Enrico Riccio

Sanremo 2021: Il festival è finito con il trionfo dei Maneskin, favoriti della prima ora

Alla fine hanno vinto loro, i Maneskin, che si cancellano di dosso l’etichetta di secondi e salgono sul gradino più alto del podio.

Tornano a casa con la palma sanremese, dopo aver ingoiato amaro ad X Factor, dove avevano, appunto, conquistato l’argento, e dove però avevano trovato un contratto con la major Sony Music, e l’ala protettiva di Manuel Agnelli, che ha contribuito non poco al lancio dei quattro ragazzi che vincono l’indimenticabile (ma solo perché non c’era pubblico in sala) Sanremo 2021 dell’era Covid, e lo fanno copiando se stessi ed assecondando la platea di rockettari improvvisati ed inconsapevoli, quelli dell’ultimissima ora, che partecipano al televoto, che non hanno idea di cosa sia davvero il rock, di quelli che anzi credono che Vasco Rossi ne sia il massimo esponente.

Sanremo 2021: la finale del festival

Vincono i Maneskin la 71esima edizione del festival

Damiano, il leader della band, ha risvegliato gli ormoni di mezza nazione, e questo è il suo merito principale, assieme alla capacità di stare sul palco (indiscutibile) e riuscire a coniugare le lacrime di emozione nel momento della proclamazione, alla durezza (ahahaha) della proposta musicale della sua band.

Una vittoria salvifica, se si considera il podio, dove sono saliti il duo Fedez-Michielin con una canzonetta da villaggio turistico, che ha raccattato i voti sollecitati dalla Ferragni su Instagram, e la solita minestra riscaldata firmata Ermal Meta che, parole sue, ha portato una canzone con due accordi in croce, che però ha vinto il premio come migliore composizione musicale, assegnato dall’orchestra. Andiamo bene. Nello sprint finale, dunque, ha vinto il meno peggio. Come sempre le cose interessanti non ce la fanno.

Arrivano ad un passo dal podio Colapesce e Dimartino, quarti, e Willie Peyote, sesto. Quasi non pervenuto Ghemon, che chiude ventunesimo. La certificazione che a Sanremo o ci vai con un pezzo brutto o non hai speranze.

Ne sa qualcosa Irama, quinto, sfortunato concorrente a distanza a causa del Covid, ma ne sanno qualcosa anche tre regine che avrebbero meritato miglior sorte con le loro canzoni, Annalisa (settima), Noemi e Malika Ayane (quattordicesima e quindicesima).

Basso, bassissimo in graduatoria Max Gazzè (diciassettesimo), che stavolta ha decisamente riscontrato scarso consenso da parte di tutti, pubblico e critica, nonostante si sia presentato nei panni di Clark Kent/Superman per l’ultima esibizione.

Finire dietro a Orietta Berti (nona, dio mio) non deve essere una bella sensazione. A proposito, è stata lei la vera anima rock del festival 2021, con la violazione del coprifuoco, gli inseguimenti della Polizia, l’allagamento della stanza d’albergo, lo storpiamento del nome dei Maneskin in Naziskin, gli
ingioiellamenti che nemmeno il peggior rapper americano. La sua canzone già non ce la ricordiamo più, ma questo è un dettaglio.

D’altronde chi si ricorda le canzoni di Fulminacci (posizione 16), de La Rappresentante di lista (11), di Gio Evan (23), di Random (fanalino di coda, ma se l’è giocata alla grande con Aiello), di Fasma (18), dei Coma Cose (20)? Al limite qualcuno stamattina si è alzato fischiettando il brano degli Extraliscio, che non potevano ambire alla vittoria, ma a modo loro, con l’amico Toffolo, a casa il risultato lo hanno portato eccome, con un onorevole dodicesimo posto. A differenza de Lo Stato Sociale, in graduatoria un gradino più sotto, che nella transizione che sta portando Lodo ad abbandonare il microfono, toppano e non riescono a replicare “Una vita in vacanza” che li portò, tre anni fa, alla ribalta nazionalpopolare.

Dimenticabile la Arisa (10) tatangelizzata dal brano scritto per lei da Gigi D’Alessio, il Bugo (24) stralunato e senza voce, il Francesco Renga (22) che ha deciso di servire la sua parabola discendente al pubblico, come in un reality show. Ci si ricorderà, invece, delle urla del penultimo in classifica Aiello, che ha ispirato più meme di Bernie Sanders, e della bruttissima canzone di Gaia, diciannovesima, che però (ci scommettiamo) passerà in radio da qui alla fine dell’estate (sapete com’è, lei, proprio come i Maneskin e la coppia Fedez-Michielin, è della scuderia Sony, che qualche parola la può spendere in fatto di rotazioni).

E non ci siamo dimenticati di Madame, che ha conquistato l’ottavo posto nella classifica generale, ma ha vinto il premio per il miglior testo, lei che ha solo diciotto anni, che le canzoni se le scrive da sola e che ha qualcosa da dire. Quando le restituiranno anche le ultime sillabe delle frasi sarà una cantante completa.

Enrico Riccio

Sanremo 2021: le pagelle irriverenti della terza serata

La terza serata del Festival di Sanremo 2021, ovvero quella delle cover e dei duetti. Ventisei canzoni. Che il dono della sintesi ci assista. Giudizi in ordine più o meno sparso, senza seguire le classifiche.

1. AIELLO – VEGAS JONES: “GIANNA (RINO GAETANO)

C’è lo sforzo di riarrangiare un brano che è nel DNA degli italiani e il risultato non è da buttare.

2. ERMAL META – NAPOLI MANDOLIN ORCHESTRA: “CARUSO” (LUCIO DALLA)

Sa cantare, non tocca, con grande rispetto, l’impostazione del brano, e si rende protagonista di un karaoke di qualità.

3. MALIKA AYANE: “INSIEME A TE NON CI STO PIU’” (CATERINA CASELLI)

Meglio sola che male accompagnata. (Per il resto, vedi sopra al numero 2).

4. MAX GAZZE’– DANIELE SILVESTRI – MAGICAL MISTERY BAND: “DEL MONDO” (C.S.I.)

Con Lazzarotti al basso, Rondanini alla batteria e Silvestri al suo fianco, regala una perla con una interpretazione perfetta. Non era per niente facile ma Gazzè ha centrato il bersaglio.

5. WILLIE PEYOTE – SAMUELE BERSANI: “Giudizi universali” (SAMUELE BERSANI)

Con Bersani che canta Bersani è tutto facile. Non può non funzionare.

6. GAIA – LOUS AND THE YAKUZA: “MI SONO INNAMORATO DI TE” (LUIGI TENCO)

A parte gli intrecci vocali italo-francesi che sono cacofonici come poche cose al mondo, passare dal reggaeton a Tenco è da denuncia. Ma non canta male.

7. FULMINACCI – VALERIO LUNDINI – ROY PACI: “PENSO POSITIVO” (JOVANOTTI)

La cosa migliore la fa il comico Lundini ironizzando sul concetto del mondo come un’unica grande chiesa. Per il resto, Roy Paci fa Roy Paci e Fulminacci, boh.

8. LA RAPPRESENTANTE DI LISTA – RETTORE: “SPLENDIDO SPLENDENTE” (DONATELLA RETTORE)

Altro capitolo dedicato al Karaoke. Rettore sul palco garantisce tenuta e credibilità. Il pezzo è suo, d’altronde.

9. EXTRALISCIO/TOFFOLO – PETER PICHLER: “MEDLEY ROSAMUNDA”

Toffolo gratta un tubo e una masnada di musicisti da balera affolla il palco. I camerieri possono servire l’antipasto. La sposa è arrivata.

10. GIO EVAN – I CANTANTI DI THE VOICE SENIOR: “GLI ANNI” (883)

Ma perché, perché?

Sanremo 2021: le pagelle irriverenti di Enrico Riccio

La terza serata del Festival di Sanremo è stata dedicata alle cover

11. ORIETTA BERTI – LE DEVA: “IO CHE AMO SOLO TE” (SERGIO ENDRIGO)

La più credibile della serata. Naviga in acque sicure, con un brano della sua generazione, meraviglioso, più volte oggetto di vilipendio in passato.

12. RANDOM – THE KOLORS: “RAGAZZO FORTUNATO” (JOVANOTTI)

Il batterista sembra suonare un pezzo dei Korn. Ma sta suonando Jovanotti e non si sa se piangere o ridere.

13. BUGO – PINGUINI TATTICI NUCLEARI: “UN’AVVENTURA” (LUCIO BATTISTI)

Provano a fare il verso ai Coldplay, ma non ce la fanno. Provano a cantare, ma non ce la fanno. Non ce la fanno, insomma.

14. COLAPESECE – DI MARTINO: “POVERA PATRIA” (FRANCO BATTIATO)

Pezzo da maneggiare con cura. Due siciliani che omaggiano il maestro siciliano. Tutto bene. Quando alla fine entra la voce registrata di Battiato il resto sparisce.

15.  ANNALISA – FEDERICO POGGIPOLLINI: “LA MUSICA E’ FINITA” (UMBERTO BINDI)

Interpretazione senza sbavature, credibile, intensa. Non si capisce il ruolo di Poggipollini, che suona tre note. Ma con Ligabue si è abituato così.

16. LO STATO SOCIALE – FANELLI – PANNOFINO – I LAVRATORI DELLO SPETTACOLO: “NON E’ PER SEMPRE” (AFTERHOURS)

Un brano sdoganato dalla sua aura rock e restituito alla sua dimensione naturale: il pop. Gli ospiti della band leggono l’elenco dei teatri chiusi per la pandemia. Non può essere per sempre.

17. MADAME: “PRISENCOLINESINAINCIUSOL” (ADRIANO CELENTANO)

Al netto della recitina iniziale, svetta per qualità dell’interpretazione di un brano che sembra fatto su misura per lei. E poi ci fa capire a che servono i banchi con le rotelle. Grazie.

18. ARISA – MICHELE BRAVI: “QUANDO” (PINO DANIELE)

Ho sfogliato il codice penale. Niente, non c’è il reato di vilipendio di capolavoro. Gli è andata bene.

19. GHEMON – NERI PER CASO: “LE RAGAZZE” (NERI PER CASO) – “DONNE” (ZUCCHERO) – “ACQUA E SAPONE” (STADIO)

Gradevoli, ma quando ci sono di mezzo I neri per caso è subito Mai dire gol.

20. IRAMA: “CYRANO” (FRANCESCO GUCCINI)

Sceglie un brano che è ormai consegnato alla storia della musica. Lo canta da solo e non sfigura.

Festival di Sanremo 2021: le pagelle irriverenti

Le pagelle sulla terza serata del Festival di Enrico Riccio

21. COMA COSE – ALBERTO RADIUS – MAMAKASS: “IL MIO CANTO LIBERO” (LUCIO BATTISTI)

La cosa migliore è Radius, che porta Battisti sul palco perché con Battisti ci ha suonato. Per il resto, ai falò in spiaggia abbiamo sentito interpretazioni migliori.

22. MICHIELIN – FEDEZ: “MEDLEY” (AA.VV.)

La scelta delle canzoni è talmente irrilevante che non vale nemmeno la pena di elencarle. Decidono deliberatamente di massacrarle tutte e forse questa è la cosa più originale di tutta la serata.

23. FASMA – NESLI: “LA FINE” (NESLI)

Che dire. Il giovane Nesli va a cantare una sua canzone che piace ai giovani, con un giovane che piace ai giovani.

24. NOEMI – NEFFA: “PRIMA DI ANDARE VIA” (NEFFA)

Un altro ospite che interpreta se stesso. Altra minestra riscaldata con una artista che sa il fatto suo e che dunque non sbaglia.

25. FRANCESCO RENGA – CASADILEGO: “UNA RAGIONE DI PIU’” (ORNELLA VANONI)

Scritta da Califano e Reitano, questa canzone, dalla Vanoni, era stata resa immortale. Eppure Renga e la sua ospite sono riusciti ad ammazzarla. Senza pietà.

26. MANESKIN – MANUEL AGNELLI: “AMANDOTI” (CCCP FEDELI ALLA LINEA)

Partono bene, poi comincia la sfida tra pavoni, a chi fa la ruota più bella, a chi grida di più e meglio. Violentano una canzone di una delicatezza unica, facendo rimpiangere persino la brutta cover già fatta da Gianna Nannini. Scherzate con i fanti, ma lasciate stare i santi.

Ecco le pagelle della terza serata del Festival di Sanremo 2021.

Se avete perso quelle della prima e della seconda serata, dovete recuperarle!

Buona scoperta!

Enrico Riccio

Sanremo 2021: le pagelle irriverenti della seconda serata

Anche la seconda serata del Festival di Sanremo 2021 va in archivio. Altri tredici brani, dodici cantanti sul palco, uno (Irama) che partecipa con una registrazione a causa del Covid che ha colpito un membro del suo staff. Sempre scorrendo la classifica (parziale) della “Giuria demoscopica”, ecco cosa ne è venuto fuori.

1. Ermal Meta – Un milione di cose da dirti

Che sono più o meno sempre le stesse, e cantate allo stesso modo. Ma il format funziona ed Ermal Meta fa bene ad insistere. L’argomento della comunicazione repressa è sempre di attualità, come l’ottima voce del cantante, che parla del suo “cuore a sonagli per degli occhi a fanali” in un brano che fa a spallate per salire sul podio. Magari sul gradino più alto.

2. Irama – La genesi del tuo colore

Ovvero la DAD a Sanremo 2021. Il virus ferma lo staff di Irama e gli organizzatori prudenzialmente non fanno salire l’artista sul palco. Va una registrazione, che basta a far capire che quel che lui tocca si trasforma in oro. Canzone dall’impianto classico ma che suona contemporanea, un sicuro tormentone, destinato all’heavy rotation.

3. Malika Ayane – Ti piaci così

E si è capito bene. Malika è una sorta di alter ego femminile di Max Gazzè, non per ciò che canta, ma per la scelta artistica fatta. Come lui, interpreta canzoni che si somigliano tutte, ma che, tutte, indifferentemente, funzionano. Come il suo collega ha personalità, furbizia, mestiere. In più ha una gran voce, ed anche nel brano sanremese tutto questo si sente.

4. Lo Stato Sociale – Combat pop

Che già solo il titolo meriterebbe la censura. Una canzone brutta, che tradisce l’ambizione dei componenti del gruppo, che da grandi, evidentemente, volevano fare gli Skiantos, ma poi sono finiti a Sanremo, peraltro da recidivi, e si sono trasformati in figli degli 883. ” Ma che senso ha?” cantano. Ecco, ditecelo, magari prima di andarvene una vita in vacanza.

 5. Willie Peyote – Mai dire mai (La locura)

Stato mentale di chi da infiltrato dei servizi segreti cerca di combattere il sistema facendone parte. La mission impossible del Peyote è attaccare frontalmente l’Hip-pop posticcio, il cliché contemporaneo dell’artista e l’opportunismo trasformistico (il calcio va avanti, la musica no, e lui pensa di mettersi a palleggiare pur di avere un pubblico). Il messaggio va bene, ma non da quel palco. Tra le cose migliori ascoltate a Sanremo 2021, quindi non vincerà.

6. Gaia – Cuore amaro

Un titolo che è tutto un programma e che incarna il sentimento di chi ascolta questo brano. Nacchere e chitarre spagnole per la solita canzone che strizza l’occhio all’estate e che invece è l’ennesimo inutile tassello nel mosaico sbiadito del pop italiano. Meno trash di Elettra Lamborghini, ma i livelli sono più o meno quelli. Da dimenticare in fretta, ma purtroppo (e per sua fortuna) il pubblico la premierà.

Sanremo 2021: le pagelle irriverenti di Enrico Riccio

Ecco le nostre impressioni sulla seconda serata del Festival di Sanremo

7. Fulminacci – Santa Marinella

Località marittima e dunque in qualche modo legata a Sanremo. Quindi in qualche modo canzone a tema. Ma anche canzone pronta a diventare una delle più passate in radio. Tanto basta a far capire che c’è poca qualità, e che oscillare tra De Gregori e Brunori Sas è esercizio di stile assai pericoloso, che, nel caso specifico, fa naufragare artista e canzone. Fulminacci vuole “solo diventare deficiente”. Ad maiora.

8. La rappresentante di lista – Amare

Infinito del verbo, oppure aggettivo femminile plurale. Sarebbe stato bello usare il secondo, ma invece la canzone ha, tanto per cambiare, come tema l’amore. Un testo che non ha niente di nuovo da raccontare, cantato bene da Veronica Lucchesi, che imbastisce un pezzo un po’ dance, un po’ vetero-pop, che per certo pubblico funziona. E questa è la notizia peggiore.

9. Extraliscio/Toffolo – Bianca luce nera

Un ossimoro che sintetizza la collaborazione tra gli artisti folk e l’uomo mascherato dei Tre Allegri Ragazzi Morti, ma anche la dichiarata voglia di portare sul palco la Romagna del liscio per poi farci ritrovare di fronte ad un pezzotto sudamericano, (contraf)fatto piuttosto male. Tutto molto noioso, tutto già sentito, tutto tanto furbo. Resta da capire la scelta di Toffolo. Ne aveva davvero bisogno?

