Fabrizio De André e PFM: gli amici fragili ritrovati in un concerto filmato
Esiste una linea sottilissima tra autori, cantautori e musica rock.
Probabilmente tutto è cominciato con la breve ma efficace diffusione della musica cosiddetta progressiva, che in Italia ebbe il suo boom nel 1971, una sorta di musica colta e classica mischiata con la cultura del rock; una miscellanea di idee moderne che si fondono negli studi classici.
Poi esiste la scrittura, anche, e tale disciplina rende benissimo sé stessa se sommata ad una storia da narrare, ancor meglio se quest’ultima si rifà ad una qualsiasi vicenda che è di “uso comune”, una narrazione in cui ci si rispecchia e ci si confronta, da cui attrae l’idea che un giorno essa possa ritornare in mente e farci crescere in esperienza.
È doveroso ricordare Lucio Battisti, che proprio nel periodo poc’anzi espresso, rielaborò subito il concetto di musicista ed interprete, e fuse la musica ragionata e costruita con la canzonetta pop, insieme ad una costante matrice sessuale ma non certo sessista, in cui si ribaltano le regole autoelette degli ascoltatori di facili entropie e disattenti ai cambi di rotta.
Il dimenticatissimo Ivan Graziani inizia la sua avventura definitiva intorno alla seconda metà degli anni Settanta: questo musicista può definirsi come caposaldo della musica italiana d’autore, concentrata in un contesto rock, in cui la visione unilaterale della conseguente ascesa di una corrente diffusa (allora) da oltre venticinque anni abbraccia la scrittura intesa come storia da narrare e non in quanto sdolcinata coesione di parole facilmente abbordabili, abbracciate ad una scarsa voglia di sapere. Con una certa probabilità sarà un giovane di Zocca, Vasco Rossi, alla fine di quel decennio, a decretare la definitiva unione dell’importanza della scrittura, presentandosi come un cantautore che non esclude la funzionalità e l’immediatezza del rock come materia d’intesa semplice colorata da una giusta dose divulgazione del verbo.
La storia che sto per raccontarvi inizia infatti proprio nel 1979, e precisamente il 3 gennaio, quando tutto ciò di cui abbiamo parlato finora ha un principio storico, cominciato in verità già dall’anno precedente, dove s’incontrano la musica d’autore con la matrice rock, addirittura progressiva.
Fabrizio De André incontra la Premiata Forneria Marconi sia in un tour che abbraccia il biennio ’78-’79, che nei dischi che ne scaturirono, ossia “Fabrizio De André in concerto / Arrangiamenti PFM” e “Fabrizio De André in concerto / Arrangiamenti PFM vol. 2”, e fu la prima volta che un cantautore affrontò un percorso formativo con una band rock. Altra curiosità: questi due dischi sono in realtà la prima testimonianza di un Fabrizio De Andrè ripreso dal vivo e riportato in un formato album per la prima volta.
Una curiosità arriva inoltre in questi giorni, e riguarda questa storia, perché finora soltanto immaginata. La vicenda unisce la quasi leggenda di più di quarant’anni fa con l’odierna ed incredibile riuscita di un film che ripercorre quel periodo con delle immagini inedite del concerto del 3 gennaio nel Padiglione C della Fiera di Genova, per un’esperienza che unisce i palati fini con i ribelli di ieri e di oggi.
Il risultato è Fabrizio De Andrè e PFM – Il concerto ritrovato, docufilm diretto da Walter Veltroni, che unito ai racconti della band di Franz Di Cioccio, insieme a Dori Ghezzi, arricchisce passo per passo la frenesia che lega le due realtà considerate allora troppo contrapposte.
Si narra che nel 1978 Fabrizio De Andrè si fece accompagnare a Nuoro da un pastore per veder dal vivo la Pfm, band italiana progressiva appena rientrata da un tour americano pieno di conquiste.
La band conosceva ovviamente Faber e gli propose un’idea originale e a dir poco funambolesca per l’epoca: addizionare la scrittura poetica con la musica rock per un esperimento senza precedenti.
Fabrizio De Andrè, che dal 1975 ha finalmente accettato di esibirsi dal vivo, dopo innumerevoli esortazioni del pubblico e dei manager, continua a provare una certa timidezza nei concerti. Dori Ghezzi avrebbe sostenuto che avendo le idee troppo chiare, era costretto a “stordirsi” per riordinare la mente.
La certezza che la forte musica di una rock band avrebbe potuto coprire l’importanza delle parole lo convince: sarà proprio questa ostinazione in contrasto con tutto che gli farà prendere una decisione.
Nessuno ci credeva e tutti, manager e funzionari compresi, si convinsero che sarebbe stato un disastro totale, mentre il timido cantautore genovese accettò la temeraria sfida e iniziò l’avventura: i concerti iniziavano sempre con un’introduzione strumentale della Pfm (spesso un paio di brani) ed una schiera del pubblico applaudiva; poi Fabrizio De André iniziava con uno dei suoi più grandi successi (es. Bocca di Rosa) ed un’altra fazione si risvegliava dal frastuono dei feedback di chitarra elettrica, ed apprezzava con urla festanti.
Fu l’unione definitiva di due culture che si unirono e misero la parola fine ad un’epoca di confronti.
La cassetta è stata conservata per quarant’anni da Piero Frattari, documentarista, fatalmente ossessionato per tutto ciò che può e potrà essere importante, il quale si trovava quella sera del 3 gennaio a Genova e riprese tutto. Grazie all’esortazione di Franz Di Cioccio, Franco Mussida e soci, che credevano che non esistesse nulla di visivo che avrebbe potuto testimoniare la magia di quei giorni, ora quel documento visivo è rinato a nuova vita.
Fabrizio De André e PFM – Il concerto ritrovato arriva nelle sale cinematografiche Nexo Digital, per sole tre date in febbraio: il 17, il 18 (giorno dell’ottantesimo compleanno di “Faber”) e il 19.
Oggi, più di allora, quando si temeva la ribalta della disco music da un lato e del punk dall’altro, un documento simile ha la forza di sommare l’intensità dei suoni costruiti e ragionati insieme all’importanza della poesia, che Orazio riteneva la più somma testimonianza dell’esistenza di un autore, attraverso cui potrà sempre autoproclamarsi come immortale.