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99 Posse, Caparezza, Motta e Vasco Brondi: 4 singoli che esplorano il passato

I 99 Posse, con il singolo “Comanda la Gang” portano tutti sull’Arca dell’Italia attuale, tra recovery, bonus e personaggi politici che si alternano senza offrire una reale prospettiva.

La canzone di protesta dei 99 Posse resta viva, e vegeta (le virgola non è casuale e il primo è un aggettivo, il secondo è un verbo). Viva perché la Posse resta l’unica in grado di dire qualcosa risultando credibile. Perché, a trent’anni esatti dalla fondazione della band, le lotte proletarie, le occupazioni, le diserzioni da palchi importanti quando su quegli stessi palchi c’erano gruppi o artisti lontani dal loro modo di intendere non solo la musica, ma i valori in generale, non sono fuffa, e per loro puntare l’indice non è un vezzo dettato dalla moda, ma una impellenza che non è sparita con il passare degli anni. Vegeta (la musica) perché purtroppo si porta addosso tutto il peso degli anni, e una certa mancanza di freschezza, che si era sentita, ad esempio, in occasione dell’uscita di “Tarantelle pe’ Campà”, esattamente dieci anni fa.

Un merito e non un difetto, perché la Posse non strizza l’occhio a nessuno e tira dritto per la sua strada. Il brano che preannuncia l’uscita del nuovo album dei 99 Posse sembra quindi orientato non a fare proselitismo, quanto piuttosto a gratificare i figli di quell’epoca in cui proliferavano le realtà dei centri sociali occupati ed autogestiti, e non ai figli dei figli, abituati agli ascolti suggeriti da Spotify e ad accodarsi al carrozzone delle radio (voto 7/10).

Caparezza: Exuvia

Queste ultime sembrano più propense a trasmettere il nuovo singolo di Caparezza, “Exuvia”, che ha il marchio di fabbrica del rapper pugliese, che ne ha ancora da dire ed insegnare. Un brano maturo, la ricerca del perdono e dell’assoluzione, della fuga adulta dalla realtà derivata da un passato che non si cambia ed un futuro incerto e a tratti inquietante, perché le radici non si dimenticano, ma spesso non servono a tenere ancorati alla realtà.

La nuova canzone di Caparezza funziona, ha un testo oscuro, come l’atmosfera generale, e che come al solito invita a nozze gli amanti dei giochi di parole e di chi con le parole ci sa giocare. A cominciare dalla scelta del titolo: l’exuvia è l’esoscheletro di alcuni insetti che abbandonano la corazza dopo la metamorfosi.

E Caparezza va fuori da sé, consapevole del suo cambiamento e deciso a portarlo a termine. In conclusione del brano un fruscio congeda dall’ascolto. Probabilmente una citazione autobiografica, all’acufene di cui Michele Salvemini soffre, un punto, una sottolineatura, uno status, una presa di coscienza.

Ma potrebbe anche non essere così (voto 7,5/10).

Motta: E poi finisco per amarti

Di fronte alla esplorazione del passato si pone anche Motta con “E poi finisco per amarti”, nella quale il passato è imprescindibile per tratteggiare un futuro nel quale il cantautore si vede in difficoltà per ridisegnare caratteri, modalità di amare e strategie esistenziali, che inevitabilmente portano al conflitto tra amore e odio, che equivalgono alla vittoria o alla sconfitta.

Dopo la fine dei vent’anni Motta è entrato ufficialmente nella fase della maturità, sottolineata anche da una modalità di cantare completamente differente rispetto al passato. Abbandonati i toni bassi e gravi, tutto il brano è interpretato su registri alti, che danno una sensazione di novità che lascia comunque inalterata la conoscibilità dello stile che lo ha portato meritatamente al successo.

Il testo è semplice e la storia raccontata ha il lieto fine che dà il titolo alla canzone, ma il percorso introspettivo che c’è dietro vale la pena di essere ascoltato e compreso (voto 8/10).

Vasco Brondi: Chitarra nera

E poi c’è Vasco Brondi, che lontano dalla centrale elettrica e dalle sue luci propone un singolo, “Chitarra nera”, quasi recitato, nel quale traspare la trasformazione: il barista che non serve più alcolici e non ne beve neanche più, ma che è l’unico rimasto a suonare, cinquantenni che hanno a che fare con ragazze che anelano la maternità (senza rendersi conto che hanno di fronte uomini inadeguati), la chitarra nera, simbolo, evidentemente, del tempo andato, venduta su ebay, uomini che scoprono passioni che non erano nelle loro corde, ma che si adeguano a ciò che è più opportuno e conforme alla loro età (dormire presto e presto svegliarsi), e che sono attratti dalle ventenni, anche questo un cliché nel quale non si sceglie di cadere, ma nel quale si resta intrappolati quasi inconsapevolmente.

La scelta tra lo stare in una casa circondariale o in una di reclusione, il che vuole dire cadere dalla padella alla brace.

L’interpretazione di Vasco Brondi è intensa, e chi ha voglia di dare ascolto alla sua presa di coscienza troverà anche le tracce di una metafora per rappresentare uno stato della musica e del mercato che la regola che chi ha più di quarant’anni fa fatica a comprendere a fondo (suoni e fai pubblicità, rimprovera).

Il presente è un posto apparentemente migliore, un paese che è diventato fascista, ma anche questa passerà, confida Brondi. Ma poi dà appuntamento ad una prossima vita, ricordando un amore trasbordante al punto da scoppiare. Ma poi c’è stato il botto. E Brondi ce lo fa sentire dritto nello stomaco (voto 9/10).

Enrico Riccio

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