10. Gio Evan – Arnica

Rimedio antinfiammatorio naturale, la risposta brutta all’ibuprofene di Aiello, che almeno però il medicinale lo abbina al sesso, rendendo tutto più divertente. Il cantante con il nome da acqua minerale non lascia il segno, e l’orchestra usata in maniera smodata fa il resto, per un brano che difficilmente, comunque, avrebbe avuto miglior sorte.

11. Orietta Berti – Quando ti sei innamorato

L’amore geriatrico cantato dalla regina della barca che va. Orietta Berti era musicalmente vecchia quando mio nonno era vecchio. Porta a Sanremo 2021 una canzone terribile, che non può avere velleità di passare in radio, non sarà ascoltata su Spotify, non avrà clic su Youtube, non sarebbe stata ammessa neanche al festival del circolo della Terza Età. E allora solo una domanda: perché?

12. Random – Torno da te

Ma con quest’entusiasmo di sicuro è destinato a ri-andarsene presto. Incipit deprimente, originalità assente e la sensazione pressante che da un momento all’altro spunti da qualche parte Elisa e cominci a cantare il ritornello di ” A modo tuo”. Eppure è giovane e dovrebbe avere idee fresche.

13. Bugo – E invece sì

Rieccolo senza Morgan sul palco del Festival di Sanremo 2021 che aveva lasciato mestamente l’anno scorso. Bugo ritorna per dimostrare a tutti che non ha bisogno di partner per spaccare. Ma, ahimè, non ci riesce. Si presenta con qualcosa che è poco più di un giro di DO, che, in verità, non parte neanche male, ma che si perde presto nella banalità e nei poster di Celentano. Che succede? Dov’è Morgan?

Questo è il risultato delle pagelle irriverenti della seconda serata di Sanremo 2021, se avete perso quelle della prima serata del Festival vi consigliamo di rimediare al più presto!

Enrico Riccio

Perché dovremmo (tutti) ringraziare Chick Corea

Armando Anthony Corea è morto alla soglia degli ottant’anni. Li avrebbe compiuti il prossimo 12 giugno. A Chick Corea dovremmo tutti un sentito enorme grazie. Perché, diciamocela tutta, se in molte case è entrato il jazz è stato grazie a lui. E se in molte altre case è entrata la contaminazione musicale, l’elettronica, è sempre grazie a lui. Non è un ossimoro, questo. Ma un percorso a sensi inversi che chiunque ha potuto compiere grazie al virtuoso pianista e tastierista statunitense.

Personalmente scoprii Corea quando ero un fresco ginnasiale di quattordici anni. Nel negozio di dischi che frequentavamo suonava una roba che non avevamo mai sentito prima. Nel senso che era qualcosa che scuoteva, pulita ma potente, vibrante piena di virtuosismi ma anche di emozioni. Avrei scoperto solo dopo, quando decisi di acquistare il disco che quel brano era “Got a match?”, uno dei più incredibili esempi di tecnica e contaminazione di jazz ed elettronica.

Chick Corea: Got a match?

Got a match? di Chick Corea faceva parte del primo album realizzato con Elektric Band, con John Patitucci al basso, Dave Weckl alla batteria, Carlos Rios e Scott Henderson alle chitarre. Una band eccezionale, che faceva esplodere funamboliche progressioni all’unisono, lasciando spazio a parti di più ampio respiro e mettendo di volta in volta in primo piano la bravura dei singoli.

All’epoca ascoltavo esclusivamente rock. Erano gli anni in cui in cui stavo capendo quale fosse la musica che mi piaceva davvero. Erano gli anni della scoperta dei classici, dei Led Zeppelin, dei Jetro Tull, dei Kim Crimson. Il resto, con la spocchia tipica dell’adolescenza, era roba da buttare. Per quell’album di Chick Corea fu diverso. Perché era sì jazz, ma anche un pò a modo suo rock, e perché rievocava atmosfere che potevano accostarsi a certo prog-rock che mi era familiare. L’ascolto di quell’album, che era stato pubblicato un paio di anni prima, mi spinse a scoprire “Light Years” e “Eye of the beholder”, che nel frattempo già spopolavano tra gli appassionati.

Solo più tardi scoprii che quel musicista che suonava la tastiera a tracolla, come un rockettaro, era un prodigioso pianista jazz, che aveva nel suo curriculum collaborazioni strepitose, su tutte quella con Miles Davis.

Che piaccia o no, io Miles Davis non lo avevo mai ascoltato. E grazie a Chick Corea lo scoprii, con la conseguenza che il jazz entrò nella mia collezione di dischi, con l’ascolto a cascata dei primi classici, Coltrane su tutti, poi dei contemporanei, tra i quali mi innamorai di Michel Petrucciani. Inevitabile, poi, l’esplorazione della fusion, che mi condusse alla folgorazione per Pat Metheny, che poi significò addentrarmi in un mondo nuovo, parallelo rispetto a tutto ciò su cui avevo fondato i miei ascolti fino ad allora.

Chick Corea

Chick Corea

Questa prospettiva personale mi fa pensare, senza dubitarne minimamente, che molti abbiano fatto il percorso inverso, e che, partendo dalla conoscenza del jazz e del pianista Chick Corea, abbiano grazie a lui esplorato territori sconosciuti e forse ritenuti sacrileghi. I puristi del virtuosismo jazz sono stati costretti a prendersi sportellate dell’Elektric Band e a non arricciare più il naso di fronte a qualcosa di completamente differente rispetto agli standard imposti dal purismo. Ed una volta scoperto quel mondo, scommetto che nessuno abbia fatto marcia indietro, ma che ognuno abbia invece esplorato, ascoltato, si sia mosso con passi più sicuri verso mondi musicali diversi e che solo apparentemente potevano sembrare distanti anni luce da quelli conosciuti e praticati come intoccabili capisaldi.

Chick Corea era un pianista jazz. Chick Corea era un tastierista. I due elementi compongono la fusion che ha contribuito in modo prepotente a creare. Esattamente come un altro grande tastierista e pianista, Lyle Mays, definito “il lato oscuro di Pat Metheny”, che come in uno scherzo del destino era morto un anno e un giorno prima di Chick Corea, il 10 febbraio 2020. Ecco perché non possiamo non ringraziare Armando Anthony Corea. La sua musica è stata un viaggio vero attraverso i pianeti della diversità. E ci ha fatto scoprire tutti più democratici negli ascolti, più malleabili nei gusti e soprattutto ha fatto comprendere che, spesso, chi vuole ingabbiare la musica in contenitori a comparti stagni probabilmente (e semplicemente) la musica non la ama davvero.

Enrico Riccio

Mercalli: intervista alla band di Una casa stregata

I Mercalli: Igor Grassi (voce e tastiere), Enrico Riccio (chitarra) e Fortunato Sebastiano (basso) nascono nel 2013, ad unirli è la passione che nutrono per la musica e la voglia di suonare insieme. Nel 2016 l’incontro con Francesco Margherita (batterista), crea le basi che li porta alla finalizzazione del progetto iniziale e alla realizzazione del loro primo disco: Una casa stregata, co-prodotto con Francesco Tedesco per I Make Records, uscito il 7 gennaio 2019.

Dopo aver ascoltato e apprezzato l’album che oscilla tra amore, decadenza e pop rock abbiamo deciso di scambiare un paio di chiacchiere con loro, per conoscerli meglio: ecco l’intervista!

Come nascono i Mercalli?

In realtà abbiamo sempre suonato insieme. Nel 2013, avevamo una stanza dedicata alla musica, che avevamo allestito nella casa in campagna di Fortunato. Ci siamo ritrovati in questo modo, mettendo in piedi una formazione che fosse capace di arrangiare i pezzi che stavamo scrivendo e di suonarli dal vivo: è così che nascono i Mercalli. L’incontro con Francesco Margherita è stato decisivo per l’impostazione a quattro, finalizzata all’esibizione live e per arrangiare i pezzi.

Avete definito i vostri brani come canzoni d’amore senza cuore: perché?

Questa definizione nasce per gioco, rappresenta uno spunto di riflessione riguardo l’esistenza di molte canzoni d’amore che, sostanzialmente, non parlano di quell’amore che fa rima con cuore. I testi di Umberto Palazzo o CCCP ne sono un esempio. I nostri brani parlano d’amore ma, questo, è un sentimento che trattiamo con disillusione e un diverso approccio emotivo, più realistico.

