documentario

“5×7 – Il paese in una scatola”,
il docufilm che racconta Lacedonia attraverso gli scatti di Frank Cancian

Mi ricordo che arrivando dalla strada del mercato mi fermarono degli uomini e mi chiesero: “Che stai facendo qui?”

E ci parlai. Dissi che ero uno studente, volevo conoscere la cultura e fare fotografie.

E dissero: “Ah ok”.

Parte così “5×7 – Il paese in una scatola“, il documentario che il regista Michele Citoni dedica alla storia di Frank Cancian e alle sue 1801 foto di Lacedonia, di recente esposte al Museo delle Civiltà di Roma.

La storia del professore di antropologia ormai in pensione riprende lì dove si era interrotta sessant’anni prima e le sue foto, conservate al Museo Antropologico Visivo Irpino di Lacedonia, trovano nuova vita nella pellicola del regista romano in cui si raccontano episodi di ordinaria quotidianità e viene rappresentato un mondo, quello del dopoguerra, e una tradizione, quella contadina, che ancorchè superati resistono nell’immaginario comune.

Nel documentario si racconta la storia che lega l’americano Frank Cancian al borgo dell’Alta Irpinia. Una storia che parte da lontano.

Frank Cancian

Frank Cancian

Fotografo per passione, antropologo per professione, il giovane Frank Cancian arriva in Italia nel 1957 dopo aver vinto una borsa di studio all’università e quasi per caso scopre l’Irpinia e si ferma a Lacedonia. Cancian trova nel borgo rurale dell’Alta Irpinia il posto ideale per le sue ricerche e vi resta per sette mesi durante i quali immortala gli usi e i costumi della società contadina del tempo.

E il filo dei ricordi si riannoda alle persone e ai luoghi, trascinando con sé alcune riflessioni essenziali sul modo in cui la fotografia possa farsi sguardo etnografico sulle piccole comunità. I suoi scatti su Lacedonia, molti dei quali conservati nel Museo Antropologico Visivo Irpino, rappresentano un patrimonio etnografico inestimabile sulle comunità del Sud. E grazie al docufilm “5×7 – Il paese in una scatola” stanno pian piano uscendo dai confini locali per aprirsi a una più ampia diffusione negli ambienti del cinema italiano.

Festival e Premi

Il film, che si avvale del montaggio di Roberto Mencherini e delle musiche dell’irpino Pasquale Innarella e dei napoletani KuNa, è stato appena premiato alla 7a Edizone del Vittoria Peace Film Fest per aver «raccontato con stile sobrio un mondo che non esiste più, facendo ritrovare il senso dell’identità a una comunità attraverso gli straordinari scatti in bianco e nero di Frank Cancian».

Al premio ottenuto in questi giorni si aggiungono altri numerosi riconoscimenti e menzioni speciali:

– Laceno d’Oro / Festival internazionale del cinema (rassegna Spazio Campania), Avellino, 2018
– Rome Independent Film Awards (concorso Documentari), Roma, 2019
– Under the Stars International Film Festival (concorso Documentari), Bari, 2019
– EtnofilmFest (concorso), Monselice (Pd), 2019 – MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA
– MonFilmFest / Vetrina di un film di mezza estate (concorso), Casale Monferrato (Al), 2019 – PREMIO DELLA DIREZIONE DEL FESTIVAL
– Film Festival della Lessinia (rassegna Montagne Italiane), Bosco Chiesanuova (Vr), 2019
– Sguardi sui territori / Visual Anthropology and Ecomuseums (rassegna), Gemona del Friuli (Ud), 2019
– Napoli Film Festival (concorso SchemoNapoli Doc), Napoli, 2019
– Move Cine Arte Festival (concorso), San Paolo del Brasile-Venezia-Parigi, 2019
– Mònde / Festa del Cinema sui Cammini (concorso Lungometraggi di documentario), Monte Sant’Angelo (Fg), 2019
– Cortodino Film Festival Dino De Laurentiis (concorso), Torre Annunziata (Na), 2019
– Vittoria Peace Film Fest (concorso Documentari), Vittoria (Rg), 2019
– International Film Fest Roma Film Corto / Independent Cinema (rassegna Percorsi Visivi), Roma, 2019

Il documentario, inoltre, è in concorso alla 9a Edizione Intima Lente/Intimate Lens Festival of Visual Ethnography, appuntamento cinematografico dedicato all’antropologia visuale, dove “5×7 – il paese in una scatola” è stato selezionato, tra più di 3.000 opere pervenute, per la finale che si terrà a Caserta nelle prossime settimane.

Buona visone del trailer!

Se resto è perché:
il documentario su chi ha scelto l’Irpinia

Se resto è perché è il titolo del documentario partecipato, diretto da Umberto Rinaldi, che mostra senza preamboli chi ha scelto consapevolmente e per amore di vivere in Irpinia. Il corto è stato presentato durante il festival Corto e a capo, svoltosi a Venticano.  A qualcuno sembrerà pura follia pensare di scegliere consapevolmente di restare in Irpinia, i protagonisti della pellicola, invece, attraverso le loro esperienze di vita riusciranno a far vedere l’altra faccia del nostro territorio.

Per molti l’Irpinia rappresenta il luogo d’origine in cui si ritorna per l’estate, per le vacanze e per salutare i propri cari perché in queste “lande sperdute” non c’è posto per poter lavorare. Questi luoghi vengono visti come terre desolate, in cui il tempo sembra essersi fermato.

Molti hanno abbracciato la frenesia del lavoro metropolitano, guardando questa terra e chi ha deciso di restarci con derisione. C’è qualcuno che ha speculato su questo aspetto, tanto da scriverci libri o creando pagine in cui compaiono odi alla tristezza e al culto della birra Peroni. L’Irpinia non è solo questo e Se resto è perché ce lo mostra in tutta la sua semplicità.

Albero

Albero

Protagonisti del cortometraggio sono persone che hanno scelto d’investire nella terra che li ha messi al mondo, ciascuno ha intrapreso una strada differente per realizzarsi. Ognuno dei protagonisti ha un bagaglio culturale e di esperienze diverso ma tutti hanno abbracciato la stessa causa: sono riusciti a guardare oltre, conquistando il proprio spazio.

Sono storie che, ovviamente, non sono prive di difficoltà ma sono la dimostrazione che decidere di restare non è sempre sinonimo di resa e sconfitta personale. Attraverso queste scelte si abbraccia la croce e la delizia di un territorio che appare come aspro e burbero e che, in realtà, è un autentico portatore di semplicità e di ricchezza. Non vi aspettate storie dallo stile commedia americana perché i problemi ci sono e non riguardano solo il territorio ma anche le dinamiche sociali con cui ci si scontra quotidianamente: la chiusura sociale, l’incuria generale e i disservizi. Non è tutto rose e fiori ma questo non vuol dire che non sia possibile guardare i problemi da un’altra angolazione, trovando una soluzione costruttiva.

Se resto è perché: le storie dei protagonisti

Le voci di Se resto è perché sono svariate ed appartengono a diversi settori lavorativi e culturali. A raccontare le proprie esperienze di vita ci sono giovani e meno giovani, che sono partiti con la voglia di oltrepassare i confini della propria terra ma sono tornati perché ciò che hanno visto era meno dorato e appetitoso, rispetto alla propria immaginazione. Ci sono le storie di persone che hanno appreso i mestieri artigianali di un tempo, hanno costruito una carriera e, attraverso questa riscoperta lavorativa, riescono ad oltrepassare i confini italiani per diffondere la propria cultura. Sono storie particolari, se vogliamo romantiche ma soprattutto di resistenza.

La prima storia che vi raccontiamo è quella di Michela Mancusi, fondatrice e presidente di Zia Lidia Social Club che ha compiuto 16 anni.

Michela Mancusi

Michela Mancusi

Michela ha deciso di restare perché ha creduto in questo progetto culturale, che le ha permesso di volta in volta di conoscere e potersi confrontare con persone diverse, unite dalla passione per la cultura e dalla voglia di condividerla. Lo Zia Lidia Social Club nasce nell’appartamento di Lidia, un’anziana nonché prozia di Michela, che attraverso questo gesto di ospitalità e di aggregazione fa sparire il confine tra spazio pubblico e privato. Questo gesto semplice e generoso consente un’unione generazionale e culturale in cui non esistono differenze o spazi delimitati.

