La porta del cielo di Maria Luisa Alesina
La porta del cielo è un romanzo di Maria Luisa Alesina. Il romanzo parla di un amore sbocciato a Salice Terme sul finire degli anni ’50 tra Viola, una giovane studentessa liceale e un maestro di musica jazz bolognese, leader di un gruppo di musicisti emiliani.
La colonna sonora del romanzo e dell’amore dei due protagonisti è scandito dalle note di di Gershwin, Cole Porter, Hoagy Carmichael, Irving Berlin.
Maria Luisa Alesina induce attraverso i pastelli di una primavera di Monet. Un declinare estivo che scorre sui crinali che volgono sulle terme ove la memoria induce ad una letteratura elegante composta di soffi, refoli di spire ventose e palpiti lunari. La porta del cielo è un ingresso che introduce ad una memoria giovanile dove le trasparenze calano sinuose sui profumi serali prodromici ad una letargia notturna.
La porta del cielo: recensione
Viola, la protagonista, esprime un’emozione pagana volta a ritmi emotivi di un amore compiuto nel suo nascere. È un procedere lieve dove i sentieri conducono ad una confessione priva di presenze, testimoni, come l’acqua di una roggia che titilla lieve sui piedi bagnati in una notte di mezza estate. Passeggiate su sfondi chiari protette da ombrelli di organza ove il sole peregrino ed estraneo comunica un nuovo sorgere e le campagne abbaiano nel loro vociare quotidiano.
È come la forza di una memoria dipinta su tela che porta a un altro quando. Il romanzo si sviluppa come una voce di soprano limpida priva di ingerenze storiche, ma pulita come un sentimento mattiniero. E sullo sfondo… la bella estate che concupisce le prime memorie di amori, sentimenti e nostalgie in un mondo collinare fatto di incontri e pensieri sopiti. La verecondia e il pudore alimentano il cuore che percorre sentieri profumati e intimi, compresi nell’attesa di un amore corrisposto. Ma si sa che l’amore corrisponde a sé stesso, e Viola nel suo dipanare emotivo apre il cuore all’infinito nell’attesa di una epifania che manifesta la sua presenza nei colori e nell’arte di serate seducenti. Black Velvet, Beer Sangaree, ci si avvolge nei ritmi di I get a kick out of you di Cole Porter . L’orchestra suona dondolante, oscillando come lo swing impone, graffiosa e penetrante, insinuandosi nel cuore lasciando uno stigma selvaggio.
È il principio del dolore, Viola non vuole essere avvolta, ella è la custode delle proprie emozioni, il suo amore va deposto su un tabernacolo avvolto da incensi e mirra. “Nelle vicinanze del torrente Stàffora la brezza frusciava tra i salici e lungo i viali” è il principio di un incedere che conduce Viola Arcangeli all’ingresso delle terme.
Viola si inorgogliva di fronte a tanta bellezza e per lei, che amava quell’angolo di terra più di ogni cosa al mondo, la visione del paesaggio con i suoi mutamenti costituiva un’inesauribile fonte di gioia e un’esaltante continua meraviglia.
Il plot si dipana come un canone, un discanto corale tra i fruscii della collina di San Nazzano tra tigli e petunie.
Ma sono le ore del vespero quasi immanenti a una serata lieve a principiare i mutamenti che divengono i
sospiri di una “Rapsodia in blu” ed una voce lontana cala sui divani di una hall spiata dai primi bagliori lunari di Billie Holiday. I profumi della notte accompagnano la protagonista lungo i sentieri di casa in cerca di un ritrovo custodito e inviolato.
L’amore non si confessa, si vive attraverso la gioia pudica di un acquarello impressionista. Maria Luisa Alesina è Viola Arcangeli con i suoi diciott’anni non ancora compiuti e le volte leggere di una gonna plissè che volge alla note di Gershwin. Sono giornate interminabili custodite nell’opificio della memoria che Maria Luisa Alesina stringe forte con l’amore del ricordo, la mestizia agrodolce della maturità.
Vi è uno spirito Nietzschiano nelle cose condotto e generato dalle note di un grammofono; una voce lontana potente e suadente che richiama ai nostri inizi di una umanità ferita. È il dolore mai consumato di Orfeo che si volge ad un perduta Euridice consapevole della ineluttabilità di ogni fine.
Alesina comprende nei ricordi un Renoir primaverile, impalpabile e semichiuso al declinare delle prime
ombre.
La notte si dissolve ai primi luccicori del sole ed ai propositi di vita e questa, come un leggero soffio vitale ci riporta alla bellezza mitologica di Leucotea, signora delle spume e delle onde, amore consumato nella eterna provvisorietà di un grande cuore. Se un dato emerge… è quello dell’infinita bellezza dell’Aleph, principio del tutto, privo di pause e terminazioni, ma solo la grande meraviglia di un amore sospeso e mai terminato.