Secondo voi a trionfare è soltanto chi è capace di amare?

No, secondo noi a trionfare è solo chi è capace di guardare il mondo con occhi mutevoli, chi è in grado di comprendere e percepire l’amore dalle angolazioni più disparate. A trionfare è chi è disposto a mettere in gioco i propri sentimenti senza avere paura del rischio che si corre. L’umanità, secondo noi, è un bestiario universale di sentimenti: provare emozioni non deve indurre nella paura di ciò che ne può conseguire o far pensare di essere perdenti. A trionfare non è solo chi è capace di amare ma chi è capace di esporsi senza competere, chi è capace di mostrare tutto ciò che è, che rappresenta e che sente.

Che cos’è l’amore: un affetto, una maledizione o un posto per nascondersi?

Sarebbe semplice la risposta, citando Un posto per nascondersi, il titolo di un nostro brano, e in parte lo è. L’amore è un posto per nascondersi e per manifestarsi.

Copertina dell’album

Da quale esigenza nasce Una casa stregata?

Il nostro album nasce dal desiderio di riuscire a raccontare delle storie e dalla voglia di semplificare il nostro modo di fare musica. Una casa stregata nasce dall’esigenza di raccontare storie abbastanza universali, spiandole dal buco di una serratura. I nostri testi si caratterizzano per la loro semplicità e immediatezza, ciò non vuol dire che non siano profondi o non costruiti, spesso li abbiamo creati al momento perché ognuno di noi portava una sua storia o un’idea. Queste immagini, lavorandoci insieme, sono diventate le nostre canzoni. Ogni testo racconta qualcosa di noi e Una casa stregata è una sorta di adolescenza condivisa.

Chi è L’uomo senza ricordi, a cui avete dedicato una canzone nel vostro album?

L’uomo senza ricordi è una persona che sa dimenticare le difficoltà, i problemi, le litigate e che, ad un certo punto, riesce ad apprezzare le cose semplici. È una persona che riesce a ricordare qualcosa anche dimenticandola perché gli appartiene non in quanto oggetto dato dalla memoria ma dal suo sentire privo di sovrastrutture. L’uomo senza ricordi è colui che sa riscoprire il peso della gravità, l’elemento più semplice e costante che abbiamo letteralmente addosso, senza dargli un significato più articolato e complesso di ciò che sente.

Qual è il leitmotiv di Una casa stregata?

In realtà il leitmotiv lo abbiamo scoperto dopo aver prodotto l’album, ci piace definirlo un concept album postumo perché abbiamo scritto le canzoni e solo alla fine ci siamo accorti che c’era un filo conduttore che le legava. Nei testi c’è un richiamo alle stanze, ai mobili, ai soprammobili e alle porte: sono tutti elementi che si sono manifestati inconsapevolmente, durante il loro divenire, e di cui ci siamo resi conto soltanto dopo. Il brano intitolato La stessa stanza, che chiude Una casa stregata, è stato composto molto prima che decidessimo di fare l’album e paradossalmente il titolo già faceva riferimento ad un ambiente. Dunque il leitmotiv sono gli ambienti visti come luoghi che mostrano e che privano.

La sedia in bilico oscilla tra?

La sedia in bilico oscilla tra il pavimento e la sedia, se cade. È un movimento simile al volersi aggrappare a qualcuno ma con la consapevolezza di stare cadendo all’indietro, senza potersi riparare dall’impatto immediato con il suolo. Questo oscillare rappresenta la metafora di quando, ad esempio, ci si sveglia una mattina e la persona con cui credi di trascorrere la vita ti dice, all’improvviso, che non c’è più per come l’avevi immaginata. Questo equilibrio instabile è una condizione esistenziale che appartiene a tutti noi, quando decidiamo di amare. La sedia in bilico è anche il primo singolo estratto da Una casa stregata. Il videoclip che lo accompagna è scritto e interpretato da Alessia Rollo, fotografa concettuale anche autrice dell’immagine di copertina del disco. Alessia ha lavorato ad un suo vecchio soggetto, che ci aveva colpito per le coincidenze che lo avvicinavano al brano, adattandolo: ha trasformato una sua esigenza privata in pubblica, donandole un senso nuovo.

Mercalli

Se volete approfondire l’ascolto di Una casa stregata non vi resta che acquistare l’album o ascoltarlo su Spotify.

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