Ferite a morte di Serena Dandini diventa una rappresentazione teatrale
Ferite a morte (2013) di Serena Dandini edito da Rizzoli è un libro che l’autrice ha pensato e presentato in diversi programmi televisivi e racconta, dando voce, alle vittime di femminicidio come se potessero parlare in prima persona, dopo essere state ammazzate. Il testo è ancora attuale perché tra le mura delle case italiane e nel resto del mondo si nasconde una sofferenza silenziosa che risponde al nome di violenza domestica.
Una condizione che è stata esasperata, soprattutto, durante il lockdown e la pandemia che ha costretto ad una convivenza senza via d’uscita per molte donne.
Ferite a morte è un libro necessario perché da’ voce a tutte quelle donne che non sono state ai patti e che hanno pagato con la vita il prezzo della loro “disobbedienza”.
Mentre la televisione ha il diavolo della velocità e del consumo immediato, i libri possiedono ancora quei ritmi lenti che aiutano i pensieri e soprattutto i ripensamenti. Ma nel caso di questo libro è stato tutto accelerato da una forte urgenza, quasi una necessità impellente di condividere rabbia e tenerezza, indignazione e mille altri sentimenti tumultuosi che sono scaturiti dall’esperienza di questa strana adunata che è stata e continua a essere Ferite a morte.
Il 25 novembre ricorre la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, una giornata importante che dovrebbe servire a far riflettere su questo tema delicato su cui, molto spesso, si specula senza fare i dovuti approfondimenti e senza dedicargli il giusto valore. Ci sono eventi culturali che non hanno solo come scopo l’intrattenimento ma la divulgazione di un tema che va affrontato con la parola e non con semplici panchine rosse sparse qua e là, che comunicano senza profondità.
È nella comunicazione, nella condivisione e nello scambio di opinioni continui che si ottengono piccoli traguardi che potrebbero segnare un cambiamento, anche piccolo.
Ferite a morte grazie alla sensibilità di Giulia Casella diventa una rappresentazione teatrale rivisitata grazie alla partecipazione di altre donne non attrici professioniste che diventano le voci narranti di uno spettacolo che non sembra per nulla amatoriale ed è estremamente toccante e profondo.
Ciascuna donna si alterna nelle letture di alcuni passi tratti dal libro e reinterpretati, mostrando le diverse tipologie di donne che possono essere vittime di un destino che con la libertà e la democrazia non hanno nulla in comune.
Le storie non provengono solo dal passato ma dal nostro tempo e dalla nostra società moderna. Ciascuna storia letta di Ferite a morte lascia un magone perché non si può parlare di emancipazione quando mancano le basi culturali.
Sono morti annunciate, che tutto il vicinato aveva previsto ma nessuno ha mosso un dito perché ognuno a casa sua fa come gli pare; sono casi giudiziari che vengono liquidati come inevitabili conseguenze di un “improvviso raptus di follia” e invece sono la coerente conclusione di violenze durate a volte un’intera vita: sono sentenze eseguite davanti agli occhi di una società incapace di riconoscere questo dramma antico, una platea che ha perso la forza di indignarsi quando le storie con le protagoniste più giovani e piacenti sono trasformate in telenovelas nei programmi di “approfondimento giornalistico”.
Viviamo in un mondo che è arcaico e retrogrado in cui le violenze domestiche e le donne che muoiono sono la dimostrazione lampante di ciò che eravamo, di ciò che siamo e di ciò cui dovremmo aspirare.
Il potere della condivisione che nasce da diverse donne, tutte diverse tra loro, ma che hanno in comune la voglia di sensibilizzare il mondo, cercando di dare il loro contribuito e mettendo a disposizione il proprio tempo per qualcosa d’importante.
A Mondragone, una piccola comunità, si è celebrato il 25 novembre con grande dignità e sensibilità. Uno spettacolo teatrale fuso con la musica del Quintetto Oka e Monica Vellucci che hanno contribuito a rendere ancor più incisive e caratteristiche le letture di Ferite a morte.
Un intrattenimento pensante, di quelli che si fa’ fatica a trovare nelle piccole comunità dove basta ricordare giornate importanti come quella del 25 novembre con un post condiviso sui social che lascia il tempo che trova e che sembra sabbia negli occhi, per chi crede che bisogna fare altro e che basterebbe davvero poco per dimostrare impegno maggiore e maggiore sensibilità.
Non è in questo modo che si fa’ la cultura e che si scuotono le coscienze.