Requiem al sogno industriale irpino
L’Irpinia tra gli anni ’70 e ’80 divenne la sede privilegiata per la localizzazione dei grandi complessi produttivi che non richiedevano un preesistente ambiente industriale; lavoravano prevalentemente a ciclo integrale e producevano beni intermedi che andavano ad approvvigionare il sistema produttivo settentrionale.
Risorse statali andarono alle imprese pubbliche e assicurarono incentivi creditizi e fiscali e contributi a fondo perduto ai privati. Vennero realizzate, in parte, infrastrutture e servizi. La concentrazione degli interventi pubblici nell’industria offriva vantaggi politici più certi alle forze di governo, rispetto a quanto sarebbe potuto avvenire con uno sviluppo graduale e diffuso. Questa politica miope ma efficace, garantiva alle classi dirigenti un potente effetto di immagine e permetteva di attivare lo scambio tra voti e posti di lavoro.
Cominciò così a profilarsi un connubio tra pubblico e privato che ora si sta rivelando catastrofico. Infatti, assistiamo oggi alla fase della disoccupazione di ritorno in un clima che vede trasformare il territorio in cui sono localizzati i poli industriali in una polveriera di emergenze sociali sempre pronta ad esplodere.
La dimensione degli impianti, la loro elevata intensità di capitale, il ricorso a investimenti anche a fronte di una bassa, talora nulla, redditività, il ricorso smisurato a finanziamenti di istituti di credito non fanno dell’industria, di base soprattutto, un candidato credibile per lo sviluppo di un’area con grande disponibilità di manodopera scarsamente qualificata come è l’Irpinia.
Le grandi dimensioni produttive richiesero non solo ingenti capitali, ma anche e soprattutto suolo su cui localizzare gli impianti e le infrastrutture necessarie per la movimentazione dei fattori produttivi, entrando in competizione con altri usi del territorio e producendo su di esso pericolosi effetti di polarizzazione, le cui conseguenze sono ancora oggi evidenti.
La maggior parte di queste industrie è ormai inattiva, altre in fase di ristrutturazione e di riconversione, altre ancora soggette a piani di risanamento e bonifica ambientale. In molti casi rappresentano una sorta di “archeologia industriale” dal futuro ancora tutto da esplorare. Ma tutte, indistintamente, hanno segnato, nel bene e nel male, più o meno profondamente, l’organizzazione di un territorio che si espande ben al di là dei meri ambiti di localizzazione.