Firework di Ruggero Ricci affronta la delicata tematica dell’overthinking
Con la sua vocalità inconfondibile, potente e al contempo intrisa di delicatissime nuance e cromie, Ruggero Ricci, reduce dal fortunatissimo debutto ad Una Voce per San Marino – che l’ha visto condividere il palco con ospiti del calibro di Roy Paci, Eiffel 65, Lorenzo Licitra, Deborah Iurato e Ronela Hajati -, torna in radio e nei digital store con “Firework” (Orangle Records/Universal Music Italia), il suo splendido ritratto voce ed anima sulla necessità di ammettere errori e paure per ricominciare ad amarsi e, di conseguenza, a vivere.
Scritto dalla penetrante e fulgida penna dello stesso artista romagnolo a quattro mani con Messya e avvolto dall’abbraccio sonoro minuziosamente cucito sull’emozionalità di strofe e ritornello dall’abilità di Riccardo Brizi (già per Aaron e molti altri), “Firework” è la perfetta commistione di contemporaneità e ricordi, il riuscito connubio tra un suggestivo testo d’autore bilingue ed un emblematico tappeto sonoro capace di coniugare l’elettronica ad una ballad malinconica, viscerale e sincera, che guida ed accompagna l’ascoltatore in un catartico e liberatorio viaggio introspettivo.
Il brano, presentato per la prima volta alle semifinali di “Una Voce per San Marino”, nasce dall’esigenza personale dell’artista di voler dar luce e voce alle difficoltà che la vita presenta lungo il percorso di ciascuno di noi sotto diverse forme. Lo scorrere del tempo, la sempre più crescente ansia scaturita dall’esigenza di dover piacere a tutti ad ogni costo, i ritmi frenetici che la società di oggi ci impone, sono solo alcuni dei molteplici fattori che, se perpetrati, possono condurre all’overthinking, destabilizzando contemporaneamente la nostra sfera emotiva, fisica e mentale.
Ed è proprio in un momento di sovraccarico e profondo squilibrio interiore che è nato il pezzo, con l’auspicio e l’intento di sensibilizzare il pubblico su una tematica ancora molto sottovalutata e spesso equiparata ad un banale ed ordinario “riflettere molto”, ma che ha, in realtà, non soltanto importanti conseguenze sul benessere complessivo dell’individuo, ma anche e soprattutto una genesi strettamente interconnessa al modo in cui viviamo, o, per meglio dire, al modo in cui riteniamo sia opportuno vivere per essere accettati e apprezzati da chi ci circonda.
Nell’incantevole e toccante susseguirsi dei violini di Mariella Papanaga e dei rullanti di Matteo Raimondo, Ruggero Ricci scava in se stesso per riscoprire il valore dell’autenticità e delle peculiarità individuali, decidendo – ed esortando tutti a noi a fare lo stesso – di riconoscere difetti e sbagli, accogliendo ed accettando il dolore per elaborarlo e trasformarlo in forza, connettendosi così alla parte più vera della sua natura.
Archi, chitarre, percussioni e pattern elettronici, vestono di sontuosa raffinatezza la sorprendente genuinità del testo, che trasforma l’opaca e vacua incertezza in una realtà concreta e tangibile, avvalendosi dall’abilità interpretativa di Ruggero che richiama l’esplosione dei fuochi d’artificio per travolgere orecchie e cuore con un’estensione vocale degna dei più grandi interpreti internazionali.
Dichiara Ruggero Ricci: