Regina del Mare, composta dal figlio Vincenzo, al quale ha imposto di essere il suo continuatore nel ruolo di Felice Sciosciammocca.

La sua vita privata è stata turbolenta e fedifraga ma rimasta “fedele” all’interno del suo nucleo familiare. Un divoratore di donne, una presenza carismatica e ingombrante per tutti i componenti della famiglia. Un uomo che ha vissuto per il successo perché la sua felicità proveniva esclusivamente da questo.

Sposato con Rosa De Filippo da cui ebbe due figli: Domenico, nato probabilmente da una relazione con re Vittorio Emanuele ma riconosciuto da Scarpetta e Vincenzo. Da una relazione con una maestra di Musica ebbe un’altra figlia: Maria che adottò.

Dalla relazione con Luisa De Filippo, nipote della moglie, ebbe: Annunziata, Eduardo e Giuseppe De Filippo che non ha mai riconosciuto.

Dalla relazione con Anna De Filippo, sorellastra della moglie, ebbe Ernesto, riconosciuto da Vincenzo Murolo, Eduardo e Pasquale.

Il biopic di Eduardo Scarpetta interpretato da Servillo

L’ultimo film del regista partenopeo

Qui rido io: la trama

Qui rido io mostra tutte le sfaccettature che hanno caratterizzato il personaggio e la persona che era Eduardo Scarpetta con tutte le contraddizioni in primis come uomo e padre. Durante la visione del film l’uomo e l’attore non si fondono mai del tutto eppure sono complementari: senza Eduardo Scarpetta probabilmente Felice Sciosciammocca non sarebbe stato ciò che è stato ed ha rappresentato per il teatro e per alcuni dei suoi figli.

Attraverso la minuzia dei dettagli e delle inquadrature che contraddistinguono il cinema di Martone, lo spettatore più attento scopre anche il motivo di quello sguardo malinconico e disincantato di Eduardo De Filippo, un figlio riconosciuto solo sul palco come figlio di Felice Sciosciammocca e mai nella vita reale come gli sarebbe spettato. Quest’ultimo infatti rientra tra i figli di Eduardo Scarpetta che non sono stati riconosciuti ma a cui inevitabilmente l’uomo ha trasmesso qualcosa: l’amore per il teatro e la scrittura che ha permesso a lui e ai suoi fratelli di poter diventare ciò che sono diventati in seguito. Eduardo Scarpetta semina figli extraconiugali tra le amate parenti con una cadenza che sembra quasi certosina perché ciascun bambino, durante gli anni, si darà il cambio per poter interpretare il figlio di Sciosciammocca. Una sorta di promiscuità da braccianti perché ciascuno invece che a coltivare campi sarà costretto a salire sul palco, lavorando per lui.

All’interno di questo scenario controverso vediamo una famiglia allargata in cui ciascuna donna ha scelto il proprio luogo e il proprio ruolo di buon grado. Ciascuna donna riversa la propria frustrazione, causata da questo contesto sentimentale malsano, sui propri figli attraverso una devozione materna, a volte, esasperante. Sono tutte donne imparentate tra loro che hanno in comune figli con l’unico uomo della casa, tutte sanno e tutte fanno finta di niente, facendo sembrare normale una situazione palesemente paradossale perché è più importante non patire la fame e la povertà che patire per amore o per vergogna. Eppure in casa Scarpetta le regole della società vanno rispettate ma esclusivamente quelle dettate da lui e che quindi ritiene giuste.

Qui rido io ci catapulta agli inizi del ‘900 periodo di grande fermento culturale caratterizzato da diverse correnti di pensiero, a volte antitetiche, e da grandi personaggi che hanno inevitabilmente fatto la storia di questa epoca. È un periodo in cui il pubblico si divide e crea consensi differenti non solo sul gusto estetico ma sul contenuto di ciò che viene proposto. L’esempio lampante all’interno del lungometraggio ci viene trasferito dalla differenza del teatro popolare e leggero di Scarpetta contro quello intriso di pathos e tormento decadente di Gabriele D’Annunzio e dal diverso modo di comunicare di entrambi attraverso la valutazione artistica reciproca che ciascuno fa dell’altro.

Da una parte abbiamo Scarpetta che vuole mettere in scena una parodia de La figlia di Iorio, snaturando completamente l’elemento tragico di D’Annunzio e dall’altra vediamo il disappunto e la poca flessibilità del noto poeta decadente che accetta il concetto di avanguardia solo se è lui a dettare le leggi del cambiamento.

Eduardo Scarpetta e Gabriele D’Annunzio sono diametralmente opposti artisticamente, culturalmente e socialmente eppure sono così vicini umanamente: entrambi sono dediti al piacere della carne ma in questo caso i ruoli si invertono. Scarpetta diventa conservatore a suo modo, creando un suo personale concetto di famiglia allargata mentre D’Annunzio diventa uno sfacciato adulatore del vizio e dunque di mentalità avanguardista.

Due personaggi antitetici che hanno in comune il proprio egocentrismo lavorativo, creativo e umano.

Mario Martone con questo lavoro cinematografico ci trasferisce la bellezza di un’epoca teatrale di grande valore e dignità, un periodo di grande fermento artistico e culturale ma soprattutto ci mostra uno spaccato sociale e umano che sembra così lontano dal nostro ma che poi così diverso non è perché è solo una questione di priorità sociali, economiche e culturali del tempo.

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