Gaetano Branca

Gaetano Branca

La seconda storia è quella di Gaetano Branca di Carife, maestro artigiano dell’argilla, che ha deciso di restare perché della sua generazione non c’è più nessuno. Gaetano impara l’arte di plasmare l’argilla da Raffaele Clemente, che gli ha tramandato i segreti della sua professione. L’insegnante non voleva che Gaetano ne facesse un mestiere perché doveva studiare e diventare un professionista. Gli anziani, spesso, sperano in un riscatto sociale attraverso i giovani, li vogliono vedere laureati, affermati ed in carriera dietro scrivanie. Questo modo di pensare è controproducente perché parte della nostra cultura e delle nostre radici muore lentamente nella dimenticanza. Gaetano ha disatteso le parole del suo insegnante, dimostrandogli come anche senza una laurea ci si può affermare e girare il mondo, vivendo in Irpinia.

Vito Pagnotta

Vito Pagnotta

La terza storia è quella di Vito Pagnotta che ha deciso di restare in Irpinia perché questa è casa sua ed ha fondato l’azienda agricola Serrocroce, producendo birre irpine. Le loro birre sono fortemente legate all’Irpinia, le materie prime che vengono lavorate appartengono allo stesso territorio dell’azienda. Vito dopo la laurea ed il master parte con la valigia di cartone e si ferma in Belgio dove ha imparato i segreti della birrificazione e li ha trasferiti a Monteverde, in Irpinia. Le birre Serrocroce hanno un legame territoriale indissolubile perché l’azienda non è solo prodotto ma esiste in quanto ragnatela di rapporti umani.

Francesco Savoia

Francesco Savoia

La quarta storia è quella di Francesco Savoia che ha deciso di restare perché, il suo, è un bisogno che sente dentro. Francesco ha deciso di continuare la tradizione casearia dei propri genitori e di non far morire l’Antica Fattoria Savoia. La sua scelta di diventare allevatore inizialmente non è stata approvata dai suoi genitori, che speravano per i propri figli (Francesco e la sorella) un futuro diverso, una vita fatta di meno sacrifici e meno impegni. L’azienda è partita con poche risorse economiche ma con la voglia di farcela. La conoscenza della tradizione familiare, unita all’innovazione e alla voglia di crescere, ha portato l’Antica Fattoria Savoia a migliorarsi, creando prodotti diversi e compatibili con il competitivo mercato moderno. Tra i cavalli di battaglia vi è lattica, un formaggio spalmabile, che per la sua genuinità e sapore permette all’azienda di entrare in ristoranti stellati.

A completare le storie di Se resto è perché ci sono: Carmine IoannaAlberico Iannaccone. Carmine è un musicista noto nonché organizzatore di Accordion Day, un festival che si svolge in Irpinia. Quest’idea nasce con la voglia di unificare più persone attraverso la musica, cercando di allargare gli orizzonti ed i contatti attraverso l’arte.

Alberico Iannaccone, invece, ad un certo punto si è trovato di fronte ad un bivio: se cercare lavoro altrove o creare un’attività che gli permettesse tutte le mattine di svegliarsi e poter guardare le montagne della sua terra. La decisione è stata quella di fondare la cooperativa Il Sorriso, che continua ad esistere, nonostante le numerose difficoltà avute nel tempo.

La pellicola è accompagnata dal brano L’Ignoto ideale degli Ordita Trama, band irpina, che per la scrittura del testo si è ispirata A se mi tornassi questa sera accanto, romanzo, di Carmen Pellegrino.

Se resto è perché vi farà vedere con occhi diversi una terra che, nonostante tutte le problematiche che ha e le appartengono da sempre, è un luogo che nella sua apparente staticità è in fermento.

Chi ha deciso di restare o tornare lo ha fatto con uno scopo ben preciso: ha riconosciuto il valore delle proprie radici ed ha deciso di rendergli onore attraverso l’innovazione e la creatività. Le storie che mostra il documentario devono servire per aggregare altre menti e cercare di migliorare un luogo che ha ancora tanto da dare.

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